Bologna senza segreti (gastronomici) nella guida ai suoi 258 ristoranti


di Andrea Guolo

Ma come avranno fatto? È la domanda che mi sono posto, leggendo questo libro che nel suo genere ha dell’incredibile. Giulia Rossi e Fabio Bottonelli, colleghi giornalisti piuttosto noti sotto le Due Torri, hanno dato alle stampe la prima guida veramente completa ai ristoranti bolognesi. Ne hanno recensiti un numero “clamoroso”, 258 tra città e provincia.

Il risultato di questa fatica editoriale e fisica, che comunque non mi pare abbia intaccato la forma fisica dei due (Fabio l’ho visto recentemente per Cantine Aperte, la moglie infatti è proprietaria di Manaresi, una delle più quotate aziende della doc Colli Bolognesi), è intitolato “Mangiare fuori a Bologna”, Pendragon editore. Poco meno di 300 pagine, godibili, ben scritte e ricche di informazioni, che aiutano a far luce sull’interrogativo che puntualmente tiene banco tra addetti ai lavori, cronisti del gusto e semplici appassionati: ma a Bologna si mangia davvero così male?

La mia risposta è… “ni”. Perché se da un lato è vero che il prestigio della “Grassa” si è nel tempo appannato, con i suoi migliori ristoranti collocati in fondo alla graduatoria delle più autorevoli guide nazionali – soltanto quest’anno la Michelin è corsa ai ripari, restituendo la stella a un’insegna cittadina, I Portici dell’ormai ex chef tedesco Guido Haverkock, recentemente sostituito da Agostino Iacobucci – dall’altro siamo comunque di fronte a un’offerta davvero importante e a “classici” che, comunque la si pensi, vanno provati senza remore.

Qual è dunque, secondo Rossi e Bottonelli, il miglior ristorante di Bologna e provincia? La valutazione, espressa per forchette (da una a un massimo di 5) e con dei voti specifici in stelle su menu, location e servizio, vede trionfare, se non abbiamo letto male (manca infatti nel libro un riepilogo iniziale, tipo quelli che troviamo nelle guide nazionali), un solo locale con il massimo dei voti. Ed è proprio I Portici di via Indipendenza, alla cui gloria contribuisce certamente il giudizio sulla location ad effetto, che si guadagna il numero più alto di stelle, ma anche l’ottima impressione sulla cucina e sul servizio, “pur con qualche piccola dimenticanza, forse da inesperienza” aggiungono i curatori.

Seguono, a quattro forchette, alcuni dei nomi più quotati della ristorazione di Bologna e provincia, dal cui territorio viene escluso l’Imolese, che meriterebbe una guida a parte e peraltro, viene precisato nell’introduzione, è già Romagna.

La lista viene aperta, in ordine alfabetico, dal Battibecco di Nico Costa, che occupa la piazza d’onore al pari della sorprendente Buca Manzoni dove opera il giovane Daniele Meli, dell’ormai consolidatissimo Caminetto d’Oro gestito dalla famiglia Carati, del sempre piacevole Ciacco, della rivelazione Da Francesco in via Mascarella, del nobile I Carracci del Grand Hotel Baglioni dove passano tutti i più illustri ospiti della città, de La Piazzetta che riqualifica in parte il caotico Pratello delle osterie, del Bistrot di Marco Fadiga (uno dei pochi dove si può ancora cenare dopo teatro), di quella roccaforte della tradizione “fatta bene” che è l’Osteria Bottega di Daniele Minarelli e di quello Scacco Matto che da quindici anni è il regno dello chef Mario Ferrara.

Fin qui il centro storico. In periferia le quattro forchette se le meritano Massimiliano Poggi con Al Cambio, Cesare Chiari per il Bitone, Tiziano Zirondelli con La Terrazza, i fratelli Leoni con la loro nuova avventura all’interno della “balena” sospesa su via Stalingrado (dopo le glorie raccolte a Trebbo di Reno) e quella Villa Aretusi dove da circa un anno opera in cucina Alessandro Panichi, allievo di Marchesi.

E poi la provincia… Le quattro forchette, meritatissime per Amerigo a Savigno, stanno un po’ strette ad Aurora Mazzucchelli con il suo Marconi (Sasso Marconi), gratificano la vocazione ittica dell’Antica Trattoria di Sacerno, consacrano gli enormi progressi de L’Anice Stellato a Zola Predosa e lanciano sulla scena il giovanissimo Dimitri Galuzin con l’Uinauino di Castel San Pietro Terme.

Diciamo che la classifica conferma da un lato l’ascesa di alcune realtà più o meno recenti della cucina bolognese, dall’altro il declino dei “mostri sacri” che hanno contribuito a scrivere la storia della locale ristorazione. Diana, Biagi, Rodrigo, Pappagallo e Donatello, pur non essendo propriamente stati “stroncati”, occupano posizioni di retroguardia, dalle tre forchette in giù.

Utilissima, infine, la sezione che chiude il libro e che, prendendo spunto da un precedente lavoro della coppia di autori, vi dice qual è il miglior locale dove mangiare la singola specialità bolognese. Scopriamo così che i tortellini in brodo dell’Annamaria non hanno rivali, che Biagi sa ancora fare il miglior arrosto misto della città, che la cotoletta alla bolognese è prerogativa dell’Osteria Bottega e che la lasagna verde fatta “come Dio comanda” si può trovare da Ciacco, che la tagliatella al ragù è quella del Caminetto d’Oro e che la zuppa inglese va necessariamente gustata Da Bertino.

Alla fine, dunque, a Bologna si mangia bene o male?

Una risposta ce la offrono gli stessi autori. Chi viene da fuori, in genere, sostiene che sotto le Due Torri si mangia piuttosto bene. Ma i bolognesi come la pensano? Rossi e Bottonelli ritengono che le cose, dopo un periodo di “stanca”, stiano decisamente migliorando grazie soprattutto a giovani chef che non hanno paura di reinterpretare la tradizione con creatività ma senza pasticci. Una cosa è certa: cenare a Bologna costa caro, mediamente più che in altre città di analoghe dimensioni, ed è quindi nella sua provincia che si possono trovare le soluzioni dal rapporto qualità/prezzo più interessante. Detto questo, si può concordare o meno con il giudizio espresso sui singoli locali, ma non si può non applaudire all’incredibile lavoro effettuato e che probabilmente non ha eguali in Italia. Chi avesse in programma un viaggio nel capoluogo emiliano farebbe bene ad acquistarlo, avrà di che divertirsi…

Un commento

  1. Sinceramente. Queste guide territoriali mi lasciano perplesso. C’è necessità di contentare un po’ tutti, in special modo si privilegia la “classica” ristorazione (vedi i locali premiati in centro). Tremo al pensiero di una guida simile su Firenze.

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