Cantina Antisociale – Enoteca d’arte, vini rari e cucina viva nel borgo segreto di Petritoli (FM)
Un ex autolavaggio trasformato in rifugio per spiriti liberi: qui si beve bene, si mangia meglio e si spegne il mondo per accendere la leggerezza. Non è per tutti, ed è proprio questo il bello.
di Tonia Credendino
Dove, cosa, quando, chi e perché
Siamo a Petritoli, tra le pieghe di un paesaggio che sa ancora custodire il silenzio. È qui che, una sera d’estate, ho varcato la soglia della Cantina Antisociale. Non un ristorante, non un’enoteca, non un bar: qualcosa di più raro. Un’idea viva, un progetto condiviso, una casa per chi ha bisogno di rallentare.
A darmi il benvenuto c’era Simone Roberti, con una bottiglia in mano e lo sguardo acceso di chi ha scelto la propria traiettoria. Benzinaio di giorno, oste di sera, cammina in bilico tra poesia e concretezza. Seleziona vini come fossero compagni di viaggio, mescola cultura pop e naturalezza, Guccini e Loira, senza mai perdere il filo della leggerezza. La sua è un’anima spensierata, ma lucidissima. “Antisociale”, come dice lui stesso, non perché contro, ma perché fuori dal rumore.
Fosca Rocchi, insieme a lui, è parte essenziale di questa visione. Non c’è un dettaglio che non racconti il suo tocco: le sedie spaiate, le luci calde, i quadri, i fiori. Il design qui non è arredo, è racconto. Fosca dà forma a uno spazio che ti abbraccia senza formalità, che sembra nato per stare bene. Insieme, hanno creato un luogo che somiglia a una casa stravagante e accogliente, piena di bellezza e libertà.
Dietro al banco c’è Gian Maria Fano, la cucina è il suo regno ma non ha bisogno di proclami. I suoi gesti sono quelli di chi sa. Ogni piatto nasce dal presente: da ciò che c’è, da ciò che vive. Non si conserva nulla, non si ripete nulla. Si cucina solo quello che vale la pena.
Un manifesto più che un locale
Alla Cantina Antisociale non c’è un’insegna che ti chiama da lontano, né un menu alla lavagna con le portate scritte in gesso. C’è una porta, una luce, una scritta verde al neon che dice tutto: “Vaffanculo”.
È ironia? È ribellione? È verità. È un filtro naturale: chi entra, lo fa perché sente che questo luogo gli somiglia. O perché spera che possa farlo.
I muri parlano, se sai leggere. C’è una lavagna che recita: “Sono un tipo antisociale. Non m’importa mai di niente. Odio l’ipocrisia morale. Odio le guerre…”
Più che una dichiarazione, è una selezione spontanea. Chi ha bisogno di convenevoli si sente fuori posto. Chi ama la libertà, la leggerezza, la sostanza, trova casa.
Anche in bagno, c’è sempre qualcosa che ti strappa un sorriso o ti lascia un pensiero addosso. Alla Cantina Antisociale nulla è casuale, ma niente è progettato per impressionare. È tutto così com’è: ruvido, vero, perfettamente imperfetto.
Qui il vino non è solo vino
La prima scelta della serata, come è giusto che sia in un’enoteca, l’abbiamo lasciata a Simone. Non abbiamo aperto la carta, non abbiamo fatto domande. Gli abbiamo solo detto: sorprendici.
È arrivato con uno Chablis di Alice e Olivier De Moor, e da lì si è aperto un racconto fatto di eleganza, tensione, naturalezza. Simone ama i vini veri, ma non quelli spigolosi per forza. I suoi sono vini “naturali” nel senso più profondo e pulito del termine: vini che sanno di terra, di storia, di bellezza, ma che si bevono con gioia. Non c’è bisogno di spiegazioni tecniche o di atteggiamenti radicali: qui il vino parla da sé.
La selezione è una delle più interessanti e vive che abbia mai incontrato. Accanto a bottiglie rare del territorio marchigiano, ci sono grandi nomi del vino naturale europeo: Jura, Champagne, Loira, Borgogna. Puoi trovare una referenza premiata da tutte le guide accanto a un produttore sconosciuto che fa fermentare in anfora in una valle dimenticata.
Ma non è una cantina per collezionisti: è una cantina per chi ama bere bene, senza barriere.
Non si sfoggia, si condivide. E in ogni bicchiere c’è una scelta, una coerenza, un’idea di mondo.
La cucina di Gian Maria: istinto, stagioni e verità
Alla Cantina Antisociale non c’è un menu da sfogliare. Si mangia ciò che Gian Maria ha trovato, immaginato, cucinato quel giorno. La sua è una cucina di gesto e intuizione, che nasce da ciò che è buono oggi, non ieri né domani. Una cucina che cambia, ma non rincorre. Che non si esibisce, ma racconta.
Si comincia con un soffio verde e dorato: fagiolini, patate novelle, brodo freddo di cetriolo alle erbe e sfoglie sottili di pesca tabacchiera. Un piatto che non vuole stupire, ma accogliere. La pesca, piatta e profumata, arriva come una carezza improvvisa: aggiunge dolcezza, ma anche fragilità. Il brodo è vegetale e silenzioso, parla di orto, pazienza, luce. Un inizio gentile, che mette subito a proprio agio. Come quando qualcuno ti guarda negli occhi e non dice nulla, ma ti fa capire tutto.
Poi arriva il pomodoro arrosto, accompagnato da prugna, tartufo estivo e finocchietto selvatico. Qui la cucina prende corpo: è intensa, profonda, estiva fino all’osso. La dolcezza della frutta si fonde con l’umami del pomodoro e la nota selvatica del finocchio. Un piatto che resta, anche dopo.
Il terzo passaggio è il più giocoso: anguria alla brace, peperone rosso, crema tonnata e portulaca. L’anguria, calda e affumicata, spiazza. La portulaca, croccante e leggermente acidula, rinfresca come una foglia raccolta al volo. Il peperone dà dolcezza, la tonnata avvolge. Un piatto felice, estivo, che ti fa sorridere — come una canzone leggera ascoltata sotto il ventilatore.
Poi la terra. La sostanza. Il piatto che ti riporta a casa: collo di manzo al pomodoro, cicoria amara, uovo sodo, acciuga. Qui c’è la forza, ma anche il garbo. La carne è tenera, il pomodoro profondo, l’acciuga spinge, la cicoria ripulisce. Un piatto di radici, che racconta memoria e mestiere.
E infine, un dessert che è una passeggiata tra piante aromatiche e dolcezza antica: fichi verdi, zabaglione profumato all’anisetta, sciroppo di cetriolo, olio di foglie di fico. Un finale sottile, verdissimo, inatteso. Che non chiude, ma apre. Come una finestra sul campo, prima di tornare a casa.
Più storie, meno follower
Petritoli è un borgo che sfugge ai radar. Una piega gentile nelle colline, lontana dalla corsa, dagli slogan, dai filtri. È qui che si nasconde la Cantina Antisociale. Un rifugio. Un manifesto di resistenza.
Resistenza alla velocità, all’apparenza, alla superficialità delle tendenze.
Alla Cantina Antisociale si viene per rallentare, per bere con cura, per guardarsi negli occhi.
Si viene per ascoltare storie vere, per entrare in una cucina che parla la lingua della memoria e dell’intuizione. È un luogo fuori dal tempo, dove ogni gesto è pensato, ogni luce ha un motivo, ogni piatto racconta. E mentre il mondo là fuori urla, qui dentro si impara a fare silenzio. Un silenzio che non è vuoto, ma pienezza. Un silenzio che non isola, ma accende.
Perché ci vuole coraggio a restare fedeli a sé stessi. A non piacere a tutti. A non rincorrere. A scegliere l’essenziale. Ci vorrebbero più luoghi così. Più umanità, meno rumore. Più storie, meno follower.
Cantina Antisociale
Piazza Costantino Tamanti, 1 – Petritoli (FM)
+39 347 8412381
Aperto dal mercoledì alla domenica, solo la sera (19:00–24:00)
@cantinaantisociale














