
La pausa pranzo è davvero una meravigliosa e infinita goduria a Napoli. Il lavoro di Monica Piscitelli sulle pizzerie e quello di Giulia Cannada Bartoli sulle trattorie rivelano una metropoli che da almeno tre secoli mangia fuori casa.
Non a caso si tratta di esercizi antichi, a volte antichissimi che risalgono all’800. Anche le gastronomie e i bar si sono dovuti adattare a questa qualità per reggere: arancini, primi da asporto, timballi di maccheroni, frittate di spaghetti, verdure di ogni tipo, frittatine di maccheroni, crocchette. Un tripudio di golosità sempre a meno di dieci euro.
Credo che nessuna città italiana offra una tale varietà di golosità sotto questa soglia. Roma a pranzo profuma di pane congelato riscaldato al microonde, Milano di insalate scondite, le altre non sono attrezzate per sfamare centinaia di migliaia di persone ogni giorno. Certo, ci sono eccezioni, per carità, per esempio i negozi di Kebab che la Lega vorrebbe chiudere:-)
Ma non basta. Se siete pigri o, meglio, non amate andare da soli a mangiare fuori come me tutto questo vi arriva direttamente sulla vostra scrivania.
Sicché ecco come funziona. In città avete sempre almeno quattro/cinque pizzerie (il forno a legna non è in discussione) che nel raggio di duecento metri ti portano una pizza appena sfornata ovunque voi siate: una pagina della mia agenda al giornale è dedicata a questo.
Alle 13 ho voglia di pizza. Chiamo, ordino e dopo cinque/dieci minuti è davanti a me fumante e vogliosa.
Il costo? Varia dai 3,5 ai 6 euro. Ecco, pensavo, dopo due mesi di abboffate di guide, punteggi e dopo un anno in giro per ristoranti, devo ancora trovare qualcuno che mi da la stessa felicità di aprire quel cartoncino e trovare la cosa più buona del mondo, a quattro soldi, in meno di dieci minuti.
L’ultimo particolare decisivo, vista la mia proverbiale ansia.
Ah, vabbé, la cosa funziona poco dopo le 12 quando iniziano a sedersi gli stranieri sino alle 15, anche dopo se restano panelle. Ma le prime pizze, come i primi caffé, sono sempre meno buone.
Volendo, vi potete però ordinare un primo-espresso o qualsiasi altra cosa a osterie, trattorie, fornelli improvvisati in salumerie e quant’altro
Già perché nella tradizione orale quello che distingue il cittadino dal cafone (ossia di chi abita nel contado) è il poter mangiare cucinato a pranzo.
Chi non può mangia asciutto, ossia il pane con il companatico. Però una cosa è mangiare un bel pane cafone di San Sebastiano al Vesuvio, di Sarno, Ariano, Genzano, Matera, Altamura, altra è un prodotto scongelato al microonde.
E’ bello lavorare a Napoli. Sì, davvero: la migliore pausa pranzo italiana. Dunque mondiale:-)
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