Tendenze | Da Tassa a Santo Palato: basta spume, si torna in trattoria

Pubblicato in: Minima gastronomica
Sarah Cicolini Santo Palato

Sarah Cicolini Santo Palato

Ci può essere un parallelo tra le vicende politiche e il piccolo mondo della gastronomia? Forse sì: la critica si è sempre più concentrata sui giocolieri della materia, su chef star che firmano autografi, su giovani cuochi che pensano che sian del piatto il fin la meraviglia e non il sapore. Ristoranti perennemente vuoti, figli delle illusioni televisive e dei premi di qualche guida specializzata innamorata più dei laboratori gastronomici che delle cucine fanno da contraltare alle trattorie e alle pizzerie sempre piene di cui però quasi nessuno scrive o si interessa. Un processo simile anche nel vino, dove pochi sanno di Lambrusco e Prosecco, ossia del 70% dell’export italiano, e tanti si cimentano in ripide scritture di Borgogna, Rossese, Alto Piemonte piuttosto che Champagne.
Eppure una inversione di tendenza c’è. Non è il caso di Napoli, forse, dove lo scheletro gastronomico è ancora costituito da un centinaio di osterie a gestione familiare dove si propongono i piatti tipici della cucina popolare, l’unico caso in cui i poveri hanno vinto sui ricchi visto che quella dei monzù è relegata a cenacoli vintage spesso nostalgici.

Ci sono invece segnali forti di una ritorno alla trattoria come luogo del cibo della gioia del piacere, senza tanti contorcimenti mentali, con due differenze rispetto al passato: tecniche di cotture più avanzate e consapevoli di quelle antiche di famiglia e prodotti di alta qualità. Il ripensamento più radicale sulla cucina contemporanea viene da Salvatore Tassa, poco conosciuto dal grande pubblico italiana, un giovane sessantenne che è andato a fare uno stage come un ragazzino da Yannick Alleno da Ledoyen a Parigi per studiare le tecniche di estrazione a freddo che se, in realtà, ci dice Martino Ruggieri, responsabile della brigata del tristellato francese, «siamo noi che abbiamo imparato tanto da lui».
Via carte dei vini chilometriche, basta con il servizio affettato, pesante, quasi intimidatorio, si ad una vera e propria trattoria (Nù, ossia noi) ad Acuto dove alla interminabile sequela (aperitivo, benvenuto dello chef, antipasto, primo, secondo, assaggio a sorpresa, pre dessert, dessert e piccola pasticceria con coccole finali) si è tornati ad un robusto antipasto di primo appetito (salumi, formaggi, carciofi sottolio), primi fatti in casa (fettuccine e ravioli), un secondo vero e dolce ancora più vero. «In questi anni – ha detto il patron del ristorante le Colline Ciociare all’evento Ego di Lecce organizzato da Monica Caradonna e Ilaria Donateo – si è perso il senso vero della cucina, tutto l’ambiente è attento alle superfetazioni, si è spinto al massimo sulla ricerca estetica perdendo i profumi invece di lavorare sui sapori». Chilometro zero? Certo, ma anche chilometro buono se il prosciutto è di Spigaroli, tanto per fare un esempio. «Un cuoco -dice Tassa- deve saper cucinare ma anche conoscere i prodotti, li deve saper trovare. Siamo ormai al rischio omologazione totale, molti giovani che escono dalle scuole se ne vanno, mi chiedono perché fare i ravioli a mano se si possono acquistare congelati e magari non sanno neanche sfasciare un agnello o un pollo, cosa che tutte le mamme facevano a casa».

C’è insomma bisogno di verità, di valori veri in campo. Soprattutto da parte della clientela. Ed ecco allora che a Roma apre Santo Palato con arredamento vintage stile trattoria universitaria anni ‘70 o anche di paese con piatti forti, senza mediazioni (le solite spumette di formaggio per addomesticare agnelli e animelle) ed il successo è immediato, sino a diventare un luogo cult anche dei gastrofighetti grazie ad un’abile comunicazione.
E se a Napoli ritorna la storica Cantina di Triunfo grazie alla spinta di Gaetano Russo e Antonio Triunfo (in cucina ci sono Pasquale Cocozza e Antonio Prota) dopo la rinascita della Locanda  del Cerriglio che vanta 400 anni di storia, ecco che Roma spopola con Santo Palato.

Fenomeni silenziosi ma efficaci: Giovanni Sorrentino, a 19 anni a Parigi a fare bottega da Ducasse e poi tra gli stellati in Penisola, a Santa Maria la Carita spopola con il suo mezzanello allardiato. Tortellini con la panna affiorata (quante pratiche da sbrigare con l’Asl…) e carni di propria produzione alla brace sono il segreto di Franco Mirasole a San Giovanni Persiceto in Emilia Romagna.

Insomma, dover aver rischiato l’estinzione, pressata dal fascino della cucina d’autore e dalla rivoluzione alimentare con il boom di paninoteche, pizzerie, hamburgherie e dintorni, la trattoria torna ad essere la parrocchia alimentare in cui rifugiarsi in questi tempi di crisi e di confusione, un ritorno a piatti dimenticati persino dalle mamme di cui erano depositarie le nonne, rivisti però dal punto di vista tecnico e dell’approvvigionamento di materie prime.
Insomma, sembra che in Italia i riflettori sul food show sia terminato e che si sia tornati a mangiare.


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