Massimo Bottura. E i suoi piatti fotografati dallo chef Rizzuti

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L’accordo musicale dei piatti di Massimo Bottura è l’intensità senza mediazione.
Mentre in genere si cerca sempre un equilibrio nelle ricette, spesso equilibrio meramente ingegneristico, alla Francescana c’è proprio la rottura di questo principio attraverso una estrazione maniacale, intensa, fortissima, dei sapori del prodotto, quasi la ricerca dell’anima attraverso cui si esprime la materia. Una prolungata fermentazione in termini enologici.

Buona abitudine per fotografare una persona è cercare di capire gli odori che ha respirato da sempre, le forme che ha visto sin da bambino. I mercati rionali, come lo splendido Mercato di via Albinelli nel centro di Modena, proprio a due passi dalla Francescana, sono una immensa e profonda miniera di reperti psicologici dell’individuo e della comunità.
Per esempio, per capire che l’Italia è piatta in questo momento basta girare negli Autogrill.

Bene, dopo questi quattro passi, è ora di andare a pensare i piatti di Massimo. Ripartendo dall’intensità

Il calamaro alla griglia è un esempio classico, si centra esasperandolo e senza preoccuparsi di alienarlo in qualche modo il ricordo preciso che ciascuno di noi ha della parte bruciacchiata delle grigliate in riva al mare, il momento in cui il fuoco avvolge il mollusco e lo trasforma regalandogli sapore e carattere.
Massimo centra questo momento, lo fissa e lo ricerca attraverso la cottura lentissima in cui alla fine la materia è completamente estratta e resta esausta senza più nulla, talmente nulla che è inutile finirla nel piatto.
In questo modo le tecniche moderne sono al servizio della memoria proustiana: quante volte ciascuno di noi ricerca in un piatto proprio la componente maggiormente bruciata dal fuoco? Per esempio nella pasta al forno o, appunto, nella grigliata.
L’amaro assoluto detta i tempi di questo concentrato, intensità e persistenza infinite e lunghissime.

I classici di Massimo rielaborano quel che si vende allo splendido mercato coperto nel cuore della sonnolenta Modena, proprio a due passi dalla Francescana.

Il primo passo verso la destrutturazione della materia è stato giocarci sopra, pensarla in maniera diversa lasciando aperta ogni strada, quella dalla crema alla spuma nella mitica ricetta sulle consistenze del parmigiano, come dal freddo al caldo, dai mesi agli anni di stagionatura. Tutte le dimensioni sono dunque percorse e presentate nel piatto: lo spazio, il tempo, la temperatura. Quasi come i famosi quattro elementi della scuola eleatica (acqua è nelle cose) traslati ai fornelli. Ma anche in questo caso, come nel nuovissimo calamaro, l’ossessione è centrare l’anima del prodotto, presentarne le sfaccettature, i suoi diversi modi di presentarsi, ma senza stravolgerla e senza riequilibrarla in alcun modo. Il percorso è disegnato dalla consistenza, dal sentore ghiacciato e poi dalla spumetta finale passando per altre fasi, ma il parmigiano resta tale, al confine con la sensazione di panna di parmigiano reggiano.

Sicché il limite di questa cucina è la resistenza, ossia quanto piaccia andare fino in fondo alle cose senza essere aiutati. Direi per questo che è una cucina dai sapori ancestrali, molto più antichi di quanto la forma potrebbe far supporre. Non è un cucina per sdentati, ma per palati maturi e tosti.

Prendiamo l’esempio del foie gras, l’equivalente dell’esame di Dirittto Privato per uno studente di Giurisprudenza. Ovunque ne abbiamo mangiato ci siamo divertiti con le varianti, i bilanciamenti, il riequilibrio e l’abbinamento per contrasto e per assonanza, per usare parametri un po’ scolastici. Max lega invece questa materia e affronta il suo esame riequilibrandola visivamente e nella consistenza ma senza entrare oltre nel merito. Ossia rilancia il croccantino della nostra infanzia, quella del baby boom italiano, il pralinato rompe la monotonia del foie gras con le diverse consistenze, ed è tutto qui il gioco. Geniale? Già, proprio di quelli che vedono qualcosa invece di guardarla come fanno tutti.

Lo stesso problema di esasperazione dell’assoluta intensità si ripropone con la pasta e fagioli compressa. Nel legume noi cerchiamo la dolcezza e le diverse tradizioni regionali ci giocano in modo diverso, qui si aggiunge altra dolcezza con il foie gras sicché non sai se il compito è da alta cucina o da trattoria, qualcosa di indefinibile in cui i due elementi si rilanciano a vicenda e prevalgono fondendosi e separandosi a seconda di come tu hai impostato il cucchiaino nel bicchiere.

E qui dal Piemonte all’Emilia il grido è uno solo: ancora, ancora, ancora
Ed ecco qui, allora

L’intensità è un tema dei classici, ma anche degli ultimi piatti.

Ti sballo, minacciava sicuro Massimo a Maffi, l’arcigno censore dei risotti (anche se questo è un riso). E va così. Solo l’intenso sapore dolce dei ricci di mare poteva ridurre alla ragione il tartufo bianco, finalmente comprimario e non protagonista monocorde nel piatto. Grande acidità, come piace a me, e lunghissima persistenza. Già, perché il tartufo rompe sempre un po’ le palle nei piatti.

Moderno e aggiornato anche lo sgombro marinato in brodo di ceviche

Bottura, come dice Maffi, è davvero in uno stato di grazia: certo alcuni suoi classici possono sembrare già antichi, meglio, più vicini alla tradizione del Mercato Albinelli, di quanto non siano gli ultimi a decisa spinta acida e di ulteriore alleggerimento come imponono i venti d’Oriente, ma alla fine, forse nessuno più di lui riesce ad interpretare meglio il concetto di Nuova Cucina Italiana così come dettato da Vizzari nella introduzione alla Guida dell’Espresso.
Nel senso che la frase finale è: non potete dire di aver mangiato in Italia senza essere venuti qui.
Bottura come Tamerlano? Mavvuà…

Ps
Non riesco ad uscire dal luogo comune, lo so. Ma veramente il caffé è sempre un problema per chi esce fuori Napoli. L’unico punto debole del pranzo mio e di Maffi è stato appunto la tazzina di caffè. Altro che le tre C (cazzo comme coce), la tazza è arrivata fredda! Allora Max, o fai fare uno stage a Napoli o te ne inventi uno molecolare (preferisco la soluzione B). Non si può scendere così dalla scaletta sgangherata dopo un volo straordinario sul tetto del mondo:-)
PPs
Il giorno dopo ha bussato alla porta della Francescana una nostra vecchia conoscenza, Francesco Rizzuti dell’Antica Osteria Marconi di Potenza, correligionario lucano del mitico sommelier di sala Peppe Palmieri. Sono sue le foto dello Slide.
Grazie


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