Valtellina Superiore Sassella Riserva “Rocce Rosse” 1999, Ar.Pe.Pe.: il vino verticale

di Fabrizio Scarpato

L’altra sera ho partecipato con un’altra ottantina di persone alla degustazione dei sette cinque grappoli Duemilavini Ais della Valtellina, nell’intenzione della delegazione di presentare quest’anno esempi di viticoltura eroica per affinità con le nostre Cinque Terre. Presentava i vini Isabella Pelizzatti Perego che tra i sette aveva solo il suo Sassella Rocce Rosse 1999.
Inutile dire che la signora mi ha colpito per semplicità e passione, così come il suo vino, straordinario per diversità e peculiarità.


A volte ci sono vini che subito capisci che non sono come gli altri. Non dico più buoni, meno buoni: diversi. E il più delle volte lo capisci già dal colore, come guardare una persona negli occhi.
Il bicchiere era allineato insieme ad altri sei vini della Valtellina, tutti insieme con orgoglio rappresentavano i cinque grappoli AIS per la regione, né pizza né fichi: eppure quel bicchiere non si mostrava cupo, tantomeno rubino intenso, neppure granato nell’unghia. Era granato proprio, mogano lucido e cristallino, venato di riflessi dorati. Cosa ci faceva un rhum, tra valtellina e sforzati?
Marco porta al naso il bicchiere e comincia a raccontare di boschi di castagni in autunno, di terra, di tartufo e spezie, e balsamo che lenisce la sete, in bocca, tra richiami di pietra.


Ti accorgi che un sorso non basta, che ti riveste di eleganza e finezza, da restarne affascinato e sorpreso.
Il Sassella Rocce Rosse 1999 è a inizio batteria, più maturo di almeno sette o otto anni rispetto agli altri che seguono: infatti alcuni sono nervosi, altri già un po’ tronfi nella loro rilassatezza, altri superati nelle loro morbide polposità. Quelli nervosi hanno capito, ci mettono un po’ ma mostrano carattere, pur angustiati da botti ancora e sempre troppo piccole.
Antonello avrebbe preferito il Sassella alla fine, di fatto rivela l’urgenza di andarlo a riprendere dopo le impegantive botte di alcol dell’ultimo Sfurzat: si ritorna a capo, dice, quasi fosse una storia da scrivere.

Una storia già lunga, di pendii ripidi, terrazzamenti esposti a sud, il profumo del bitto che arriva, portato dal vento, dall’altra parte della valle trasversa; Arturo che vuole le botti grandi di castagno, il passaggio in cemento prima del vetro e il tempo, l’infinito tempo necessario nell’attesa di una espressione di territorialità integra e anacronistica, in anni barbari omologati e parkerizzati da fredde numerazioni.
Isabella ne parla con fiera tenerezza, sull’onda della memoria che è forza e coraggiosa continuità.
Anch’io, di fatto torno a capo, a cercare un perché a quei tannini fini, alla trama sottile, a quel colore finalmente esile, trasparente e lucido, nella mineralità dei sassi che angosciano la crescita della chiavennasca, che è nebbiolo, ma che, già nel nome, sembra meno malleabile, più tagliente.
Parte del segreto è nelle bucce, dice Walter, nella macerazione di quaranta, cinquanta giorni, nell’ossidazione dei rimontaggi e delle grandi botti: bucce e ossigeno che svelano il territorio. Quasi un respiro della terra, aspettato e raccolto nel mio bicchiere. Il respiro della terra e degli uomini.
Tradizioni, gesti, idee, ostinazioni, parole intorno a un tavolo, forse davanti al fuoco.
Liliana riporta una frase sentita in Langa e accosta quel vino fortemente gentile a un salotto: sì un salotto, come si diceva una volta, accogliente e caldo, profumato forse di resine e muffe, di legno e pietra umida, riscaldato dalle abitudini. Una dimensione che è spazio temporale, che lega spazio e tempo, luoghi e attese, territorio e tradizione. Casa.
Non ce n’è più, il Rocce Rosse nel mio bicchiere è finito, avrei ancora voglia di cercare, oltre il sentito, dopo le mode, al di là del mercato: Isabella ha lottato, i vini che erano di suo padre Arturo e che ora cura in modo quasi maniacale col fratello Emanuele, sono riusciti a farsi conoscere, sono usciti a spallate sin dai tempi delle marmellate, fino ai naturalismi, dinamismi, biologismi che caratterizzano i nostri giorni. Siamo stati orgogliosamente fuori moda, so e lavoro perché questa condizione non mi imprigioni e non rischi di diventare moda a sua volta: né mio padre, né noi abbiamo mai pensato di fare uno Sforzato.
Mi riempie il cuore. Come il suo vino, così diverso e rassicurante sin dal primo sguardo.
Una donna verticale, mujer vertical, come i suoi vigneti, come la sua terra.

Personaggi e interpreti, in ordine di apparizione:

Marco: Marco Rezzano, Delegato AIS La Spezia

Antonello: Antonello Majetta, Presidente AIS


Isabella: Isabella Pelizzatti Perego, titolare di Ar.Pe.Pe.

Walter: Walter De Battè, vignaiolo

Liliana: Liliana Pecis, Delegato AIS Tigullio-Promontorio di Portofino


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