50 Top Pizza: vince l’Italia che lavora, perdono quelli che hanno perso tempo a Giocagiò


Devo dirvi la verità, ogni volta che entro in una pizzeria, da Palermo a Verona, da Milano a Torino, da Roma a Napoli, respiro sempre una atmosfera vibrante, ricca di energia, tensione, impegno. Altro che Sussidistan come ama dire il neo presidente di Confindustria che si sta per riprendere il governo!
Vedo ragazzi fare con il sorriso un lavoro durissimo, soprattutto d’estate, non c’è praticamente nessuno che si distrae, o perde tempo.
Vedo l’uso, vero o semplicemente magnificato poco importa, di prodotti di qualità. So per certo che tanti piccoli produttori hanno trovato nei pizzaioli i loro santi in Paradiso, quelli che pagando cash li hanno sottratti dallo strozzinaggio del sistema bancario.
Vedo architetti che tornano al lavoro disegnando locali stupendi.
Vedo la creatività e la voglia di sperimentare come in nessun altro settore.
In una parola: non sembra di stare in Italia.
Fate questo esperimento: entrate in un ufficio pubblico, Poste o Comune che sia. Poi passate in una pizzeria, qualunque essa sia, e avrete la sensazione precisa non di essere in due paesi, ma in due pianeti diversi.
La seconda è comunque Italia. Ma c’è l’Italia che con i regolamenti, le vessazioni burocratiche, le tangenti o le mazzette per spostare una carta, i controlli ripetuti ogni oltre ragionevole dubbio, le tasse e le cartelle esattoriali divora e blocca l’Italia che lavora e che produce ma che non ha l’intelligenza di scegliere bene i propri rappresentanti, anche perchè obiettivamente è difficile in una offerta politica che oscilla fra populismo e partiti dei pensionati.
50Top Pizza sin dall’inizio ha avuto l’ambizione di raccontare questa Italia che lavora e che si impegna, che ha un progetto di vita fatto di lavoro e di impegno.
Rivedere la classifica di 50TopPizza 2017 sembra di leggere una situazione non di tre anni fa, ma di un secolo fa, tante e tali sono state le aperture e gli investimenti, l’ingresso in scena di nuovi protagonisti.

Gino Sorbillo

Gino Sorbillo

Non è stato facile cavalcare questa onda che è ancora ben lontana dalla spiaggia: come tutte le cose nella vita, si è proceduto per aggiustamenti progressivi. Questo perchè non possono esistere regole astratte a cui si deve adeguare la realtà, ma vivecersa, è la realtà che può e deve suggerire nuove soluzioni e regole.
Per esempio, una di queste di cui abbiamo dovuto tenere conto, è la nascita delle catene artigianali di qualità delle pizzerie.
Un fenomeno che si è sviluppato sotto i nostri occhi giorno per giorno e che ha riguardato realtà che ben conosciamo (come ad esempio Fra Diavolo, Da Zero) nate proprio in questi anni, oppure lo sviluppo di pizzerie storiche da noi amate e rispettate, che hanno di fatto cambiato impostazione professionale mantenendo saldo il principio di replicare la propria artigianalità (Da Michele e Sorbillo). Oppure catene nate proprio come tali (Berberè, Ober Mama). Bene, sono imprese che, proprio come le singole pizzerie, fanno fatturato, assumono decine di dipendenti, si confrontano con le realtà più disparate al mondo, sono un riferimento a loro volta per piccoli o grandi produttori dell’agroalimentare italiano, sono una risposta sensata all’omologazione delle grandi catene di stampo anglosassone che vorrebbero, loro si, la Terra Piatta, tutti con lo stesso palato, tutti con lo stesso numero di calorie senza capire che il cibo non è un algoritmo, ma cultura materiale di un popolo, di una comunità.

Da Michele Milano, Alessandro Condurro

Da Michele Milano, Alessandro Condurro

Questo segmento lo abbiamo colto in ritardo, ma quest’anno ci siamo riusciti e sicuramente diventerà una parte sempre più importante del progetto 50 TopPizza che, con i numeri, ha dimostrato di avere ormai una vocazione internazionale perché è internazionale la spinta propulsiva del mondo pizza italiano, pur nella diversità delle sue articolazioni.

Gabriele Bonci

Un altro correttivo è stato creare la sezione Pizze da Viaggio, riproposte alla ribalta dalla pandemia in corso che ha riportato, come ha detto Gabriele Bonci durante la diretta, la pizza alla sua antica vocazione: essere portata a casa per la gioia dei bambini, oppure perché sei single e ti rompi di cucinare, oppure perché te la mangi in piedi appena fuori il locale. Bonci è stato il grande protagonista rivoluzionario di questo segmento e ovviamente una classificazione unica, che noi avevamo preso a modello, lo confessiamo, da 50 Best Restaurant finiva per mettere però Inaki Aizparte davanti a Ducasse, e dunque creava uno scompenso paradossale nel momento in cui si andava a valutare la pizzeria nel suo complesso. Questa idea della “Pizza da viaggio” è nata nel momento più difficile del lockdown, quando proprio chi era attrezzato per l’asporto ha potuto continuare a lavorare.
Anche perché quel che abbiamo detto per le catene, la qualità dei prodotti, gli investimenti, vale anche per le pizzerie da asporto. Anche qui la qualità è diventata eccellente. E se quest’anno ci siamo fermati a venti, il prossimo credo che arriveremo a 50 per dare il giusto valore a questo segmento del mondo pizza che vede veri e propri artisti al lavoro.

Sul piano della critica gastronomica, abbiamo avuto l’ambizione, partendo per la prima volta da Sud, di raccontare questa Italia, questo Mondo. Pensiamo di essere riusciti a evitare  l’errore di campanilismo che era dietro la porta, soprattutto su un argomento come la pizza. A differenza di altri, abbiamo guardato a questo mondo senza pregiudizi e mettendo da parte i nostri gusti personali. Abbiamo visto anche  come sia difficile esercitare in Italia un giudizio critico e autonomo. Il motivo è semplice: critica gastronomica ed enogastronomia italiana sono cresciute a braccetto in questi ultimi trent’anni di boom, tre decenni in cui però l’editoria del Belpaese ha individuato nella riduzione dei costi del lavoro la via di uscita ad una crisi di idee e di progetti. Ossia proprio il contrario di quanto hanno fatto i protagonisti del mondo del cibo che invece hanno investito in risorse umane, nella formazione, senza affidare i loro piani strategici a ringhiosi ragionieri motivati dalla invidia sociale nei loro tagli.

Gli sponsor ce lo hanno consentito. E a loro siamo grati per questa libertà. Anche questo non è facile da trovare in Italia dove molte aziende confondono la comunicazione con la promozione ed intervengono pesantemente nel merito delle scelte dei contenuti. Ma questo, a ben vedere è una miopia strategica perchè, appunto, mai nessun mondo potrà essere omologato e se tu pensi di fare business solo perchè fai vincere chi usa il tuo prodotto e non sulla qualità del progetto che ti dà una visibilità autorevole, sei destinato a spendere male i tuoi soldi. E soprattutto a spendere sempre di più per evitare che altri entrino nel tuo spazio con la tua logica.
I veri artigiani del gusto sono autonomi nelle scelte, e quelle aziende che lo hanno capito investono sulla qualità dei progetti che li vedono coinvolte e non perché piazzano Tizio o Caio primo e secondo.
La nostra forza nasce da questo rapporto corretto e pulito e, lasciatemelo dire, favorito, perché altri preferiscono le scorciatoie di chi alla fine sega l’albero su cui sta seduto.

Chi ha vinto dunque? Ha vinto l’Italia che produce, che rispetta le regole e che rispetta le competenze e la professionalità reciproca. L’Italia che crede ad una critica indipendente come valore assoluto e comune e che investe nella ricerca, che non si vende, che assume, che sostiene le piccole produzioni artigianali, che guarda alla industria di pregio per andare alla conquista del mondo grazie al Made in Italy.

Un progetto vince quando non è più solo la somma delle persone che lo compongono ma diventa esso stesso autonomo. E noi pensiamo che oggi 50 Top Pizza sia esattamente questo .
Ecco perché abbiamo anche scelto di non essere protagonisti nella presentazione dell’Edizione 2020 e ci siamo affidati ad un professionista come Federico Quaranta. Siamo stanchi di premiazioni che celebrano chi premia e non i premiati, in un rituale stancamente eucaristico, una notte dove tutte le vacche sono nere; fatto di chi ha fame di pedine e non di ambasciatori di un progetto di vita e di sistema.

Chi ha perso allora? Nessuno, ma solo quelli che hanno perso il loro tempo a parlare male di tutto questo per giorni, mesi, anni.
Ha perso chi vive per demolire il lavoro altrui.
Ha perso chi pensa che la Storia inizia con il proprio ingresso nel mondo e non ha studiato il passato, le relazioni e la storia delle persone e delle imprese.
A ben vedere, ha perso il dilettantismo.

Ha perso Giocagiò 2.0 :-)