La cucina di Salvatore Morello e i vini di Frank Cornelissen si incontrano da Concezione
di Francesco Raguni
Prosegue la rassegna di appuntamenti organizzata dallo chef catanese Manuel Tropea, proprietario del ristorante Concezione, in cui cuochi stellati provenienti da altre regioni e produttori enologici locali si incontrano in un valzer di abbinamenti unici. Dopo il primo evento — che ha visto riuniti ai fornelli lo stesso Tropea, Nino Rossi (ristorante Qafiz, 1 stella Michelin) e i vini di Franchetti — questa volta è toccato a Salvatore Morello (ristorante Inkiostro, 1 stella Michelin).
Se la cena precedente ha avuto come trait d’union la delicatezza, stavolta è stato il turno della potenza. A completare il quadro, alcuni dei vini più particolari dell’Etna: quelli di Frank Cornelissen, produttore del celebre Magma, oggi tra le bottiglie più blasonate del vulcano.
Superata la fase introduttiva della cena, nella quale la cucina di Concezione ha proposto il suo aperitivo in due atti — battezzato “gioco imperfetto” perché composto con gli avanzi delle preparazioni in carta e concepito per ridurre al minimo gli sprechi — e i suoi panificati, è arrivata la prima portata firmata da Morello: Torchon di foie gras bio non imbottito, melone emiliano, verbena e vaniglia. Si tratta di un piatto che lo chef serve come apertura di uno dei suoi percorsi degustazione al ristorante Inkiostro, a Parma.
La composizione è tripartita: al centro, il medaglione di foie gras biologico non imbottito, accompagnato da un melone lavorato in diverse consistenze (polpa fermentata in perle, bucce sottoposte a fermentazione dolce, semi e scarti in forma di gelato, brunoise della polpa a crudo); infine, due elementi di accompagnamento: una brioche alla vaniglia e un distillato di vermut e succo di verbena.
I tre elementi si legano perfettamente: vaniglia e verbena esaltano il foie gras e il melone, restituendo un piatto che, sebbene possa sembrare grasso o impegnativo, sorprende per l’armonia dei sapori e soprattutto per la freschezza che lascia al palato. È una proposta completa anche dal punto di vista dell’abbinamento: il distillato ne chiude la struttura, rendendo superfluo l’accostamento a qualsivoglia vino, che (anzi!) rischierebbe di generare sovrapposizioni scomode sul piano alcolico.
Il percorso è proseguito con un piatto intenso, firmato da Tropea: Tataki di pecora, pinzimonio al prezzemolo e chardonnay, salsa ai ricci di mare. La pecora — siciliana, cacciata allo stato brado all’interno di una riserva dell’entroterra — viene frollata per un mese, risultando tenera e adatta a una cottura al sangue.
La salsa ai ricci (ottenuta da polpa e acqua dell’esoscheletro) ne esalta la sapidità, aggiungendo ulteriore spinta. Per gestire l’intensità della pecora e dei ricci e al contempo ripulire il palato tra un boccone e l’altro, si è scelto il Munjebel VA 2020 bianco di Cornelissen, (Grecanico Dorato 60%, Carricante 10%, Coda di Volpe 30%, tutto a piede franco, l’età delle viti spazia dai 60 fino ad oltre 90 anni). Vino sui generis, prodotto principalmente in formato Magnum: è molto lento ad aprirsi al naso, ma già pronto in bocca, in quanto manifesta eleganza e freschezza al sorso. Il suo bouquet si sviluppa nel tempo, con note fruttate, minerali e di idrocarburi, in linea con la filosofia del produttore: “Voglio che la gente non apra subito la sua bottiglia”, ha affermato Cornelissen stesso, volendo così lasciare – tramite il suo vino – un messaggio sulla cultura dell’attesa. E infatti, Munjebel VA 2020 bianco è vino che insegna ad aspettare ed è capace di evolvere oltre i cinque anni.
Con il primo il commensale è stato riportato ai fornelli di Inkiostro: Eliche, prezzemolo, rilettes d’anatra, lenticchie all’aceto di Modena affumicate. Una scelta da apprezzare è sicuramente quella di virare non su una pasta ripiena, ma su un formato capace di raccogliere bene il condimento e garantire una masticabilità piena (per l’appunto, le eliche). La salsa di prezzemolo con cui sono state servite è stata realizzata con due tipologie differenti di prezzemolo, di cui una a foglia larga, dalle note più dolci.
Le lenticchie, invece, sono state affumicate per una settimana con legno di melo, cotte nel jus di anatra e completate con un aceto balsamico Montebello invecchiato per 16 anni. A chiudere un crumble di ciccioli di anatra, lavorati con le mele e la cenere dello yakitori. Si è trattato di un piatto di grande struttura, capace di giocare con dolcezza e acidità. L’abbinamento, quindi, non poteva che ricadere su un vino del medesimo tenore. Così è entrato in scena il Munjebel 2021 di Cornelissen (nerello mascalese in purezza, proveniente da vigneti tra 600 e 750 m.s.l.m.): al naso frutta matura, al palato freschezza e struttura, con un tannino capace di asciugare la salivazione indotta dalla cornucopia di sapori delle eliche
Prima del dolce, firmato Concezione, in cui è ritornato l’aglio nero, utilizzato in altre occasioni come base per il pre-dessert, c’è stato spazio per un ultimo piatto di chef Morello quale: astice blu, pollo romagnolo, calpico e tam miam. Un viaggio andata e ritorno tra la via Emilia e l’Est. L’astice blu – cotto alla brace – è servito con una crema al coriandolo, un ramen piccante di crostaceo (che da una spinta non indifferente al piatto), un’insalata fredda di pollo con foglie di limone e limone salato, calpico (bevanda giapponese non alcolica a base di latte fermentato n.d.r.) e sesamo. A chiudere, una piccola porzione di caviale Asetra sull’astice.
Il piatto è decisamente completo e armonico: proporzioni, complessità di sapori e varietà di consistenze sono state certamente rispettate. Al palato, inoltre, presenta un’armonica di dolcezza, freschezza, piccantezza e acidità. Ad ulteriore smentita dell’inflazionato binomio il binomio “pesce – vino bianco” è stato proposto Munjebel VA 2021 rosso (questa volta non in formato Magnum, nerello mascalese in purezza proveniente da viti in contrada Barbabecchi e Tartaraci, tra i 900 e 1000 m.s.l.m.) ulteriore prova che la 2021 è stata una grande annata sull’Etna. Il suo bouquet olfattivo ricco di frutta e spezie scure ed il suo sorso rotondo dal tannino levigato sono i descrittori di un vino etneo che strizza l’occhio alla Borgogna. Il vino ha così retto la sfida del piatto, cedendo solo in caso di bocconi con forte predominanza piccante.
Ancora una volta l’Etna è stata capace di guardare oltre lo Stretto, dimostrandosi all’altezza sia di piatti del territorio, ma anche di cucine e interpretazioni lontane. Perché l’accoppiata territoriale funziona, ma è nella curiosità del confronto con l’“altrove” che si scoprono le più belle sorprese.







