Angelo Gaja: il vento dell’Europa e il nuovo mercato


angelo gaja

Riceviamo e volentieri pubblichiamo.

di Angelo Gaja

Il mercato del vino italiano attraversa una fase di profondo cambiamento ed offre spunti di lettura contrastanti.

Il consumo interno cala mentre l’export cresce. Ci sono produttori di vino che fanno difficoltà a vendere ed hanno le cantine piene, altri che sfruttano le opportunità dei mercati e svuotano le cantine. Il pessimismo di maniera si confronta con la retorica dell’ottimismo. Dove sta la verità? I numeri non dicono tutto ma aiutano a capire. L’export del vino italiano sfiora i venticinque milioni di ettolitri annui ed il consumo interno è di poco superiore ai venti: assieme costituiscono un fabbisogno di quarantacinque milioni di ettolitri ai quali va aggiunta la richiesta degli acetifici e degli utilizzatori di alcol. La produzione annuale dell’Italia rilevata dalla media degli ultimi cinque anni stenta a soddisfare il fabbisogno.  Il vino verrà a mancare?

CAUSE CHE CONTRIBUISCONO AD EQUILIBRARE IL MERCATO

Hanno contribuito il riscaldamento climatico e lo stato di avanzata obsolescenza del cinquanta per cento dei vigneti italiani ma ad accelerare il processo, in modo largamente inatteso, sono gli effetti prodotti dalla riforma del mercato europeo del vino voluta, imposta da Bruxelles ed entrata in vigore il 1° agosto 2009. Essa si era ispirata al comune buon senso, merce rara, mettendo la parola fine all’enorme spreco perpetuato per oltre trent’anni di denaro pubblico destinato alla distruzione delle eccedenze ed  introducendo misure atte a riequilibrare il mercato del vino. I contributi comunitari prima largamente sperperati vengono ora destinati a co-finanziare l’azione di promozione dei produttori di vino sui mercati extracomunitari e fanno volare l’export nonostante i tempi di crisi. In breve tempo il numero delle cantine esportatrici è cresciuto di oltre il trenta per cento, sdoganando anche un ampio numero di produttori artigiani, incoraggiandoli a fare rete, ad andare sui mercati esteri a narrare, a raccontare storie e passioni legate a tradizioni od innovazioni, rendendoli compartecipi della costruzione di una immagine più autorevole del vino italiano.

A causa di tutto ciò sono in molti ormai a ritenere che il mercato del vino italiano stia vivendo un profondo cambiamento strutturale, mai vissuto prima, per affrontare il quale viene richiesto un approccio culturale diverso.  

PENSARE DIVERSAMENTE

Andrà rafforzata l’azione di vigilanza per prevenire la produzione di vino falso. Occorre  smettere di pensare che la concorrenza ce la dobbiamo fare tra produttori italiani, che il nemico sia il collega concorrente vicino di casa. Non è pensabile che la pioggia di contributi comunitari per co-finanziare l’export del vino europeo sui mercati extra-europei continui ininterrottamente: perché mai i cittadini europei dovrebbero essere tassati per realizzare questo obiettivo?
Imparare a costruire reti di impresa anche soltanto con soldi propri.

Il mercato interno resta quello più difficile ma è prezioso perché forma e costruisce gli imprenditori: è un errore screditarlo o trascurarlo. I produttori i cui vini godono di un adeguato posizionamento sul mercato italiano sono spesso gli stessi che raccolgono buoni risultati sui mercati esteri.

L’equilibrio tra domanda ed offerta porrà a tutti maggiori responsabilità ma è di forte sprone per produttori ed operatori a crescere, a divenire imprenditori più capaci e preparati ad affrontare il mercato.

Un commento

  1. Quoto convintamente questo grido d’allarme di Angelo: “Andrà rafforzata l’azione di vigilanza per prevenire la produzione di vino falso”. Vivo da vent’anni in Polonia e qui arrivano tutte le ciofeche in bottiglia che sul mercato italiano non possono nemmeno affacciarsi nei discount. Ci sono vini “italiani” con nomi di fantasia a prezzi irrisori, ci sno vini DOC e DOCG col retrogusto d’inchiostro (i produttori sanno da cosa deriva), imbottigliati a centinaia di chilometri di distanza dalla zona d’origine e svenduti a danno di pari etichette di buona o di media qualita’. Dir’ di piu’. Da un paio d’anni queste bottiglie assolutamente scandalose stann aumentando. Approfittando delle leggi vinicole nazionali di certi Paesi dell’Est, si trovano perfino in enoteche e supermercati a capitale occidentale e vengono creati dei blog in cui i “winewriter” le propagandano come se fossero vini veri, buoni, consigliabili. Una cosa che prima non capitava. I falsificatori ormai usano il Web per farsi una verginita’ e crearsi un mercato a danno del vino ver, anche economico. Ormai come vino quotidiano ho dovuto io stesso rinunciare a bere italiano. Bevo vini sinceri portoghesi e spagnoli (quelli francesi no, gli econmici non mi piacciono proprio e fanno girare la testa) che sono veramente decenti, freschi, soddisfacenti. Per me, italiano emigrato, e’ una vergogna dover consigliare ai polacchi dei vini stranieri per esser sicuro che non comprino i nostri sottoprodotti. In Cechia, invece, dove la legislazione e’ piu’ severa e dove il consum del vino e’ una tradizione come da noi, quindi i consumatori sono piu’ preparati, h trovato qua e la’ dei vini italiani economici buoni, non falsi. Basterebbe quindi che le autorita’ vinicole italiane all’estero segnalino al ministero delle politiche agricole quel che si vende ma offende il buon nome del nostro Paese e si potrebbe agire alla radice del problema. Date retta ad Angelo, che ha avuto buon fiuto!

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