Stelle Michelin: i destini incrociati di Fabrizio Mellino, Maicol Izzo e Domenico Candela tra lavoro, dura gavetta e famiglia

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Quattro Passi, Tonino Mellino con il figlio Fabrizio

Quattro Passi, Tonino Mellino con il figlio Fabrizio

Nulla è per caso, nulla è regalato: la storia dei i destini incrociati di Fabrizio Mellino, Maicol Izzo e Domenico Candela nel teatro di Brescia

Ecco l’articolo pubblicato oggi sul Mattino

“Grazie al mio staff, alla famiglia Avallone. Viva Napoli”. Nelle parole lanciate sul palco del teatro di Brescia dd Domenico Candela, chef del George del Grand Hotel Parker’s  il piccolo grande segnale del momento fortunato vissuto da Napoli e dalla Regione Campania. La Guida Michelin 2024 sarà ricordata a lungo all’ombra del Vesuvio per una serie di incredibili riconoscimenti che possiamo riassumere così.

Primo: torna dopo quasi vent’anni in Campania la terza stella, assegnata al ristorante Quattro Passi fondato negli anni ’90 da Tonino Mellino e dalla moglie Rita che vede al lavoro adesso i figli Fabrizio in cucina e Raffaele in sala. Un traguardo tagliato insieme a Norbert Niederkofler che riprende le sue tre stelle dopo un anno di pausa.

Secondo, il numero delle due stelle in Campania passa a sette perché dopo la sospensione delle due del Don Alfonso in attesa della riapertura di marzo una seconda stella è stata assegnata a Piazzetta Milù della famiglia Izzo a Castellammare di Stabia. Due delle cinque nuove due stelle sono campane. Anzi tre, perché c’è Andrea Aprea napoletano di Milano (gli altri due sono La rei Natura a Serralunga d’Alba e Verso a Milano)
Terzo: entrano altri tre ristoranti nel circolo degli stellati, Crescenzo Scotti a Borgo Sant’Andrea di Amalfi, Roberto Elefante a Casa Angelina a Praiano e Vincenzo Russo Bluh Furore  dove ha la consulenza Enrico Bartolini, il cuoco italiano più amato dalla Michelin.

Quarto, tra i riconoscimenti speciali ci sono quello della sala dato a Federica Gatto del ristorante Cetaria di Baronissi, aperto dieci anni fa con il marito Salvatore Avallone e allo stesso Maicol Izzo di Piazzetta Milu come giovane dell’anno.

Quinto, una stella verde, altro riconoscimento della Michelin alle aziende particolarmente attente al tema della sostenibilità ambientale, viene assegnata all’Oasis Antichi Sapori di Vallesaccarda, uno degli stellati più antichi della Campania. Last but not least, ci piace ricordare che un altro napoletano, Andrea Aprea ha riconquistato le due stelle Michelin a Milano dove le aveva, prima di mettersi in proprio, al Park Hyatt.

Un bottino incredibile che porta a 59 le stelle in Campania, seconda solo alla Lombardia che ne conta 72.
Un fenomeno singolare, perché nelle guide italiane la Campania non viene tenuta in considerazione come avviene nella guida Michelin nonostante sia la seconda regione italiana e la sua profonda, ampia e variegata tradizione gastronomica.
Fatta eccezione per i tre ristoranti stellati in Costiera Amalfitana, dove la Michelin premia gli investimenti, il filo conduttore di queste storie è la famiglia: quella di Federico e Salvatore, in attesa di un bimbo, quella di Mellino con il papà che sale sul palco, quella di piazzetta Milu con i sacrifici fatti dai genitori di Maicol, Emanuele e Valerio partiti da una braceria e che hanno investito e creduto nelle aspirazioni dei loro tre figli. Quelli della famiglia Avallone, che ha investito fortemente nella ristrutturazione dell’albergo scegliendo un professionista serio, che non lascia la cucina per girare al seguito di guide pezzotte, concentrato su quello che deve fare. Sono storie di sacrifici, che spesso esplodono in un pianto liberatorio quando arriva l’impensabile, quando il sogno di una vita si realizza, perché si sa che qui da noi al Sud è tutto più difficile, vuoi per la mentalità individualista e la scarsa capacità di fare rete, vuoi perché le istituzioni sono da tempo in un impasse dal quale i giovani si sentono soffocati e preferiscono fuggire.

Bisogna dire che il successo non cade dall’alto. Fabrizio, classe 1991 arriva alle tre stelle dopo una lunga gavetta: mentre il fratello studiava in Svizzera la sala, lui Ha studiato all’Istituto Paul Bocuse di Lione, poi arriva a Les Terrases D’Uriage a Grenoble, è incisiva e folgorante l’esperienza con Alain Ducasse nel 2013 così come quella con Quique Dacosta al Denia nel 2014. Anni e anni prima di prendere il comando della cucina. Fuori apprende la tecnica, in Francia la disciplina, in Spagna il gioco con la materia prima, tutto nella cornice mediterranea dello stile orto-mare della Penisola Sorrentina che si è imposto con forza. Una strada iniziata tanti anni fa, fu questo il ristorante dove nel 1998 Carlo Petrini celebrò la nascita dei presidi Slow Food.

Lunga anche la gavetta di Maicol Izzo, classe 1993: due anni a La Torre del Saracino con Gennaro Esposito, quindi tre nel gruppo ElBarri di Albert Adrià, nei suoi vari indirizzi; e tra l’uno e l’altro, anche stage al Dorchester di Londra con Alain Ducasse, allo StreetXo madrileno con David Muñoz e al Mirazur con Mauro Colagreco. Nel 2019 il ritorno a casa, l’incubo del lockdown e poi la ripartenza insieme ai fratelli, molto uniti fra di loro e con i ruoli ben distinti: Emanuele divorato dalla passione per i vini, Valerio in sala.
Domenico Candela, anno 1986, fa la sua esperienza in Francia dove impara il rigore e la disciplina al Taillevant e da Alleno. Dal 2018 torna a Napoli attratto dal progetto messo in campo dai fratelli Tani e Maria Ida Avallone.

Storie vere, storie di una generazione di cuochi vissuti per lo meno una decina di anni all’estero, che ieri si sono magicamente incrociate sul palco del teatro di Brescia portando la Campania sugli scudi e rilanciando ancor di più questa regione come esempio da seguire nell’investimento enogastronomico.
La Michelin dal canto suo occupa rapidamente lo spazio lasciato vuoto dalle guide italiane storiche, attovagliate su temi vecchi e spesso su pregiudizi, con non pochi conflitti di interesse, incapaci soprattutto, come ha fatto la Rossa, di saltare dal cartaceo all’on line nel giro di pochissimi anni. Proprio in questo salto i francesi hanno poi messo le distanze nei confronti degli italiani, sostanzialmente rimasti con editori alle spalle impegnati a tagliare i costi invece che a investire.
Ed è così che in Italia a scrivere i buoni e i cattivi sulla lavagna sono in francesi.

 


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