Il Battilocchio della Masardona spiegato da Enzo Piccirillo
Chissà cosa penserebbe Anna Manfredi, conosciuta come la Masardona, del miracolo realizzato dal nipote Enzo Piccirillo, classe 1964, che ha trasformato forse il più povero dei cibi poveri della città in una delizia ricercata dai clienti dei ristoranti tre stelle nonostante la pioggia di reel proibizionisti e di prescrizioni terroristiche di sedicenti nutrizionisti in cerca di click. Si perché la pizza fritta napoletana fino ad una quindicina di anni fa erano rimasti in pochi a farla, ora è diventata un must, la vuole Totti per la festa della figlia, l’accolgono i fratelli Cerea a Bergamo nelle loro feste, Gennaro Esposito a Festa a Vico. Giusto per citare qualcosa fra il mare di richieste.
Enzo, mi sa che è molto facile chiederti la ricetta della tua vita: per caso la pizza fritta?
“Beh, si, mi piace sempre tanto, quella tradizionale con ricotta, pepe e cigoli, però di rispondo così: il Battilocchio è la ricetta della mia vita”.
Che differenza c’è fra pizza fritta e Battilocchio?
“Solamente le proporzioni. Il secondo è un solo disco di pasta piegato su se stesso, la pizza fritta tradizionale invece è realizzata con due dischi sovrapposti”.
Ricominciamo daccapo. Perché Battilocchio?
“Bisogna partire dal fatto che la pizza fritta ha sempre avuto un nome diverso in ogni quartiere, chi cazuncello, chi ripieno, chi piscitiello. Il suo successo nel dopoguerra fu dovuto alla povertà e all’uso di olio di semi. Mia nonna la chiamò Battilocchio: era un modo per prendere in giro i soldati americani che non capivano nulla quando si parlava in napoletano. Significa insomma un po’ tonto perché quella era l’aria che assumevano quando gli si chiedeva qualcosa. Non mi dire perché, ma suona bene, la nostra è una lingua musicale, forse perché battevano le palpebre per cercare di capire.”
Visto che sfogliamo il vocabolario, perché Masardona?
“Era il soprannome che diedero a mia nonna durante l’occupazione tedesca perché mandava i messaggi sullo spostamento del nemico attraverso i bambini. Ma anche mia madre Carmela aveva lo stesso nome. In realtà fu lei, con mio padre, ad aprire la bottega a ridosso della stazione”.
Come si fa il Battilocchio?
“In realtà bisogna preparare prima la panella con queste proporzioni: un chilo di farina 00 Caputo, 530 cl di acqua, 30 grammi di sale, 10 grammi di lievito, un cucchiaio di olio extra vergine d’oliva o strutto, acqua. Non c’è bisogno di una lunga lievitazione. La pasta deve essere molto sottile, questo è il vero segreto altrimenti rischi di fare pane fritto. Bisogna usare un olio di semi ad alto punto di fumo”.
E per la farcia?
“Qui non ci sono limiti. Il classico prevede ricotta e cicoli di maiale con pepe, oppure un latticino con un po’ di pomodoro, una sorta margherita fritta. Buonissimo con la scarola, le olive, i capperi che va sempre, e poi mille varianti. Noi abbiamo però registrato il nome Battilocchio perché è bello essere imitati ma non copiati”.
Enzo come hai cominciato a lavorare con tua madre?
“Molto semplicemente, come avveniva per tanti ragazzi tra gli anni ’60 e ‘70. Arrivati in terza media, non ci piaceva studiare e al momento degli esami i professori furono molto chiari con i genitori di quasi tutta la classe: se li mettete a lavorare li promuoviamo, altrimenti devono ripetere l’anno. Detto fatto, ci prendemmo la licenza media e andammo a lavorare. Io fui mandato in una fabbrica di scarpe e nel tempo livero andavo a bottega. Purtroppo mi padre è morto giovane, quindi rimasi sempre più tempo con lei”.
Abbiamo vissuto l’incredibile successo della pizza fritta che era demonizzata da tutti i nutrizionisti. E con la pizza tutto il fritto napoletano ha avuto un rilancio e si è ampliato tra frittatine, panzarotti, montanare e molto altro. Cosa e come è successo?
“Forse la risposta più semplice è che il fritto è buono”
Infatti, questo vale per il vino in questo momento, sotto il fuoco terroristico per l’alcol. Ma in realtà anche per il fumo. In realtà nella vita c’è un bilancio fra effetti fisici e benessere psichico.
“Noi abbiamo sempre lavorato sulla tradizione mantenendo la qualità degli ingredienti e formando i giovani sulla manualità di mia nonna. Grazie ai social e al lavoro di informazione dei media tradizionali più sensibili come il Mattino dove apparve il nostro primo articolo, è cresciuta la curiosità. Poi Gennaro Esposito ci ha chiamato a Festa a Vico e siamo stati conosciuti dai cuochi italiani nel momento più entusiasmante della gastronomia italiana ed europea. Eravamo due o tre in tutta Napoli, ora c’è un successo travolgente e lavoriamo molto ovunque”.
Ora sei affiancato dai tuoi figli Cristiano e Salvatore
“SI, Cristiano è sempre stato appassionato di questo lavoro. Salvatore si è laureato in Veterinaria anche se ha sempre dato una mano in pizzeria. Ora lui ha aperto a Piazza Vittoria, Cristiano a Roma. Entrambi hanno affrontato con forza e coraggio anche il periodo del Covid senza bisogno di aiuto”.
Cosa beviamo con il Battilocchio?
Quando faceva freddo e la pizza era un pasto completo si accompagnava con il marsala all’uovo. Ma, vi assicuro, va alla grande con vini bianchi e con lo Champagne”.
Un commento
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Un fritto a”mestiere”un Asprino o altro vino a piacere un buon sigaro toscano per finire e ……..poco importa se poi i benpensanti hanno qualcosa da ridire. FRANCESCO