Il nuovo menu vegano dell’Arpege di Alain Passard provato da Albert Sapere


di Albert Sapere

In questi ultimi tempi si è parlato molto di ristoranti di fine dining e di proposte vegane. L’ultima inversione di tendenza in ordine di tempo è stata l’inversione di tendenza di Eleven Madison Park  che tornerà a cucinare la carne ed il pesce, dal prossimo ottobre, dopo la scelta di servire solo pasti vegani di un paio d’anni fa. Invece dalla terza settimana dello scorso luglio è diventato un ristorante vegano L’Arpege di monsieur Alain Passard. Siamo al numero 84 di Rue de Varenne in una di quelle strade senza tempo dove vive la borghesia parigina, in quel locale che era stato, con un altro nome, di Alain Senderens, maestro di Passard, un vero antesignano nell’innovare la cucina francese e anche di rendere le stelle alla Michelin, senza sbraitare, ma ammettendo che non poteva più reggere quegli standard.

Nel 1986 Alain Passard rileva propio il ristorante di monsieur Senderens e lo chiama Arpege. L’anno dopo arriva la prima stella Michelin, bissata immediatamente nel 1988 e nel 1996 arriva la terza, che mantiene ininterrottamente fino ad oggi. Agli inizi del nuovo millennio parte la sua “rivoluzione vegetale” che condizionerà per sempre l’alta cucina mondiale.  Da un giorno all’altro non cucina più carne che scompare quasi completamente dal menu. Acquista due appezzamenti di terreno da dove oggi provengono tutte le sue verdure.  Una vera e propria “rivoluzione” che ha chiaramente condizionato, prima una generazione di cuochi in Francia, principalmente suoi allievi. Si parla infatti di “generazione Passard” e poi migliaia di cuochi nel mondo. I temi vegetali e della stagionalità sono sempre di più al centro della discussione, in tutte le grandi cucine del mondo.

Come sempre ho fatto in questi anni per scrivere di qualcosa ho voluto provarlo, così come deve essere. Il lunedì viene servito il nuovo menu vegano, il giorno dopo ero lì. Parto dalle conclusioni finali, che mi inducono ad una riflessione profonda, partendo con una domanda: cosa fa un grande un cuoco? La tecnica? L’esperienza? La tradizione? L’Innovazione? No, il palato. Un grande chef è fatto da tutte queste cose, ma prima di tutto dal suo palato. Un palato sensibile al mondo del vegetale, come quello di Alain Passard, probabilmente resta il migliore in circolazione su scala globale.

Il primo impatto è provocatorio, viene servito un piatto di verdure, quasi scondite, che ovviamente arrivano dai suoi orti ed è una sorta di sfida all’ospite: questa è la mia materia prima, nuda e cruda, arrivata qualche ora fa, assaporane l’essenza. Poi un brodo di pomodoro freddo, acidulo, con all’interno carote tagliate sottilmente, zucchine e spezie. Siamo in estate, stagione dei pomodori ed è il momento del pomodoro ananas, servito a mo’ di carpaccio. Due piatti di grande complessità, profondi, verticali, per un certo stupefacenti, si può fare fine dining anche con due ingredienti e senza cuocere. La millefoglie di cipolla è una piccola opera d’arte, il gusto è rotondo. pieno, con spigolature improvvise che ti spiazzano.

Alle scuole alberghiere insegnano che non si dovrebbero ripetere gli ingredienti durante un pasto, invece io mi chiedo perché? Si l’ingredienti in questa cena si sono ripetuti, ma con forme e consistenze diverse, anche nel gusto e allora se è ben fatto e frutto di genialità, come in questo caso, che gli ingredienti si ripetano pure. Il piatto che mi è piaciuto di più è stato tomate, aubergine, pastèque. Il pomodoro diventa quasi un ragù, corposo, intenso, deciso, sotto una crema di melanzane, con la loro piccantezza e aromaticità quasi esasperata, dei tocchetti di anguria che rinfresca il tutto e induce a salivare. Mescolati insieme davano una sensazione di piacere ed appagamento davvero notevole. Il sushi di rapa potrebbe sembrare un piatto di passaggio ed invece il riso è cotto alla perfezione, con la nota di aceto al punto giusto, la rapa bianca diventa l’accompagnamento perfetto. Anche in questo caso, resto veramente sorpreso. I due piatti principali sono la sublimazione dell’estate. Il primo ogni boccone di verdura è diverso, intenso persistente, la tartare di rapa rossa è una vecchia conoscenza e una grande certezza.

Il palato è il vero strumento di un cuoco e quello di Alain Passard ci racconta una cosa fondamentale: può piacere o non può piacere la cucina vegana, ma se la fai non deve somigliare a niente altro che a se stessa. Sono stato molto critico in passato, con alcuni ristoranti che proponevano cucina vegana, anche con lo stesso Eleven Madison, perché quello che non riuscivo veramente a capire è perché la cucina vegana doveva somigliare ad altro, ricordare altri gusti. Se una persona scegli di mangiare vegano, lo può fare per tanti motivi e perché principalmente ama le verdure e nel caso di Alain Passard le verdure non somigliano a niente altro che loro stesse, pur trasformandosi in ogni piatto, per abbinamento e preparazione in un gusto nuovo e complesso. Mi piace mangiare vegano? Da Alain Passard, si.