Il bere moderato nella cultura classica dei greci e dei romani


di Enrico Malgi

L’Italia da sempre contende alla Francia il primato mondiale della produzione vinicola, dell’alta qualità e dell’esportazione. A livello nazionale siamo intorno ai 46-47 milioni di ettolitri di vino prodotto. Nel volume dell’export, poi, nel corso del 2009 si è avuto un incremento addirittura del 10,2% rispetto all’anno precedente. Una crescita costante che ha consolidato la leadership del nostro Paese, tanto da raggiungere la cifra record di circa 19 milioni di ettolitri di vino spediti all’estero, pari a oltre il 20% di tutto il totale mondiale. Per quanto concerne il consumo interno, nonostante alcune aziende abbiano lamentato una situazione precaria per via della crisi economica, il trend è stato anche qui generalmente positivo.

Questo andamento, comunque, tiene conto anche di alcune componenti penalizzanti, come le nuove disposizioni del codice della strada, che vogliono giustamente stroncare l’eccesso del consumo di alcolici per chi guida. E questo induce a considerare che il vino è comunque una bevanda mediamente alcolica, per cui non bisogna esagerare nel bere. Nella fattispecie è d’uopo seguire l’esempio dei nostri illustri antenati che, come sempre, ci indicano la strada da seguire.

Gli antichi Greci, infatti, per evitare l’ubriacatura, che spesso sfociava in zuffe oltre a cagionare mal di testa e di stomaco, suggerivano una certa moderazione. Platone, a questo proposito, affermava che: “Bere vino moderatamente aiuta a pensare più liberamente”. Rapportata ai giorni nostri, questa massima è ancora valida, soprattutto se si pensa al controllo con l’etilometro per misurare il tasso alcolemico nel sangue. Dioniso, in una commedia di Eubulo, raccomandava: “Tre coppe di vino non di più stabilisco per i bevitori assennati. La prima per la salute di chi beve; la seconda risveglia l’amore e il piacere; la terza invita al sonno. Bevuta questa, chi vuol essere saggio se ne torna a casa. La quarta coppa non è più nostra è fuori misura; la quinta urla; la sesta significa ormai schiamazzi; la settima occhi pesti; l’ottava arriva lo sbirro; la nona sale la bile; la decima si è perso il senno, si cade a terra privi di sensi. Il vino versato troppo spesso in una piccola tazza taglia le gambe al bevitore”. Come si vede, questa è un’autentica lezione del passato che vale anche, e soprattutto, per i giorni nostri, come invito a moderarsi nel bere.

Saffo e Alceo

Alceo, invece, poeta e uomo politico di Mitilene capitale dell’isola di Lesbo e contemporaneo di Saffo, inneggiava all’arte di eccedere nel bere vino (sempre con una certa misura, comunque). Nel sympòsion (da syn e pìnen, cioè “bere insieme”) prima  che fosse distribuito il vino bisognava aspettare che facesse buio. E qui Alceo dichiara il suo amore per questa bevanda inebriante, insieme all’ansia di bere subito senza tergiversare, tanto che si rivolge al simposiarca in modo pressante e fremente: “Perché aspettare le lampade? Di luce, ormai, resta soltanto un dito, prendi le grandi coppe decorate. Dioniso, il figlio di Semele e di Zeus, ha fatto dono agli uomini del vino, oblìo dei mali. Mischia una parte d’acqua e due di vino. Riempi le coppe, brinda…”.

Nella seconda metà del VI secolo a.C. Anacreonte di Teo ricorda l’importanza del vino nelle vicende d’amore: “Porta l’acqua, ragazzo, porta il vino, porta fiori in ghirlanda, porta tutto. Io voglio fare a pugni con Amore”. Ma poi è egli stesso che invita a una saggia moderazione nel bere, perché sa che del vino si può fare cattivo uso. Chi eccede diventa fastidioso, irritante, volgare, quindi, non bisogna mai esagerare: “Su ragazzo, fa presto, porta una coppa. Unisci dieci mestoli d’acqua, cinque di vino. Voglio fare un baccanale, ma con misura. Non voglio né rumori, né schiamazzi. Non facciamo una bevuta scitica! Piccoli sorsi, in mezzo a canti belli”.

Anche Teognide di Megara, autore di un manuale di buone maniere, una sorta di primitivo galateo etico del tempo, invita a saper bere con parsimonia e responsabilità: “E’ così buono il vino, ma chi si ubriaca non mi piace”.  E poi ribadisce subito dopo il concetto di moderazione, che non significa affatto rinunciare al piacere di bere il vino, tutt’altro: “Chi nel bere ha misura non è cattivo, è buono”.  E poi, rivolgendosi a un ipotetico interlocutore, finisce con una sua morale, che esorta alla giusta misura: “Per gli uomini, sta tra due brutti estremi il bene: sete che spossa e sgradevole ubriachezza. Starò nel mezzo: non mi convincerai a bere troppo, ma neppure a non bere”. Sempre e comunque, come buona abitudine, usare moderazione nel bere alcol, come ci insegnano questi illustri personaggi della storia antica: Est modus in rebus”.

Per evitare i cattivi effetti del vino, mentre si beveva, si mangiavano degli stuzzichini e dei dessert, chiamati “deutèrai tràpezai” e che comprendevano pasticcini, frutta fresca e secca come noci, mandorle e poi formaggi e miele.

Il vino veniva anche concepito come strumento pedagogico e portatore di verità. Secondo Socrate, e soprattutto il suo discepolo Platone, quando si beveva vino esso si prestava bene a una sorta di esperimento, che permetteva di conoscere veramente gli altri, rendendo così possibile il miglioramento della loro natura. Il proverbio “in vino veritas” è stato attribuito al poeta greco Alceo e si riferiva proprio all’azione del vino stesso quale forza liberatrice da ogni falso ritegno e senza infingimento alcuno. Questa frase poi, così propriamente detta in latino, fu successivamente appioppata a Plinio con un significato diverso. Questi, infatti, sosteneva che l’ebbrezza, causata dal vino, avesse virtù medianiche e in più facilitava il discorso. Insomma, chi beveva vino in eccesso diventava logorroico e, quindi, era d’accordo in parte con Alceo. Penso che anche ai giorni nostri una bevuta sostenuta porti a ridurre i freni della lingua! Comunque, cerchiamo sempre di essere moderati e beviamo il vino solo se accompagnato da buon cibo. E’ proprio quello che affermo ogniqualvolta conduco una serata di degustazione. Bere vino deve significare un momento piacevole e conviviale, ma non deve assolutamente prenderci la mano. Prosit!

4 Commenti

  1. Com’è sconsolante! Adesso che questo post sta per andare in archivio mi rendo conto che certi argomenti sono tabù. non si possono toccare, come i paria indiani. Io credevo di lanciare un messaggio pedagogico, propedeutico, attraverso l’esempio e l’insegnamento dei nostri antichi e saggi antenati e invece, devo prendere atto che tutto questo non interessa proprio a nessuno. E affermo ciò non perché ho scritto io questo post, piccolo carneade manzoniano, ma pensavo seriamente che ci fossero molti interventi di condivisione sull’argomento specifico. In fin dei conti si tratta pur sempre di un piccolo suggerimento al bere vino in modo consapevole e responsabile e non di doverci rinunciare, tutt’altro. D’altra parte, su questo blog tratto con cadenza settimanale argomenti su aziende vitivinicole e, quindi, implicitamente lancio un imput a comprare vino e a consumarlo, ma sempre moderatamente e, come le medicine, preso insieme ai pasti. Chiedo scusa di questo mio piccolo sfogo, soprattutto a big Luciano che pazientemente e fraternamente mi ospita. Abbracci.

  2. bel post.
    del resto il sommelier dell’antichità non era altro che una figura a metà tra un cameriere e uno psicologo, il cui compito fondamentale era di variare la percentuale di acqua nel vino in base all’andamento (e agli umori dei commensali) della “bevuta”.

  3. Bellissimo e interessante articolo. La vera Filosofia del bere è quella delle origini, appunto Greca, pura integra, senza sorta di deviazioni esterne. La vita semplice ed ” essenziale ” induceva, le illustri menti, Socrate, Platone, a partorire concetti puri.
    Bellissimo
    Grazie Enrico

I commenti sono chiusi.