Vairano Patenora, Il Vairo del Volturno e la cucina di Renato Martino

Via IV novembre 60
Tel. 0823.643018
www.vairodelvolturno.com
Sempre aperto, chiuso il marted’ e la domenica sera
Ferie: tre settimane a luglio

Ci sono due strade gastronomiche parallele in Campania, un po’ come l’Appia e la Casilina. La prima è Costiera, parte da Sud a Quarto e arriva sino alla Cantinella del Mare a Villammare deviando per le isole e correndo la costa. E’ la strada delle acidità, del sapido, della creatività. L’altra parte a Caianello e scorre tra la Telesina e l’Irpinia fermandosi all’Oasis: è quella dei sapori terragni declinato sulle carni e la pasta fresca, delle morbidezza, del classico rivisto e aggiornato. La prima stazione di posta per il viandante che viene da Roma è il Vairo del Volturno.

 

Semplificazione giornalistica ovviamente, che però centra la doppia anima della Campania, l’eterna dialettica che si gioca da secoli tra città e campagna, zone interne e costiere, sovraffollamento da manicomio e pace dei sensi con la natura.

Una regione grande. Torniamo al Vairo del Volturno dopo tre anni, mica uno. L’antica trattoria di paese aperta negli anni ’60, siamo proprio all’uscita di Caianello sulla Napoli-Roma, fu rivoltata come un calzino da Renato, il nipote del titolare, all’inizio degli anni ’90 quando era possibile portare avanti questi progetti. Seguito con simpatia dalle guide, stella Michelin dal 2007, aderetente a Jeunes Restaurateurs d’Europe, il Vairo, animale mitologico metà volpe e metà lupo, esprime bene e compiutamente la realtà dell’Alto Casertano, terra di confine con il Lazio, ricca di biodiversità, fuori dai circuiti di massa, dominato dal vulcano di Roccamonfina dove nascono Ferrarelle e Lete.

Il benvenuto ci riporta però in Costiera, un cefalo fresco su un po’ di misticanza è molto buono. Così doverso dal modo tradizionale di cucinare questo pesce azzurro ex povero.

 

 

I tre antipasti sono ben eseguiti, saporiti, centrano la materia prima senza inguacchi e non gonfiano

 

 

I due primi sono morbidosi e ricchi, in puro stile campano, non scontati, capaci di coinvolgere qualsiasi tipo di clientela. Come anche gli altri, i cavatelli con guancia di bufalo e i tubettoni con pancetta di nero casertano, patate e provola.

 

Due piatti che ci riconciliano con la carne, di buona scuola, classici.

Il laticauda, lo ricordiamo, è un agnello importato dai Borbone dal nord africa capace di resistere meglio al caldo e alla siccità grazie alla sua coda larga che ha le stesse funzioni della gobba del cammello: è una riserva. Già nell’800 ci si  poneva il problema del surriscaldamento:-) E la dinastia dei Borbone diede molta importanza agli studi di zootecnia e di agrari realizzando ancora oggi opere insuperate nelle campagne di Terra di lavoro e nella piana vesuviana. Oggi questo agnello è diffuso soprattutto tra il Casertano e l’Irpinia, è più magro con un sapore più ruspande. Grande il pecorino.

 

In pasticceria Renato è a suo agio, ma non gli abbiamo potuto dare grande soddisfazione

 

 

 

Al Vairo l’esperienza è completa e appagante. Può essere sosta se siete in viaggio tra Napoli e Roma, meta se invece volete fare un bel fuoriporta.
Il menu della tradizione costa 40 euro (5 piatti più piccola pasticceria, come pure quello della bufala. 60 euro il menù delle idee e 100 quello a sorpresa con dieci portate.
La cantina è ampia con ricarichi professionali, ma noi eravamo lì per bere Nannì Copè in verticale:-)

 


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