L’ingegnere del fine dining. Dalla Ducati al Pellico 3 del Park Hyatt a Milano, la cucina mediterranea di Guido Paternollo

Ristorante Pellico 3 Milano
Via Silvio Pellico, 3
Tel. +39 02 88211236
Aperto tutti i giorni a cena, dalle 19:00 alle 22:00 -tranne domenica e lunedì
pellico3milano.it

Guido Paternollo è un ragazzo posato, tranquillo, colto. Che però ama i salti mortali e le montagne russe. Dopo due lauree, un master e un lavoro alla Ducati decide di invertire la rotta e, come spiega bene Andrea Guolo nel pezzo qui sotto scritto durante la visita di novembre, riesce a fare tutti i passi al massimo livello lavorando, in sintesi, con Bartolini in Italia, Yannik Alleno e Alan Ducasse nei due tristellati parigini divenuti una icona per gli appassionati nell’era ante Covid.
Poi la nuova sfida, tornare a Milano e prendere il posto di Andrea Aprea che qui, il ristorante si chiamava Vun, aveva preso, sorprendendo tutta la quasi tutta paludata critica meneghina, le due stelle. Una sfida importante che il nostro ingegnere ha affrontato secondo un protocollo cartesiano: prima si è impossessato della macchina dell’albergo, una struttura complessa, in funzione tutto il giorno e tutta la notte che solo nel reparto food coinvolge oltre sessanta dipendenti tra ristoranti, club sandwich e colazioni oltre che servizio in camera.
Citiamo questo dato perchè è anche da questo che oggi si vede un professionista rispetto a quelli che si chiudono nel ristorante fine dining delle strutture chiedendo alla proprietà di ridurre i posti da 18 a 12 per “potersi esprimere”. In cucina non è più tempo per “ombrellini di seta”, ma di persone capaci di gestire una impresa da professionisti.
Paternollo volta pagina insieme all’azienda che ha deciso di rinominare il ristorante con nome e numero civico dell’ingresso principale del Park Hyatt.

 

La cena non ha fatto altro che confermare le sensazioni espresse da Andrea. La padronanza della tecnica è assoluta, il tocco italiano è nella capacità di trasformare materie prime povere in piatti da principi, la pasta è semplicemente perfetta, va dritto alla gola con eleganza, esaltanto i sapori, è appagante come devono essere i primi italiani. La cottura dell’agnello è stata di alta scuola, la tartare di tonno un piatto fusion nippo-italo-francese con il foie gras, restituendo con il fegato grasso dignità al tonno, i dessert non stucchevoli, abbiamo evitato la pesantezza finale.
Un menu semplice, efficace, ecumenico, piegato ocmunque verso la freschezza ma senza esagerare con le acidità, seguendo il protocollo freddo caldo. Un pranzo raffinato ma leggibile a tutti, come dovrebbe sempre essere una buona e sana cucina di un hotel di questo livello.
Il degustazione di 5 portate costa 130 euro, alla carta poco di più per un pasto completo. Grande carta dei vini servita con competenza e passione dalla sala.
I risultati già ci sono. Le soddisfazioni arriveranno. Ne sono sicuro.

Report del 10 novembre 2023

Pellico 3 Park Hyatt a Milano
Via Tommaso Grossi, 1
Tel. 02 8821 1236
Aperto la sera, chiuso domenica e lunedì

di Andrea Guolo

Da uno chef – ma chiamiamolo cuoco, che così ama definirsi – milanese non ti aspetti una cucina così vera, immediata pur nella complessità dell’esecuzione, frutto della selezione di ingredienti che disegnano un mosaico di sapori mediterranei che vanno dalla ‘nduja alle lenticchie, dall’anguilla all’agnello, concretizzandosi in una carta golosa e “carnale”. Che sia frutto di un piccolo melting pot familiare – una nonna romana, l’altra nonna veneta – o di un percorso formativo quanto mai anomalo per un professionista della cucina, chi può dirlo con certezza. Ma l’altra cosa che non ti aspetti è degustare questa cucina così autentica nel ristorante gastronomico di un hotel cinque stelle lusso, situato davanti al Duomo e naturalmente vocato a una clientela internazionale. L’hotel è il Park Hyatt, il cuoco è Guido Paternollo.

Milanese, classe 1991, Paternollo aveva impostato la sua carriera professionale in tutt’altra direzione. Laureato in ingegneria, seconda laurea in matematica, già destinato a una brillante carriera manageriale che era partita da un marchio storico della motoristica italiana come Ducati, a un certo punto capisce che ne ha abbastanza della vita in giacca e cravatta. E si riaccende una sua vecchia passione, quella per la cucina. Nell’ultimo anno di liceo scientifico, bloccato per tre mesi a casa per un problema di salute, aveva impiegato il tempo forzatamente libero leggendo i vecchi numeri de La Cucina Italiana conservati dalla mamma e guardando i programmi televisivi in onda su Gambero Rosso Channel. Un’ottima scuola per deliziare familiari, parenti e amici con le sue creazioni. Una fiamma che continua ad alimentarsi negli anni universitari e nelle prime esperienze di lavoro. Fin quando decide di voltare pagina, manda una serie di domande di lavoro via mail e tra queste una è destinata al nuovo ristorante milanese di Enrico Bartolini, che da poco ha lasciato il Devero di Cavenago per spostarsi al ristorante del Museo delle Culture, il Mudec oggi tristellato Michelin. Fortunatamente, Paternollo non controlla solo la casella posta in arrivo ma anche quella dell’indesiderata.

Fortunatamente perché il “sì” di Bartolini era finito in spam. Inizia così la sua avventura professionale in cucina, a 24 anni, come stagista ai secondi piatti per poi passare agli antipasti fino a diventare Junior Sous Chef. “Gli devo molto, Bartolini è stato il primo a credere in me”, dice oggi Paternollo. Dopo tre anni prende la via della Francia ed entra alla Maison des Bois in Alta Savoia, alla corte di Marc Veyrat. È il primo di tre passaggi ai massimi livelli: seguiranno Pavillon Ledoyen a Parigi con Yannick Alléno e infine Plaza Athénée con Alain Ducasse. “Da milanese non lo dovrei dire, rischio il linciaggio… ma sono totalmente innamorato della Francia e di Parigi. In quelle cucine il livello culturale è immenso”. Dopo quattro anni, è il settembre del 2021, arriva il momento di tornare a casa e lo fa attraverso la porta principale, con la chiamata di Park Hyatt Milano per preparare l’apertura post Covid del ristorante gastronomico Pellico 3, che avviene ufficialmente a marzo 2022.

Un anno e mezzo dopo, non è ancora il tempo di fare un bilancio perché, nonostante il prepotente ritorno della clientela internazionale, la macchina del Park Hyatt continua a essere in fase di rodaggio. “Stiamo scaldando i muscoli in prospettiva di febbraio-marzo quando tutto sarà pienamente in funzione. L’ultimo anno è stato indubbiamente complesso dal punto di vista delle risorse umane, con tanti lavoratori della ristorazione che hanno deciso di intraprendere strade diverse. Mi conforta la risposta della clientela del Pellico3, l’apprezzamento per la mia cucina”. Piatti che lasciano il segno, come il tortello ripieno di ‘nduja e ricotta di pecora addolcito da una deliziosa salsa di melograno o quella che oggi è considerata la sua icona: il risotto con burro all’alloro, anguilla laccata, caviale siberiano e limone fermentato. Tra gli ingredienti troviamo qualche tocco internazionale, qualche concessione ai prodotti classici del fine dining che caratterizza l’offerta dei luxury hotel, qualche richiamo alla sua lunga esperienza d’oltralpe, ma in realtà la base è profondamente mediterranea. “Del resto in Italia posso attingere a una dispensa ricca di prodotti di eccellenza.

E troverei poco sensato utilizzare ingredienti che arrivano da lontano, con tutto quel che abbiamo in casa”. Una forte attenzione è rivolta alla stagionalità dei prodotti: così, nel menu autunnale, il riso all’anguilla si sposta nel percorso di degustazione per cedere il passo, in carta, a quello con i funghi (cottura in estrazione di champignon e finferli glassati).

Tra gli antipasti spiccano il carpaccio di marango (angus di filiera italiana) e l’uovo alla fiorentina (uovo poché, caviale, spinaci sauté e salsa al bacon).

Tra i secondi, l’agnello in tre passaggi (torta di spalla, sella e scottadito) e il rombo cotto sull’osso. Tecnica e precisione, da un cuoco che nasce come matematico, ce li potevamo aspettare, ma qui non c’è trucco e non c’è artifizio: il confine tra tecnica e tecnologia è bel definito e mai valicato.

L’ingegnere del fine dining naviga a motore spento e vele spiegate verso il traguardo del gusto che concepisce come una cucina di casa portata al più alto livello possibile, partendo dalle materie prime eccellenti, realizzando abbinamenti convincenti e servendo il tutto in una location (progetto di Flaviano Capriotti Architetti) dove è facile sentirsi a proprio agio. Evoluzioni? “Dal nuovo menu esce il marango ed entra il piccione. Introdurremo poi un carrello del pane, un burro, un carrello dei formaggi”.

Via Silbio Pellico 3 20121 Milano MI


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