Ametrano, la Falanghina di Poppea


Solo un antico muro romano separa la Villa di Poppea nel cuore di Torre Annunziata dalla azienda di Raffaele Ametrano. In questi antri sotterranei misteriosi nascono il Lacryma Christi nelle tre versioni classiche (rosso, rosato e bianco) e soprattutto la sua Falanghina che risolve molti problemi agli appassionati di questo vitigno alle prese con l’annata 2003.Come ha osservato Franco Ziliani su Winereport, la siccità dell’impossibile estate scorsa ha abbassato notevolmente l’acidità favorendo la concentrazione di zuccheri. Questo significa il rischio di avere un bicchiere bianco voltato alla calma piatta in bocca il che, soprattutto per noi campani abituati a privilegiare la freschezza alla morbidezza, può tradursi in un flop spettacolare. La vedo difficile soprattutto per il Fiano e il Greco di Tufo, due vitigni sempre a disagio con il caldo e la siccità, e per alcuni bianchi sanniti e cilentani. Fa eccezione invece in maniera naturale l’Asprinio di Aversa 2003 che si presenta con un equilibrio senza precedenti in alcune favolose interpretazioni, tra cui Magliulo e Caputo, dall’incredibile rapporto tra qualità e prezzo. E fa eccezione questa Falanghina 2003 Pompeiano igt voluta dal giovane Raffaele Ametrano e pensata da Amodio Pesce.Per svelare i misteri del miracolo basta una visita al vigneto, sei ettari curati da Raffaele, piantato sulla sabbia nera vesuviana a ridosso dell’area protetta del Tirone da cui si gode la vista della Terra delle Sirene e di Capri. Con meno di cinque euro, dico cinque Iva inclusa, avrete un bianco molto elegante, con decisi sentori di ginestra e poi di albicocca, intenso e persistente al naso e in bocca dove è lungo e lascia la bocca assolutamente pulita. Tipico e irripetibile. Dietro i buoni risultati, come sempre, c’è la fertile qualità della campagna vesuviana: non solo uva, ma olio d’oliva extravergine, frutta e ortaggi, la vicina azienda zootecnica della sorella e del cognato dove le vacche sono tenute allo stato semibrado. La beviamo su una caprese di mormora pensata da Rocco Iannone del Faro di Capodorso a Maiori o sull’insalata arabo-sannita di grano e mele annurche inventata da Said all’Antro di Alarico in quel di Sant’Agata dei Goti.