Azelia: vigna vecchia fa buon Barolo


Azelia

Azelia, la degustazione con Lorenzo Scavino

di Raffaele Mosca

Siamo a Castiglione Falletto, nel cuore delle terre del Barolo, e, per una volta, l’azienda non prende il nome dalla famiglia, ma da un fiore che cresce tra i filari di Nebbiolo. Il cognome è Scavino, lo stesso del Barolo boy Paolo, di cui Luigi, titolare di Azelia, è cugino e vicino di vigna. Ad accogliermi è il rappresentante della quinta generazione: Lorenzo, il più aitante dei giovani vignaioli di Langa, occhi azzurri alla Hugh Grant. Lorenzo è un cosiddetto social winemaker: ha svecchiato la comunicazione aziendale a suon di selfie tra le colline patrimonio Unesco e ha ammassato ben 15 mila seguaci su Instagram.
Piacente, cordialissimo, con una bella responsabilità sulle spalle – perché questa è una delle aziende storiche della zona – Lorenzo porta avanti la realtà di famiglia con la serietà di chi sa coniugare il virtuale con il reale, la comunicazione patinata su Instagram con la concretezza di prodotti solidi, costanti, che provengono, tra l’altro, da un parco vigneti con una delle eta medie più alte di tutta la Langa. Suo padre Luigi ha fissato anni fa un paletto qualitativo non da poco: niente Barolo da vigne con meno di 30 anni, perché la massima qualità viene fuori solo “in vecchiaia”. Può sembrare una pignoleria anti-economica, una sorta di feticismo della vite vecchia e poco produttiva sulla quale qualcuno avrebbe da ridire, ma, in un’annata come la 2017, siccitosa e bollente, la differenza si sente e come!
L’azienda ricade nel territorio di Castiglione Falletto, ma i vigneti sono quasi tutti a Serralunga d’Alba. La casa-cascina è tra le più semplici che mi sia capitato di visitare: sala degustazione con grande tavolo e orologio e pendolo del primo 900’ nell’angolo, cantina sotterranea e un archivio di annate storiche che ha pochi eguali in zona.
Si parte con un breve sunto della storia prima di passare agli assaggi. Azelia nasce negli anni 20’ con l’acquisto del podere da parte del bisnonno. Come potete immaginare se conoscete la storia della Langhe, l’azienda in origine era una fattoria a tutto tondo, con il bestiame, le colture promiscue, gli alberi da frutto e via dicendo, ma poi la vigna ha preso il sopravvento, anche perché “non c’è tempo di star dietro al resto quando si fa il Barolo”.
Fino a quarant’anni fa, l’uva veniva conferita in larga parte alle cantine sociali o utilizzata per produrre vino da consumare in casa, ma qui qualche bottiglia di vino si faceva già negli anni 30’.  Nel 71’, quando Ratti introduceva la prima gerarchia dei Cru, Azelia era già un nome conosciuto, e Lorenzo racconta che suo nonno è stato tra i primi produttori in assoluto ad esportare Barolo negli Stati Uniti. La realtà, in fin dei conti, aveva la sua fetta di mercato anche prima della rivoluzione degli anni 80’ ed è anche per questo che Luigi non ha mai aderito alla corrente modernista.  Certo è che qualche barrique è stata introdotta negli anni 90’, ma le care vecchie botti grandi non sono mai sparite dalla cantina. Tutt’oggi il protocollo è quello “tradizionale”: fermentazioni senza inoculo di lieviti, macerazione di 20-25 giorni, affinamento in botti da 25-30 hl di Slavonia, nessuna filtrazione prima dell’imbottigliamento. Sul fronte agronomico c’è veramente poco da dire, perché con parcelle così “antiche” non c’è bisogno di far molto: si va di rame e di zolfo quando serve… e bom*.
*classico intercalare piemontese

Azelia

Azelia

Langhe Nebbiolo 2019

Ha un profilo davvero accattivante il piccolino di casa, che proviene dalle vigne che hanno meno di 30 anni. Profuma di ribes rosso ed erbe aromatiche, arancia sanguinella, humus. E’ disinvolto e sfizioso, giocato tra frutto, acidità squillante e un tannino vispo che lo rende più beverino. Perfetto per i tajarin con la salsiccia di Bra.

Barolo 2017

Da viti nelle parti più basse dei cru San Rocco, Solanotto, Altenasso, Broglio, Voghera e Cerretta. Svela un profilo austero, scuro di legno arso e cuoio, ruggine, more e bacche di rovo. In bocca è sanguigno e serrato, dinamico nell’allungo che fa forza su di un tannino grintoso. Lo vedo bene con il classico stracotto.

 

Barolo Bricco Fiasco 2017

Dal cru storico della famiglia Scavino in quel di Castiglione Falletto. E’ intensamente speziato, con pepe, cannella, chiodo di garofano, lampi di fiori freschi e piccoli frutti neri. Il sorso è potente, compatto e allo stesso tempo fluido. Tannini già ben integrati fanno da spalla al frutto e bilanciano la progressione agile, succosa. Dei quattro Cru è quello che stapperei seduta stante.

 

Barolo Margheria 2017

La vigna, che si trova proprio sotto al castello di Serralunga, è la stessa da cui Gaja attinge parte delle uve che danno vita allo Sperss. Il profilo è tipicamente “serralunghiano”: poco concessivo, ma profondo. Emergono ricordi di sottobosco e tabacco, viole appassite, una nota ematica. Non c’è nulla di lieve o sbarazzino nel sorso: solo una spinta minerale di marziale potenza e tannini che asciugano senza graffiare. Brasato al Barolo se lo si vuole stappare adesso, ma lo terrei da parte per qualche annetto.

Azelia

Azelia

Barolo San Rocco 2017

Naso spiazzante, inebriante: liqurizia, anice, sandalo, creme de cassis e rosa rossa s’intrecciano con toni più profondi di spezie scure, tabacco, concia. La parte fruttata è più dolce, più soave e il tannino impeccabile fa da sfondo a un’esplosione di ritorni aromatici che spaziano dagli infusi da Vermouth al succo di lamponi. Le vigne 65enni hanno partorito un vino straordinario, che trascende completamente l’annata calda.

 

Barolo Cerretta 2017

La new entry della gamma aziendale: le piante del cru Cerretta hanno compiuto 30 anni proprio nel 2017. Profuma di chinotto, fuliggine, mirtilli neri ed erbe officinali. E’ simile al Margheria in termini di potenza e austerità: sanguigno e sontuosamente tannico, ma anche floreale e balsamico nella chiusura energica, precisa, di ottima persistenza. Un altro enfant prodige.

 

Barolo Bricco Voghera Riserva 2010

Riserva da parcella centenaria, nella quale sono presenti anche delle piante a piede franco. Trascorre cinque anni in bottiglia e cinque anni in botte grande e, all’alba dell’undicesimo anno di vita, disserra aromi caleidoscopici di tè nero, tabacco, catrame, tartufo, pot-pourri di fiori rossi, spezie scure. In bocca è tosto, integro: tannini ancora esuberanti sostengono lo sviluppo travolgente e il finale è un susseguirsi di ritorni ammalianti di erbe officinali e menta, ruggine, arancia sanguinella. Semplicemente monumentale.