Che cosa è, esattamente, la sovranità alimentare


Francesco Lollobrigida

Francesco Lollobrigida, ministro dell’Agricoltura e della Sovranità ASlimentare

«C’è il progressivo abbandono della sovranità alimentare, una scelta compiuta e sostenuta da tutti i Paesi del primo mondo, nel corso della cosiddetta Rivoluzione Verde: pur di ottenere raccolti abbondanti senza pensieri, abbiamo consegnato le chiavi dell’alimentazione ai colossi della chimica, che oggi smerciano i semi più diffusi al mondo e al contempo producono i pesticidi. Ma i prezzi di quelle licenze non si potevano reggere, e così si è semplicemente smesso di coltivare». Queste considerazioni non nascono per spiegare la decisione del nuovo governo di cambiare il nome del ministero inserendo il termine Sovranità alimentare. No, sono state pronunciate qualche tempo fa dal fondatore di Slow Food, Carlo Petrini. Ma non fermiamoci qui, perché il copyright istituzionali, e non poteva essere diversamente, è del presidente francese Macro, perché il ministero guidato dal ministro Marc Fesneau, si chiama proprio così: Ministère de l’Agriculture et de la Souveraineté alimentaire.

Slow Food e la Sovranità alimentare


Il tema della sovranità alimentare infatti è da sempre un argomento presente, talvolta in modo carsico, nel mondo agricolo italiano, i cui interessi sono stati sempre poco rappresentati a Bruxelles per molti anni, anche se nell’ultimo decennio abbiamo registrato un recupero, non ancora sostanziale come è per i francesi e i tedeschi. Un tema sentito e ribadito proprio anche dalla attuale presidente di Slow Food Italia Barbara Nappini che ieri ha dichiarato: “La sovranità alimentare non è sinonimo di autarchia: è il diritto dei popoli a determinare le proprie politiche alimentari senza costrizioni esterne legate a interessi privati e specifici”.
Alcuni commentatori hanno interpretato questo cambio di nome come un richiamo al Ventennio, alla famosa battaglia del grano che vide lo stesso Mussolini testimonial a dorso nudo durante la trebbiatura. Altri hanno banalizzato il tema ironizzando sui consumi, ossia il mangiare solo italiano, eliminando hamburger, caviale, Champagne e quant’altro eliminando ogni scambio di beni e prodotti alimentari. Un atteggiamento che da un lato mostra grande ignoranza sui temi rurali del momento, dall’altro conferma l’incapacità di comprendere fino in fondo quello che è accaduto il 25 settembre in Italia. Sappiamo tutto sullo spread ma nulla sulla sovranità alimentare!

In realtà questo tema, che Giorgia Meloni ha portato alla luce nel modo più chiaro possibile (non a caso la sua prima uscita pubblica dopo il voto è stato l’intervento alla Colidretti) implica in primo luogo una attenzione primaria al mondo agricolo, un tema che durante la storia repubblicana italiana ha poco appassionato tutti gli attori della politica salvo rarissime eccezioni. Citiamo non a caso, fra queste, un altro esponente della Destra, che da ministro dell’Agricoltura ebbe intensi rapporti con la Coldiretti e lo stesso Petrini.
Il motivo culturale di questa sottovalutazione politica del settore agricolo è nella radicale trasformazione che il nostro Paese ha subito in appena vent’anni a partire dal Dopoguerra, con la fuga dalle campagne e l’inurbamento di milioni di persone nell’arco di una sola generazione. Trasformazione radicale che Pasolini denunciò, inascoltato, come vera operazione di omologazione e abbandono delle radici come neanche il Fascismo era riuscito a fare.
Dalla seconda metà degli anni ’80 è, lentamente, maturata la consapevolezza dell’errore strategico che ha accentuato la dipendenza dell’Italia di un numero crescente di materie prime basilari, a cominciare dal latte e dei suoi derivati importati dalla Germania, dall’olio spagnolo, dalla frutta dell’Africa settentrionale, dal grano canadese. Eppure è dal settore non a caso definito primario che deriva gran parte del pil e dell’export italiano. Oggi Made in Italy nel mondo vuol dire design, moda e cibo.
Sovranismo alimentare dunque significa essenzialmente anche non dipendere dall’estero in alcune cose basilari, per esempio dalla selezione dei semi favorendo la ricerca dei nostri istituti universitari, tutelare la cultura della Dieta Mediterranea sia attraverso il riconoscimento dei marchi europei battendosi per la loro validità anche nei mercati extra Ue, sia impedendo che i due simboli della nostra agricoltura, l’olio e il vino, siano aggrediti in nome di mal poste esigenze sanitarie. La viticoltura italiana, che impiega oltre un milione e mezzo di persone, è messa a rischio nei prossimi mesi da chi vorrebbe trattare una bottiglia di vino come se fosse un pacchetto di sigarette dimenticando che tutto, se non consumato in modo equilibrato e moderatamente, può provare un tumore: dalla carne mangiata ogni giorno ai cibi imbustati e pieni di conservanti e coloranti, dalle bibite frizzanti ai panini pieni di creme e cremine. Dimenticando che la viticultura è la prima difesa del paesaggio ed è fonte di enoturismo. Anche la birra consumata smodatamente ha conseguenze negative per la prostata ma nessuno a Monaco di Baviera sta pensando di mettere il teschio sulla etichetta. Sull’olio, altro caposaldo della nostra agricoltura, si vuole poi applicare il bollino rosso per la presenza di …grassi! Un paradosso se pensiamo alle migliaia di studi che lo consigliano per i suoi poteri antiossidanti.

International Assessment of Agricultural Science and Technology for Development

E veniamo al grano duro, eccellenza italiana, la cui produzione copre il fabbisogno di sette, al massimo otto mesi del nostro consumo di pasta. Incentivare la sua produzione cambiando alcune regole europee che impongono il fermo come se fossimo ancora nel Medioevo significa evitare che da qui a dieci anni mangeremo solo pasta turca, nostro principale competitor nel settore.
Nel 2008, l’International Assessment of Agricultural Science and Technology for Development (IAASTD) – panel intergovernativo con il patrocinio delle Nazioni Unite e della Banca Mondiale – ha definito la sovranità alimentare come “il diritto dei popoli e degli Stati sovrani a determinare democraticamente le proprie politiche agricole e alimentari”. Ma questo concetto fondamentale è stato introdotto più di dieci anni prima da Via Campesina, movimento internazionale che coordina le organizzazioni contadine dei piccoli e medi produttori, dei lavoratori agricoli, delle donne rurali e delle comunità indigene.
Sovranismo non è forse una parola felice se pronunciata da sola, ma se aggiungiamo “alimentare” forse capiamo le nuove priorità che abbiamo come “sistema paese”, perché non esiste nella storia una grande civiltà senza una grande agricoltura. E il tema riguarda soprattutto il nostro Mezzogiorno, patrimonio di biodiversità senza paragoni al Mondo. Un settore, quello agricolo, che oggi è un importante sbocco anche per tantissimi giovani, perché essere contadini non è più una vergogna, ma un merito sociale.