Diritto di critica e critica al diritto di critica, ossia pizza e contorni


Sono ormai almeno 25 anni che la critica enogastronomica è sul banco degli imputati. Con quali criteri vengono fatte le scelte? Quanto pesano nelle valutazioni la presenza di sponsor? Chi giudica i giudicanti? Che competenze hanno per poter valutare il lavoro di un esercizio pubblico? Sono state provate tutte le trattorie, le pizzerie prima di emettere giudizi? Ma, infine, si può davvero assegnare un numero, un simbolo, un posto in classifica ad una attività artigianale che non è mai uguale a se stessa?

La discussione assume spesso toni accesi e sembra proprio che non se ne riesca a venire a capo.

Il primo scossone all’autorevolezza delle guide è avvenuto durante il passaggio dal mondo cartaceo al web, grosso modo nel corso del primo decennio di questo nuovo millennio, quando si iniziò a parlare di “agonia delle guide” perchè la velocità e le potenzialità del web potevano dare voci a più autori e soggetti rispetto a quelli classici: ossia, per dirla tutta, oltre a Gambero Rosso, Michelin, Veronelli, Ais, Slow Food etc ,molti siti e blog iniziarono a dire la loro anche se, in verità una nuova guida dei ristoranti e dei vini italiana nata sul web non è mai riuscita a superare la forza dei brand citati. Il web ha accentuato l’individualismo cronico di noi italiani. Sono davvero pochi i casi di vini e ristoranti che alla fine si sono affermati al di fuori delle guide citate negli ultini 15 anni anche se queste guide certamente hanno perso forza nell’incidere sul mercato, pur conservando l’allure dell’antico prestigio e a ristoratori, pizzaioli, produttori di vino e di olio, piace esibire i diversi attestati anche come mezzo di comunicazione e autopromozione.

Ciascuna di queste guide ha un proprio metodo di valutazione che diventa sempre meno convincente quanto più tenta di entrare nel merito perchè alla fine la capacità di incidere dipende solo da una cosa: la forza del brand. E in questo la Michelin ha progressivamente acquisito una forza superiore mentre le altre non sono riuscite a starle dietro se non nel caso di guide di associazioni (Ais, Slow Food), non per questo esenti dalle critiche dell’enogastrogrillismo dilagante.
Dalle ceneri di questo mondo a cavallo fra carta e web ha preso quota la 50 Best Restaurant che ha fatto da apripista e ispirato i ranking così come li vediamo diffusi in tutto il mondo e in tutti i settori, compreso ovviamente quello gastronomico. A questa guida  si è ispirata anche 50 Top Pizza che ha coniugato il modello anglosassone di comunicazione attraverso la classifica e quello francese della Michelin delle visite in anonimato.
Questo criterio ovviamente si presta e millemila critiche ma per le nuove regole del gioco che regolano la comunicazione sul web ai tempi dei social, proprio il fatto di parlarne, bene o male poco importa, ingigantisce il proprio ruolo e peso specifico come un uragano che si autoalimenta. Lo dimostra ad esempio il continuo aumento di follower che coincide con i momenti di comunicazione delle classifiche e quelli delle polemiche in corso da ormai oltre un mese e nelle quali è perfettamente inutile entrare in questa sede anche perché abbiamo già spiegato e rispiegato tutto ma non possiamo certo convincere chi è mosso da altri interessi.
Torniamo al nostro ragionamento.
Il vantaggio del ranking è evidente ed è un gioco che si ripete come un tormentone nei reel e nei post sulle prime cinque città che.., i primi dieci ristoranti di pesce, le prime regioni dove si mangia meglio, i dieci cuochi che etc etc. U n metodo che, a ben pensarci, è mutuato dalle vecchie Hit Parade musicali, basate su dati enunciati che nessuno in pratica poteva verificare.
A parte il vantaggio comunicativo che semplifica il messaggio e lo rende digeribile, ne dobbiamo segnalare uno di contenuto: questo modo snello consente di interpretare in modo molto più rapido ed efficace le tendenze in atto nei settori. Esempio il vegetale nei ristoranti o i canotti nelle pizzerie per citare quelli più eclatanti.

Quanto più efficace è la potenza di fuoco comunicativa, tanto più si diffondono le critiche che, come un fiume carsico, periodicamente si riaffacciano ormai dal 2017 per quanto riguarda 50 Top Pizza,  come dalla prima edizione per quanto riguarda 50 Best Restaurant quando il bistro Chateubriand fu messo davanti a mostri sacri come Ducasse al punto di far nascere La Liste basata, si dice, sul voto degli stessi cuochi. Quali, con quali criteri scelti però anche qui si potrebbe parlare a lungo.

C’è però una novità degli ultimi anni in cui la comunicazione sta diventando sempre più visiva e in cerca di viralità. Sono gli stessi soggetti giudicati a poter raccontare se stessi in maniera molto più espansiva di quanto non possa fare una guida. Soprattutto nel mondo pizza la forza di alcuni  giovani protagonisti è ormai evidente a prescindere da qualsiasi valutazione di  guida e questo rende dunque questo momento storico mediatico una fase di passaggio molto interessante.
La domanda diventa infatti: nel momento in cui la comunicazione fatta in proprio è più forte di quella resa possibile da una guida c’è ancora spazio per fare informazione gastronomica? Ha ancora senso farle? Di getto mi viene da dire che per come vengono attaccate sicuramente si.
Onestamente non so cosa ci aspetta nei prossimi anni, ma la polemica contro le guide di questi anni somigliano molto a quelle del primo decennio di questo millennio, ossia puntano all’azzeramento delle iniziative editoriali mettendone in evidenza errori, strafalcioni, contestando i criteri di valutazione.

Chiediamoci allora, che mondo sarebbe senza guide? Un immenso Far west di reel virali o meno, uffici di comunicazione bravi o meno dove sicuramente l’estetica del prodotto gioca un ruolo principale rispetto alla sua storia e alla effettiva fattura. Insomma, sarebbe come chiedersi: che mondo sarebbe senza giornali e testate indipendenti?

Non so quale futuro ci riserva lo sviluppo della tecnologia con IA che sta rendendo come d’un colpo vaghi gli sforzi di posizionamento Ceo su Google, tanto per fare un esempio. Di una cosa sono però certo: ci sarà sempre bisogno di informazione artigianale ben fatta oltre che di comunicazione aziendale evoluta. Informazione per i clienti, per i lettori.
Nel fiume carsico a cui ho accennato ci sono però obiezioni decisamente infantili che sembrano provenire da una visione dei diritti più simili a una dittatura  che ai principi costituzionali.
Il diritto alla critica, il diritto a fare una guida, alla libertà di espressione, è garantito dall’articolo 21 della nostra Costituzione. Come un singolo individuo può scrivere liberamente su un social il mio migliore gelato è X senza averli provati tutti, così una guida, un gruppo di individui, un editore, può decidere di comunicare a proprio giudizio quali sono i migliori ristoranti, i migliori panettoni, le migliori gelaterie, le migliori pizzerie. Non essendo soggetti pubblici ma privati, tutti possono fare la classifica e le guide che ritengono su esercizi aperti al pubblico o prodotti in vendita. O esprimere i propri giudizi nelle recensioni in rete.
Vale per la Michelin come per tutti.

Oggi più di ieri la forza di un giudizio dipende dalla competenza e dall’autorevolezza di chi lo esprime perchè tutto è immediatamente contestabile on line. E’ il mercato della informazione a fissare il peso specifico di una guida, che sia individuale (esempio Parker) o collettiva (Michelin, 50 Top Pizza). Così come è il mercato a stabilire la competenza di un ufficio stampa o di un social manager. Niente e nessuno può vietare a un privato  o gruppo editoriale di fare la propria selezione e la tesi che per fare una guida bisogna provare tutti i ristoranti, tutte le pizzerie, tutti i vini è semplicemente risibile e infantile  perchè una guida è una guida, non un catalogo o un elenco telefonico.

In soldoni, non ci sarà nessuna critica al diritto di critica che potrà vietare di pronunciare giudizi critici, fare classifiche, assegnare stelle, forchette, bicchieri, rotelle così come avviene da un secolo a questa parte in Italia. E l’autorevolezza o meno di questi giudizi non può venire da chi si sente escluso o penalizzato che ha sempre la possibilità di rivolgersi altrove o, se capace, di fare altre guide. Ma si sa, nel nostro Paese più che a raggiungere risultati migliori, gli sforzi sono diretti a impedire che altri li raggiungano, con tutti i mezzi, leciti e illeciti Un Palio di Siena che si corre tutti i giorni in tutti i campi.
L’autorevolezza di un giudizio viene dal mercato. Da chi legge, prova, visita quello che è stato scritto o premiato. Fermo restando che il giudice di ogni attività è il pubblico. Guai a quei locali che pensano alla stella per fare cassa. Il principio sano inverte i fattori: sei bravo e perciò le guide si occupano di te.
Ora la vera sfida è vedere come questo esercizio della critica e della informazione può difendere i propri spazi di fronte alla ennesima rivoluzione tecnologica in atto.
Come per il passaggio dal cartaceo al web, sopravviverà chi la interpreterà meglio e prima degli altri.

Un commento

  1. Non vi vorrei gli spegnere gli entusiasmi ma i locali pieni sono solo quelli dei tik toker

I commenti sono chiusi.