Gianfranco Fino: dalla crisi si esce seguendo le tendenze, non la moda del momento
di Pasquale Carlo
Ottima dal punto di vista della quantità, eccellente per quel che concerne la qualità. Si potrebbe tracciare così un primo bilancio della vendemmia 2025 in terra pugliese. Tuttavia occorre scendere nei dettagli se si vuole fotografare con maggiori dettagli la situazione in cui versa il settore vitivinicolo di una regione estremamente variegata soprattutto in termini di attori che vi operano, che spaziano dalle grandi cantine a piccoli produttori.
Varietà accumunata da una ferma credenza nei vitigni autoctoni, considerato che negli ultimi periodi questa regione ha fortemente puntato sui vitigni storici, a cominciare da quelli a bacca rossa Negroamaro e Primitivo. In particolare, quest’ultimo è forse quello che in questa vendemmia ha fatto registrare le sue migliori performance. «Le condizioni meteo – dichiara il produttore Gianfranco Fino, uno dei grandi protagonisti della riscossa enologica pugliese – quest’anno sono state veramente ideali, escludendo qualche area interessata da leggere gelate primaverili e dalla grandine. Una pluviometria interessante e il sole hanno fatto si che soprattutto le uve primitivo si sono presentate al momento del taglio con ottimi valori di pH e di zuccheri, aspetto che si traduce in un buon equilibrio tra zuccheri e acidità. È la conferma, qualora ci fosse la necessità, che le nostre uve autoctone godono delle condizioni climatiche e delle caratteristiche dei suoli che connotano la regione».
Una vendemmia che dovrebbe tingersi completamente di rosa, tuttavia non sono pochi i segnali di incertezza che affannano il settore, alle prese con un futuro che chiama ad affrontare alcune criticità. «Ovviamente anche in Puglia, come nel resto d’Italia, ci si trova a fare i conti – puntualizza Fino – con giacenze importanti. Questo va a ripercuotersi, ovviamente, prima di tutto sul prezzo delle uve». Parliamo, va aggiunto, di un aspetto che interessa soprattutto la base della piramide produttiva, in particolar modo i viticoltori che sono conferitori di grandi strutture cooperative, che in molti casi ricoprono il ruolo più rilevante in ambito delle denominazioni.
Ci sono poi fattori di natura esterna, che in questa fase storica evidenziano la necessità è di un nuovo modo di approcciarsi verso un mercato che non presenta contorni certi e definiti. «La necessità è quello di un nuovo modo di approcciarsi verso mercati che in questo momento non presentano contorni certi e definiti. La situazione internazionale, i venti di guerra – sottolinea Fino – generano all’orizzonte più di una nube. In primis i consumi interni, che hanno subito una decisa contrazione che non è esclusivamente legata a motivi salutistici. Per fortuna, oserei dire. Poi ci sono le incertezze legate anche ai fattori politici, a cominciare dai dazi trumpiani. Per quanto concerne un discorso aziendale, in questa fase stiamo volgendo lo sguardo soprattutto verso i mercati dell’Europa centrale, in particolare quello di lingua germanica. Anche questi mercati non godono attualmente di una situazione economica floridissima, ma nello scenario internazionale sono quelli che mostrano segnali di maggiore stabilità».
Un nuovo approccio che deve puntare, questo il punto di vista del produttore manduriano, anche sulla capacità di rinnovarsi e innovarsi, con i piedi sempre ben piatati nella tradizione. «Occorre stabilire un nuovo rapporto con la tavola, dove il consumo del vino diventa sempre meno scontato rispetto ai tempi passati, costretto frequentemente a lasciare spazio ad altre bevande. In questo sforzo è necessario anche l’impegno della ristorazione al fianco di quello dei produttori. Altrettanto, anzi più importante, è mostrare la capacità di saper intercettare le nuove tendenze del gusto. Parlo – specifica Fino – di tendenza e non di moda. Ecco perché a partire da quest’anno ho deciso di puntare su due nuovi prodotti. Il primo è un bianco ottenute da uve fiano, vitigno considerato tra i migliori in Italia e che ha fatto la fortuna della Campania, terra da cui questa varietà è giunta in Puglia nel lontano XIII secolo, qui portato da Carlo II d’Angiò. Poi la decisione di un produrre un vino rosato. Si tratta, ovviamente, di una decisione motivata per ampliare l’orizzonte commerciali, penetrando in quei mercati che prediligono vini più leggeri. Sguardo rivolto – conclude – verso nuovi orizzonti commerciali ma sempre con l’insegnamento del passato».
