Daniel Thomases è morto stanotte a 70 anni. Gli amici sapevano che non stava bene e si aspettavano purtroppo la notizia. Con lui va via un grande protagonista della rinascita del vino italiano, testimone, e promotore, della fantastica cavalcata degli anni ’90 quando i vini puzzolenti e uguali furono ripuliti e trasformati in bottiglie eleganti e in grado di essere competitive a livello internazionale.
“Daniel – ricorda Gigi Brozzoni che con lui ha curato per vent’anni la Guida dei Vini Veronelli – aveva una cultura impressionante, conosceva praticamente tutto il panorama enologico mondiale. Ricordo un viaggio in Sud Africa nel 1991 in cui mi stupì per la sua capacità di entrare nella cultura di quel paese così diverso dal nostro”.
Laureato in Lettere ad Harward, ha speso il suo umanesimo approcciando il vino con rigore degustativo e al tempo stesso inquadrando la figura dei produttori nel contesto in cui operavano.
Spavaldo, irascibile e ilare, incuteva persino terrore durante le degustazioni per la sua ossessione nordica del silenzio; ma fuori dal lavoro era il più meridionale dei meridionali: chiassoso, la sua risata allegra tagliava l’aria e coinvolgeva.
Con Veronelli si era conosciuto nel 1988. Fu Giorgio Pinchiorri a presentarli: quello straniero appassionato di vino frequentava l’enoteca e provava di tutto. Era una Italia piccola allora, ci si conosceva tutti perché il mondo era grande, ma gli specialisti davvero pochi. A Veronelli piacque subito e nel 1997 gli affidò la guida dei vini insieme a Brozzoni.
“Vent’anni di liti furibonde, due caratteri difficili, il suo e il mio. Ma alla fine ci siamo ritrovati nel rispetto del bicchiere, nel rigore del lavoro, nella libertà totale del confronto”.
Negli ultimi anni Daniel Thomases si era ritirato. Ricordo un funambolico viaggio in auto con Guido Riccarelli, da Verona a Firenze, durante uno degli ultimi Vinitaly imbiancati che l’Italia ha avuto. Tre ore per passare in rassegna tutti e divertirsi alle spalle di tutti ma senza cattiveria.
Daniel si era ritrovato negli ultimi anni nella squadra di Winsurf messa in piedi da Carlo Macchi. Il loro incontro era obbligatorio, era scritto che accadesse tra due amanti degli eccessi e dell’iperbole, ma soprattutto liberi.
Ecco perché la sua morte non ci incupisce ma segna la fine di un’era. Quella della competenza e della leggerezza.
Del resto a chi lo aveva definito brontosauro, gli stessi che oggi si stracciano le vesti fingendo compianto — tanto è breve la memoria sul web, lui ha sempre risposto con il suo grande sorriso che gli arrivava sino alle orecchie.
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