Garantito IGP – Cabernet Sauvignon 1998 Tasca d’Almerita


Cabernet 1998 Tasca d’Almerita

Cabernet 1998 Tasca d’Almerita

di Roberto Giuliani

La storia dei Tasca è una delle più antiche di tutta la Sicilia enoica, sono 8 generazioni che la famiglia si dedica alla viticoltura, a partire dal 1830, quando i fratelli Lucio, e Carmelo Mastrogiovanni Tasca acquistarono la Tenuta Regaleali, 1200 ettari nella contrada omonima, in comune di Sclafani.

Le basi della loro fama nascono dopo la seconda guerra mondiale, quando l’azienda inizia a produrre e vendere i tre vini che l’hanno fatta conoscere nel mondo, un bianco, un rosato e un rosso.

Nel 1959 Giuseppe Tasca acquista barbatelle di perricone e nero d’Avola e le pianta ad alberello sulla collina di San Lucio, in un’epoca in cui il vino siciliano era quasi sconosciuto fuori dall’isola. Nel 1970 nasce il Riserva del Conte, primo vino ottenuto da unica vigna, chiamato da molti Rosso del Conte.

Negli anni ’80 arriva anche un bianco importante, il Nozze d’Oro (inzolia e sauvignon Tasca), già allora concepito con le caratteristiche per evolvere a lungo.

Pochi anni dopo il figlio Lucio introduce le varietà internazionali, così a fianco di nero d’Avola, perricone, nerello mascalese, catarratto e grillo, arrivano cabernet, merlot, pinot nero, chardonnay ecc. Disponendo di un territorio vasto, composto da ben 6 colline e 12 diversi tipi di suolo, ad altitudini che vanno dai 450 fino agli 850 metri, i Tasca avevano di che sperimentare, selezionare, migliorare per ottenere vini sempre più convincenti.

Oggi Tasca d’Almerita, guidata da Alberto, nipote di Giuseppe, vanta numerose “costole”, sempre nel circondario della Trinacria: Capofaro a Salina, Tascante sull’Etna, Sallier de La Tour a Monreale e Tenuta Whitaker all’isola Mozia. Da sempre la famiglia ha concepito la viticoltura in simbiosi con l’ambiente e con altre coltivazioni, non solo i classici ulivi, ma anche frutteti, grano, ortaggi e la presenza di animali al pascolo.

Con il passare dei decenni si è sempre più spinta verso la massima attenzione alla cura e salvaguardia dell’ecosistema, consapevole che la terra ti restituisce il meglio di sé solo se ne rispetti tutti gli elementi che la mantengono viva.

Il Cabernet Sauvignon nasce nel 1985 da una vigna di 9 ettari, San Francesco, situata lungo la parete della collina omonima a un’altitudine che va dai 550 ai 600 metri s.l.m.. Oggi gode del contributo di altri tre appezzamenti: Baracca nuova, Cozzo delle Ginestre e Cozzo Rina.

Le uve dell’annata 1998 sono state vendemmiate il 6 ottobre, con una gradazione zuccherina di 20,70° Babo, acidità totale di 5 g/l e pH 3,70, con una resa uva/ettaro di 65 quintali. Dodici giorni di contatto con le bucce, a fine fermentazione malolattica (svolta in acciaio), il vino viene posto in barrique di rovere di Allier e Troncais per 12 mesi. Imbottigliato il 18 e 19 gennaio del 2000 in 41.500 bottiglie da 75 cl e 1.000 magnum.

Il tappo si presenta integro, non è stato difficile estrarlo, odore vinoso senza strane derive. Versato nel calice, il vino mostra un colore ancora sorprendentemente vivo, un granato pieno ma con qualche riverbero rubino; dopo 20 anni di chiusura in bottiglia, mi aspettavo una riduzione spinta, invece con grande stupore lo trovo solo appena chiuso. Bastano una dozzina di secondi per farlo emergere in un bouquet di classe, fine, elegante, per nulla surmaturo; già al naso penseresti a un vino di 5-6 anni, perché la componente terziaria è ancora agli inizi, con le note di tabacco e sottobosco, cuoio e leggera cenere, ma non si va oltre; quello che invece colpisce è la prugna matura, la liquirizia, ma nessun cenno di caduta. Strano, visto che era già nato come un vino equilibrato, godibile, a volte si teme che vini così abbiano grande fascino iniziale ma reggano meno nel tempo. In questo caso non è sicuramente così. Ne ho piena certezza quando lo assaggio, magari sarà anche merito della conservazione in cantinetta a temperatura costante di 12 gradi, sta di fatto che è una vera goduria! Tanta polpa, matura al punto giusto, tannino vellutato, venature di cioccolato e mallo di noce, nel finale torna la prugna sotto spirito, ancora fresco e dinamico, più si beve e più piace.

Un vero punto di riferimento della tipologia, una sicurezza anche a lunga distanza.

Un commento

  1. la conservazione a 12 gradi e la lavorazione in legno piccolo ha influito e nn poco, altrimenti sarebbe nn dico morto ma sicuro in parabola discendente..

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