Dom Pérignon 2002 e Dom Pérignon Œnothèque 1996, prima italiana da Heinz Beck


Dom Pérignon a La Pergola

Serata di presentazione del Dom Pérignon 2002 e di Œnothèque 1996 alla Pergola dell’Hilton: come dire, classico con il classico in una degustazione condotta dal giovane enologo Vincent Chaperon (annata 1976) e Marco Ravasi, direttore Moet Hennessy Italia.
Due considerazioni fondamentali per cercare l’approccio al vino aziendale prima di passare ai peana obbligati per questi prodotti strepitosi e impagabili.

Vincent Chaperon con Heinz Beck

La prima è l’equilibrio tra rigidità ed elasticità della Dom Pérignon: ogni annata ha una sua storia, la scelta è rigorosamente di presentarsi con i millesimi, non importa quanto tempo sia necessario per ottenere il risultato voluto e cercare di capire l’andamento in bottiglia di questi vini.
Grande elasticità dunque nel blend, che varia di anno in anno, non esistono protocolli immutabili: varia anche lo stesso liqueur d’expédition, lo Chef de Cave decide insieme allo staff in base alle esigenze le quantità e le modalità. Quanta differenza con alcune rigide prescrizioni italiache nelle quali si scambia pasticceria e viticoltura!
Di converso, c’è anche grande rigidità nell’imprimere il marker dello stile aziendale: in sostanza le uve devono seguire un percorso predeterminato, la strada per arrivarci cambia di millesimo in millesimo. Talvolta si può anche decidere di non vinificare affatto se si pensa che lo standard possa abbassarsi in qulche modo sino a compromettere l’immagine del marchio.
In tal modo la maison, come del resto quasi tutte le grandi aziende di vino, elabora nel corso dei decenni un proprio stile, affidabile e al tempo stesso riconoscibile, fidelizzando gli appassionati.
La differenza con le caricature italiane di questa impostazione, è che la ricerca della riconoscibilità è sempre puntata al raggiungimento della complessità e della fascinazione del racconto nel bicchiere e non nella sua banalizzazione, tale da giustificare il prezzo anzitutto (230 euro per Œnothèque, 120/130 i millesimati), ma soprattutto la possibilità di realizzare alto artigianato.
Nell’ambito dello stile aziendale, l’appassionato riconosce le differenze tra le annate e ci si tuffa con dedizione. Niente Blanc de Blancs allora, e meno male!

Con Mentana, Heinz e Vincent Chaperon al termine della serata

Alla Pergola il grande Heinz ha presentato i suoi classici: terrina di foie gras d’anatra con mele affumicate, mandorle e amaretti, infuso di vitello, erbe e fava di Tonka con tartare di tonno al sorbetto di te verde, i fagotelli (che ho trovato parmigianosi e deludenti per l’assenza di dinamica palatale), il merluzzo nero su puré di ceci e crosta di San Daniele, la spalla di maialino iberico alla liquirizia con puré di patate alle erbe, infine la sfera ghiacciata di melograno su crema alla gianduia.

Ma non era il cibo ad essere il protagonista. Lo stile Dom si è imposto alla grande sin dalla degustazione condotta da Vincent.

La verticale Dom Perignon

Dom Pèrignon 2002
Vincent ci ha spiegato che questa annata viene considerata al pari della 1990 per grandezza e maturità espressiva nello Champagne. Sarà in commercio a settembre. Le note dello Chef de Cave Richard Geoffroy sono le seguenti: “Annata molto concentrata, il 2002 esprime tutto il potere delle uve raccolte al colmo della maturazione, andando ben oltre il carattere dell’annata, migliorandone la naturale ricchezza, facendola vibrare in ondate e conferendole maggiore precisione e profondità. Il 2002 è un vino magnetico e al tempo stesso elusivo, che rivela la duplice natura di Dom Pérignon”.
Le mie più modeste note parlano di impressionante freschezza, sapidità ed estrema pulizia in bocca dove è davvero magnifico, appena appena un po’ discreto il corpo che non si impone con la forza. Il naso ha prevalenza di lieviti dolci di pasticceria rinfrancati dalle note agrumate di arancio, belle anche le note fumè che poi rimandano alla mineralità in bocca.
Il 2002 è una sciabola fantastica da usare sulle interpretazioni moderne della cucina, penso ad alcune creazioni di Nino Di Costanzo e Michele Deleo soprattutto.

Con Heinz e i carissimi amici Clara Barra e Antonio Paolini

Dom Pèrignon 2000
Dom risente dell’annata calda, in bocca è decisamente più rotondo e direi anche meno profondo del 2002. L’impatto è più facile e immediato, leggermente più fruttato anche se ben sostenuto dall’acidità presente ma non caratterizzante. A distanza di dieci anni, comunque, resta un grande vino.

Dom Pèrignon 2000 rosé
Stesso discorso sul rapporto tra frutto e acidità, direi leggermente più accentuato a favore del primo aspetto dal ruolo del pinot nero: uno Champagne capace di sostenere davvero qualsiasi tipo di piatto, gratificante e appagante in bocca.

Dom Pèrignon 1996
Distribuito nel 2003, il bianco mantiene intatte le sue caratteristiche a distanza di 14 anni, intrigati da un filo ossidativo che ne segna la vibrante maturità e la piacevole e incredibile tenuta nel bicchiere. In bocca è pieno, di corpo, ben strutturato di ampio respiro. Nel bicchiere cambia in continuazione ed è un vero piacere stargli dietro. In bocca appaga e lavora.

Dom Pèrignon Œnothèque 1996
Scrive Richard Geoffroy: “La pienezza iniziale dell’annata è proiettata in Dom Pérignon Œnothèque 1996. Pur rimanendo puro, preciso e tattile, abbraccia il Dom 1996 nella sua intensità e complessità. La prospettiva magica offerta da Œnothèque è la ricompensa per il suo maggiore invecchiamento.”
Subito tappo di sughero invece che quello di acciaio, prima stazionamento sui lieviti per almeno quattro anni regalano a questo vino, entriamo nel mondo del vino ha detto Vincent, una freschezza profonda e tanta complessità aperta dalla frutta gialla, poi seguita da note agrumate, nota fumé e poi sapida in bocca, leggera tostatura (che ritroviamo più marcata nel 1996) ancora lieviti di pasticceria e frutta candida. Il tutto marcato da grandissima, interminabile, autorevole freschezza.
Proprio la profondità di gusto, che ha un immediato riflesso nell’approccio mentale, è l’asso nella manica di questo vino. Purtroppo le parole non potranno mai definire con precisione un vino, del resto neanche un uomo, ma vi assicuro che la cifra stilistica di questo Champagne è assoluta, un prototipo dal quale poi prendere le misure per tutto il resto della vostra esistenza nel bicchiere francese.

Claudia Shiffer per Dom Perignon

LE DUE SCHEDE TECNICHE DEGUSTATIVE
Dom Pérignon Œnothèque 1996
Note gustative di Richard Geoffroy, Chef de Cave
Annata 1996
L’annata 1996 si distingue per la forte personalità. L’anno era pieno di contrasti, con tempo variabile in estate, precoce siccità e un periodo di caldo prima della vendemmia. La maturità delle uve, in particolare del Pinot Nero, era intensificata e caratterizzata da un equilibrio unico tra forza e acidità. Richard Geoffroy, Chef de Cave Dom Pérignon, ha risposto alla singolarità dell’annata ottenendone spiccata autorità. Il risultato: una sottile interazione tra il carattere impetuoso del vino e lo stile di Dom Pérignon che ne contiene il vigore.
Al naso
Sentore di pralina che rapidamente si unisce a cedro e fichi secchi. L’insieme sprigiona note sottostanti di iodio e torba.
Al palato
Concentrazione e movimento competono per il controllo in un apparente paradosso. La struttura del vino è tesa e assertiva. La sua energia, quasi tattile, è contenuta per un attimo, poi vibra ed esplode, per raggiungere una superba e persistente ricchezza, distintiva e persuasiva.

Dom Pérignon Vintage 2002
Note gustative di Richard Geoffroy, Chef de Cave
Annata 2002
La primavera è stata calda e secca, senza particolari gelate e una fioritura quasi perfetta. L’estate si è caratterizzata per lunghi periodi di sole, inframmezzati da momenti di nuvole e pioggia. Il tempo inaspettatamente perfetto, proprio prima della vendemmia, ha compensato le pesanti piogge di fine agosto e inizio settembre. Le viti erano in buono stato e la disidratazione delle uve ha contribuito a fargli raggiungere nuove vette di maturità. La vendemmia si è svolta tra il 12 e il 28 settembre.
Al naso
I primi sentori di mandorla fresca e aromi di vendemmia si aprono subito a limone in conserva e frutta secca, il tutto arrotondato da qualità tostate, affumicate e più scure.
Al palato
La presenza del vino sul palato è immediatamente accattivante. Concentrato ma paradossalmente cremoso, è energico e caldo in bocca, concentrandosi sulle note fruttate, che lasciano spazio gradualmente a note più profonde. Il tutto mantiene la sua struttura in modo perfetto e intenso, con un accenno sottile ed elegante a un amaro di sottofondo.

www.domperignon.com

8 Commenti

  1. scusa pigna ,al di la’ dell ‘nvidia per lo champagne non si capisce se hai mangiato adeguato oppure no . citi solo un piatto . gli altri com’erano ?

      1. che mi pare sia la versione professionale e chic del mio piu’ radical -pop ” potabile” , o sbaglio ?

        1. Tenuto conto di dove eri, Luciano, direi che sul versante cibo la serata è stata deludente. O sbaglio?

      2. Sicuramente con questi Champagne avrei preferito altro: la zuppa ghiacciata di Uliassi?
        Credo che solo il foie gras è stato all’altezza delle necessità di abbinamento

        Comunque quello che capisco è che quando si tratta di accoppiare chef e vino la cosa funziona raramente, spesso sono due mondi che non comunicano nemmeno in queste occasioni nelle quali sono costretti ad incontrarsi.

        Sinora la creazione migliore per un abbinamento resta la zeppola di astice, quasi dolce, pensata da Don Alfonso per la presentazione del primo Campanaro dei Feudi. Ormai 15 anni fa.

        Credo che in questo caso lo chef deve mettersi al servizio del vino e creare qualcosa. Magari di divertente più che di impegnativo. Fare piatti di routine, molti di noi avevano già le foto, per una presentazione di Dom Perignon significa anche rischiare di banalizzare la serata

        Detto questo cibo e servizio sono stati eccellenti e sicuramente di alta qualità. Ma sotto le mie aspettative: volevo un acuto dalla cucina che non è arrivato. Tutto qui

        1. A Maffi e Grammauta
          A mio avviso il buon Pignataro era stato abbastanza esplicito.
          Che bisogno c’era di costringerlo a fare esercizi di equilibrismo.

  2. ho vissuto la medesima esperienza, con le dovute e rispettose proporzioni, martedì scorso al ristorante Coquì di Novayardinia a Castellaneta Marina, dove la Nazionale Italiana Cuochi ha fatto un “allenamento” a porte aperte in abbinamento ai miei vini. Piatti senza nerbo e personalità e totalmente oscurati dai vini.

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