Intervista a Luigi Schigi D’Amelio, alias Schigi, pioniere della birra artigianale italiana


Luigi Schigi D’Amelio

Luigi Schigi D’Amelio

di Alfonso Del Forno

Luigi D’Amelio, conosciuto nel mondo birra come Schigi, è il birraio di Extraomnes, birrificio lombardo con sede a Marnate in provincia di Varese. I suoi interventi pubblici non sono mai banali e la sottile ironia che lo contraddistingue, divide gli appassionati di birra. Personaggio dalle mille sfaccettature, da molti è adorato mentre tanti altri non lo amano per nulla. Chi è davvero Schigi? L’ho incontrato per conoscere il suo pensiero sul mondo della birra italiana, in una chiacchierata piacevole e senza peli sulla lingua.

Birre di Extraomnes

Birre di Extraomnes

Luigi, sei un sommelier che a un certo punto della sua vita, folgorato dalla birra, ha lasciato il vino per dedicarsi anima e corpo all’arte brassicola. Com’è andata realmente?

In verità la mia prima passione è stata la birra. Quando avevo diciassette anni, a Milano si trovava ben poco. Il massimo della ricercatezza, per alcuni, era una weizen. Facevo dei viaggi in tram per andare al capolinea, alla Bovisa, perché c’era una salumeria che vendeva ales inglesi di Samuel Smith. Facevo questi viaggi di un’ora per bere birre diverse da quelle commerciali e per capirne di più sugli stili. Le bevevo ma non avevo cognizione delle caratteristiche di quei prodotti, soprattutto non sapevo se le birre fossero corrette o con difetti. Capii che dovevo fare un corso di degustazione della birra, ma all’epoca non esistevano. L’unico modo che avevo per saperne di più era quello di frequentare i corsi AIS, che mi hanno portato a diventare sommelier.

 

I corsi AIS sono stati sufficienti o hai approfondito la conoscenza della birra attraverso altri canali?

Il corso di sommelier mi è servito per conoscere un metodo. Quello che mi ha aperto definitivamente la mente è stato uno dei primi corsi sulla birra che si è tenuto in Italia, realizzato nel 1999 a Piozzo. Lelio Bottero, che all’epoca lavorava per Baladin, scrisse un messaggio sul newsgroup di Hobbybirra in cui comunicava che si sarebbe tenuto il primo corso di degustazione con Lorenzo Dabove (Kuaska) e Teo Musso. Era un corso concentrato di tre giorni e mi sono iscritto.

Bottaia di Extraomnes

Bottaia di Extraomnes

In quell’occasione hai conosciuto Lorenzo?

Da appassionato di birra, conoscevo Lorenzo grazie a una rubrica che teneva in una televisione locale. A Piozzo abbiamo fatto amicizia e una sera, dopo aver finito la lezione, lo portai a visitare la cantina di un produttore di vino che conoscevo in quelle zone. Facemmo le quattro del mattino. In quell’occasione decidemmo di fare un viaggio in Belgio, dove capii che quella era la realtà brassicola che amavo più di altre. In quegli anni Cantillon era poco conosciuto e solo alcuni suoi lambic arrivavano in Italia. Dopo qualche anno c’è stata l’esplosione di questo birrificio, che oggi è sotto gli occhi di tutti.

 

Gli appassionati di birra attraverso quali canali di comunicazione interagivano tra loro, in quel periodo?

Dopo tanti anni di Hobbybirra è nato il forum di MoBi, associazione fondata da Bertinotti, Faraggi, Canegallo, me e Kuaska. Lo scopo era di mettere insieme appassionati e homebrewer. In quel forum si animava la piazza grazie alla presenza mia e di pochi altri, che tenevamo viva l’attenzione degli iscritti. Quando sono passato dall’altra parte della barricata, diventando professionista, ho lasciato MoBi e di conseguenza il suo forum.

Birrificio Extraomnes

Birrificio Extraomnes

Non riuscivi a stare al tuo posto di birraio, avevi bisogno di animare gli animi degli appassionati in qualche modo. Per questo motivo nasce Il Barbiere della Birra?

Esattamente. Con Massimo Bombino e Stefano Ricci, creiamo il Barbiere della Birra, un luogo virtuale dove si parlava di birra e dei personaggi che giravano intorno ad essa. La vita sul forum è andata mano a mano ad affievolirsi, con il crescere del successo di Facebook.

 

Dopo poco nasce un’altra “piazza”aperta agli appassionati: gli Analfabeti della Birra!

Il gruppo facebook degli “Analfabeti” nasce grazie agli attuali amministratori, Bombino, Ricci, Colonna e Madonna. Io ho cominciato a essere presente sul gruppo solo in un secondo momento. Quella è una piazza alimentata dai contributi di poche decine di persone, che però leggono in migliaia tra professionisti e appassionati. Tutti quelli che gravitano intorno al mondo della birra artigianale italiana leggono gli analfabeti ma pochi sono attivamente coinvolti negli interventi. Sarebbe bello se i professionisti partecipassero in prima persona, piuttosto che essere solo osservatori, in un clima più sereno, dove poter dare il proprio contributo al movimento.

 

Parlando di movimento della birra italiana, vorrei conoscere la tua opinione sulla presenza delle beer firm sul mercato?

Rispetto alle beerfirm è necessario fare chiarezza sulle differenti modalità con cui operano. Ci sono casi virtuosi di chi decide di far produrre le sue ricette in altri birrifici, seguendo cotta, fermentazione e confezionamento, e quelli che invece al massimo fanno un’apparizione in birrificio durante una cotta, senza seguire tutti i processi successivi. Questo lo sappiamo perché ne parliamo tra di noi operatori, ma dobbiamo fare in modo che i consumatori siano tutelati. Dobbiamo essere chiari con loro, facendo in modo che possano leggere in etichetta il nome dell’impianto dove è stata prodotta la birra e non un codice accise indecifrabile. La massima scorrettezza delle beerfirm, nei confronti di quelli che investono nella realizzazione di un impianto, è la cattiva abitudine di presentarsi come birrificio, sia in etichetta che nella comunicazione verso i loro clienti. Fino a quando non ha un impianto di proprietà, una beer firm non deve mai presentarsi come birrificio!

 

Grande rispetto per i consumatori, quindi, ma come si possono convertire quelli che bevono birra industriale verso il mondo artigianale?

Un errore che bisogna evitare è quello di voler fare birre semplici utilizzando materie prime di seconda scelta. Sono sempre convinto che le persone vadano “convertite” puntando sempre alla massima qualità, senza economizzare sulle materie prime e mantenendo l’identità del birrificio. Spesso si sottovaluta l’importanza del racconto da fare al consumatore, soprattutto nelle manifestazioni pubbliche, in cui hai quindici secondi di tempo per far capire cosa sta bevendo, usando un linguaggio semplice che possa essere rassicurante per l’interlocutore.

 

In molte regioni italiane, la diffusione della birra artigianale è maggiore in ristoranti e pizzerie piuttosto che nei pub. Quanto è importante la formazione in questi locali, dove magari c’è meno attenzione alla conoscenza dei prodotti, rispetto alla cultura del publican?

La formazione è fondamentale, non solo per la conoscenza del prodotto, ma anche nella gestione della birra, dallo stoccaggio alla temperatura di servizio, senza dimenticare la scelta del bicchiere giusto. Ai clienti di Extraomnes propongo di formare il personale oppure organizzare serate di presentazione delle birre al pubblico, così da creare un senso critico rispetto alla gestione della birra nei locali. Sarebbe opportuno che questa pratica fosse condivisa dai miei colleghi per educare in maniera corretta chi propone la birra ai propri clienti.

 

Quanto può essere importante l’abbinamento al cibo, per la diffusione della birra artigianale, in un paese come il nostro, dove non si beve se non si mangia?

La birra a tavola è uno strumento importante. Io sono sommelier del vino, ma posso dire con certezza che le birre hanno molte più strade, rispetto al vino, negli abbinamenti. Per fortuna stiamo vivendo un momento storico in cui la birra artigianale è stata sdoganata anche in ristoranti stellati, dove è sempre più presente la carta delle birre. Purtroppo stiamo assistendo anche alla presenza di birre industriali nelle mani di grandi chef, semplicemente perché ci sono gruppi industriali che fanno ingenti sponsorizzazioni, per essere presenti nei loro ristoranti. Magari la strada più semplice è quella della ristorazione che viene dal basso, che è meno appetibile da parte dei grandi marchi di birra, riuscendo ad avere una presenza più massiccia della birra artigianale.

 

Extraomnes ha un locale che già nel nome mette in luce il legame tra la birra e il cibo.

I locali sono due. Il primo è vicino al birrificio, a Castellanza. Si chiama Extraomnes Bier & Cibo, dove è possibile trovare le nostre birre. La parte cibo è dominata dalla Focaccia di Recco, ripiena di formaggio e completata da varie guarnizioni. Spesso facciamo serate in cui parliamo di abbinamenti non solo con la birra, cercando di giocare anche con vino, distillati e cocktail.

 

Da sommelier a birraio. Come nasce il progetto Extraomnes?

Voglio premettere che non avevo mai fatto birra prima di essere assunto dai proprietari di “Cafè El Mundo” Questi parteciparono a un corso di degustazione, dove insegnavo, e mi proposero di andare a lavorare con loro per fare birra. Quando dissi che non ero in grado di fare la birra, mi dissero che andava benissimo, perché cercavano qualcuno che imparasse a produrla insieme a loro. Accettai la sfida e iniziammo a sperimentare su un impianto di 30 litri, tre anni prima dell’apertura del birrificio, che è avvenuta nel 2010. Per tre anni mi sono occupato del commerciale caffè di El Mundo, continuando a sperimentare le ricette da homebrewer, un paio di volte a settimana, all’interno della struttura. Le prime cotte non erano granché e me ne rendevo conto proprio per le mie capacità di degustatore. Grazie ai tanti amici homebrewer e produttori, siamo migliorati e dopo un anno son venute fuori delle birre che avrei comprato. Da quel momento abbiamo acquistato l’impianto di produzione ed è partito definitivamente il progetto Extraomnes. Nei primi tempi ero da solo a fare cotta, imbottigliare e confezionare, poi dopo qualche mese sono stato affiancato da un aiutante. Oggi sono presente in ogni momento in cui c’è da controllare la produzione o fare scelte su ricette e processi, ma non sono l’unico a occuparsi della produzione.

 

Parlami delle tue birre.

Abbiamo una linea classica, con il cane grosso in etichetta, che raccoglie le birre prodotte tutto l’anno: Blond, Saison, Zest, Tripel, Bruin, Biere de Garde e Kerst, anche se quest’ultima è natalizia. Poi ci sono le birre che in origine dovevano essere one shot e che invece non abbiamo potuto fare a meno di riprodurre, vista la grande richiesta dei nostri clienti. Tra queste, la Quadrupel, la Straff e la ChienAndalou. Quest’ultima, nata con riferimento al Barbiere delle Birra, è di base una quadrupel cui abbiamo aggiunto come ingrediente tutto ciò che era percepibile in degustazione (frutta secca, uvetta, etc…). Poi abbiamo la Kerst Reserva, realizzata con passaggio in botte.

 

Hai già deciso cosa farà da grande Extraomnes?

Sicuramente continueremo ad ampliare la bottaia. Abbiamo già identificato una zona del birrificio che conterrà tutte le nuove botti. Questo è un settore che amo tantissimo, anche per le grandi affinità che ci sono con il mondo del vino. Di certo non saremo immobili rispetto alle nuove tendenze di confezionamento. Dopo l’esperienza della Schandaal, realizzata con Canediguerra, approfondiremo il discorso lattine con la creazione di una linea di birre espressamente studiate per essere confezionate nel contenitore di alluminio.

 

Ritorniamo al mondo che ci circonda. Cosa ti piace del movimento brassicolo italiano?

Credo sia molto bella la solidarietà che si vive nel nostro mondo. Non ci sono segreti e se c’è la possibilità di aiutarsi, nessuno si tira indietro. La convivialità che si osserva dall’esterno può sembrare solo una facciata, in realtà è vera e permette a tutti gli attori di vivere con molta umanità questo settore.

 

A questo punto finirei con quello che non ti piace nel mondo della birra. Dimmi tutto senza peli sulla lingua!

Più che non amare qualcosa, sono preoccupato che il mondo della birra possa diventare come quello del vino, per i motivi che mi hanno spinto ad allontanarmi da quest’ultimo. Gli appassionati di vino passano più tempo a parlarne, piuttosto che berlo. Le degustazioni di vino sono ritenute quasi dei momenti sacri in cui il formalismo è imperante. E non parlo dei produttori, che sono la parte bella del vino, ma degli appassionati. Il mondo della birra mi è parso subito molto più informale, dall’abbigliamento ai momenti di aggregazione. Quello che sto osservando negli ultimi tempi è l’avvicinamento del mondo birrario alla parte che non amo del vino. Ci vuole consapevolezza della qualità, ma non bisogna mai prendersi troppo sul serio. Se dovessi trovarmi su una spiaggia in Sardegna e ho a portata di mano solo l’Ichnusa, o mangio pesce in riva al mare in Puglia e trovo la Peroni ghiacciata, pur bevendo abitualmente birre migliori, mi godo quel momento anche con una birra industriale, proprio perché conosco il resto. Bisogna essere aperti di mente, sempre.