La Caravella ad Amalfi: cantina immensa, piatti di grande materia. Eccoci nella più antica stella Michelin della Campania

La Caravella, ciuccio portafortuna

La Caravella ad Amalfi
Via Matteo Camera, 12
www.ristorantelacaravella.it
Aperto a pranzo e cena. Chiuso martedì

La Caravella ad Amalfi. Una cantina immensa e profonda come pochissime in Campania (forse solo Don Alfonso e Quattro Passi la superano) e poche in Italia: ampia, colta, e curiosa. Una sala da pranzo ricca di opere d’arte lasciate da artisti come Andy Wahrol che nell’ultimo mezzo secolo hanno frequentato Amalfi, la cucina di materia, semplice e senza fronzoli, alla continua ricerca dell’equilibrio. Eccoci allora nella terza stella Michelin più antica in attività in Italia, la prima in Campania, nella quale è passato il Mondo.
Ci mancavamo da quasi tre anni e avevamo voglia di tornarci perché qui siamo nel cuore della nuova cucina della Terra delle Sirene, dove sono nati gli scialatielli e le prime combinazioni orto-mare che ancora oggi, nonostante l’arrivo di spezie e prodotti in viaggio globale, mantengono una sconvolgente modernità.

 

Fanno grande una cucina la conoscenza della tecnica e il continuo aggiornamento dei prodotti. Ed è quello che Antonio Dipino, figlio del leggendario Franchino, amico dell’avvocato Agnelli che volle salutarlo quando stava per andare via per sempre, riesce a fare con meticolosa passione. Fuori dai circuiti mediatici social, qui non trovate fufblogger che scattano foto per Facebook, ma Zuckerberg.

E nessuno chiamerà mai un paparazzo e si farà un selfie per mostrare il personaggio famoso che ha scelto di sedersi qui. Le sollecitazioni dell’amico di famiglia Michele Santoro a trasmettere queste notizie per la gioia di noi giornalisti continuano a cadere nel vuoto. Siamo davvero su un altro piano, un altro campionato. E non per i costi, ma per la cultura del rapporto con il cliente che non va esibito, ma protetto. Il segreto del successo eterno è tutto qui. Pensate, giusto per fare un esempio di cosa significa discrezione, quando venne Naomi a festeggiare il compleanno nel 2011 riuscimmo a rubare qualche scatto solo all’esterno e lo sapemmo solo perchè eravamo stati informati dai responsabili dell’ordine pubblico.

La cantina di Antonio è semplicemente immensa, una passione ereditata dal padre e coltivata nei magnifici anni ’90 insieme a Gennaro Esposito e Umberto Matricano. Non c’è referenza storica che qui non si possa trovare, dalla Francia a tutte le regioni italiane e al Nuovo Mondo. Ma, anche qui, la capacità è di stare al passo con i tempi, far diventare classici quelle aziende campane che lavorano alla grande e sdoganarle come ha fatto Don Alfonso. Questo fa la differenza tra un ristoratore e un rivenditore. E lo stesso vale per l’olio. Quanto al resto, è spesa al mercato, dal caseificio di fiducia, dalle pescherie del Golfo di Salerno per ricciole, alici e altri pesci e da quelle sorrentine soprattutto per i crostacei e i frutti di mare.

 

Non è cucina sperimentale con menu fisso per mesi e mesi, d’accordo. Ma è una grande tavola dove si sta alla grande e si può venire anche più di una volta alla settimana e trovare sempre delle variazioni. Insomma, non una cucina con sala, ma un ristorante con show room dove poter acquistare il vino e pezzi di ceramica d’autore.

In una stagione fantastica per Amalfi come mai accadeva da prima della tragedia delle Torri Gemelle, la proposta della Caravella si distingue per il rigore della materia prima e la freschezza. La cucina è quella tipica dello stile della Penisola, orto e mare, mare e orto, quasi nulla di carne, dolci della tradizione conventuale e grandi classici.

Si comincia con una citazione delle origini: la montanara prima e dopo, quella del padre Franchino e quella di questi giorni, con il baccalà, dall’impasto più leggero.

Poi arrivano i piatti. Il tonno e il gambero con il biscotto è saporito e leggero, un boccone di freschezza assoluta.

Sapete quanto sono contrario all’uso di ricotta e formaggi sul mare, ma non è una presa di posizione ideologica: quando c’è equilibrio e non si deve coprire il nulla, va benissimo. Come in questo caso in cui si fondono le note dolci vegetali della zucca con quelle iodate del gambero appena ingrassato dalla giusta proporzione di ricotta vaccina.

Imperdibile il grande classico, il pescato del giorno (in questo caso la ricciola), cotto in foglie di limone. Un piatto nato con i ciacianielli (neonata), ormai proibiti.

Leggendario il piatto che viene dalla memoria: la pastina in brodo in un formato ormai quasi introvabile e molto diffuso negli anni ’90, con l’aragosta finissima ed elegante. Un piatto di gusto corroborante.

E poi il gioco con la frittatina di pasta di mare che parla alla gola.

Anche nel secondo la linea di pensiero è il limone, usato come acidificante e ben dosato. Un fish and chips da sogno.

Qui i dolci sono dolci, anche questi classici e al tempo stesso leggeri.

Anche con Antonio Faratro, uno dei migliori sommelier italiani, la linea è la stessa: nessuna esibizione, ascolto e abbinamenti centrati. E vini impossibili, come il Miani del 1998 perfetto, che fece scalpore con i Tre Bicchieri dati a tre vini, ciascuno dei quali in non più di mille bottiglie. Quanto siamo lontani dal modello sommelier in Porsche. Come il calamaio dalla tastiera.

 

CONCLUSIONI

Siamo in presenza di uno di quei ristoranti classici che hanno fatto la nuova cucina italiana. Non è questione di punteggio o valutazione, ma solo di godere della completezza di una esperienza rassicurante fatta ai massimi livelli. Ritrovare i profumi a cui sei abituato da sempre, l’ambiente perfetto, trascorrere le ore tra aneddoti e racconti dell’ultimo mezzo secolo è qualcosa che oggi si può fare solo nelle grandi tavole familiari consolidate come questa, il Don Alfonso, La Locanda del Pescatore, Da Vittorio o da Pinchiorri. Perché sono in un altro campionato.

La Caravella ad Amalfi, stella Michelin


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