La decadenza sensoriale della società, riflessioni di un sommelier


di Carmelo Corona

Da circa un mese e mezzo mi trovo, come sommelier professionista, ad operare presso un wine bar – enoteca con cucina di recente apertura nella città dove vivo ed opero, Castelvetrano, in provincia di Trapani. Una volta a settimana, solitamente il giovedì, viene organizzata una  serata conviviale “a tema” che ha come “spirito di fondo” il recupero della tradizione gastronomica regionale, la convivialità quale strumento di “comunicazione sociale” (assai caro ai popoli dell’antichità classica, dei quali, Castelvetrano conserva, con il parco archeologico dell’antica Selinunte, una reminiscenza davvero notevole e significativa) e, naturalmente, il buon vino, quale sovrano incontrastato della tavola ed insostituibile accompagnatore del cibo.

E’ proprio in occasione di questa serate che, trovandomi a scegliere il vino da abbinare alle pietanze elaborate dal nostro chef e restituendogli dunque il ruolo di “alimento” e di unico, valido accompagnatore di un qualunque pasto degno di questo nome, mi “disintossico” dalle serate passate a “sbicchierare” il vino ai giovani frettolosi e disattenti come fosse una qualunque altra bevanda di questo mondo! In queste serate conviviali mi trovo anche ad illustrare agli avventori del locale, i piatti ed i vini scelti, cercando, nel mio piccolo, di dispensare un po’ di cultura enogastronomica e di risvegliare nella gente l’interesse per il vino ed il suo sorprendente abbinamento con il cibo.

Ed è proprio in queste serate che ti rendi conto che il “gioioso liquido”  (come amo definirlo) è davvero l’unica bevanda che meriti di essere raccontata e che, anzi, ha (sigh!) bisogno di essere raccontata, perché, solo così, puoi coinvolgere la gente e creare, sempre con molto sacrificio, curiosità ed interesse. Il vino, per essere apprezzato, deve necessariamente unirsi alla “suggestione del racconto”. Ma ascoltare un “racconto” implica tempo, attenzione, rilassamento. Mi son trovato, quasi senza volerlo, a riflettere su questo e di come in un’epoca in cui, nonostante l’impressionante livello tecnologico raggiunto, andiamo, nonostante tutto, sempre più di fretta, quasi a voler emulare la velocità dei mezzi meccanici ed elettronici del cui “assist” ci avvaliamo quotidianamente, fermarsi a “convivere”, assaporando del buon cibo accompagnato dal buon vino, serve a “restituirci a noi stessi” ed a verificare la gerarchia dei propri “valori”. Come diceva un filosofo greco, il cibo ed il vino sono qualcosa che ha più a che fare con il cuore (ossia con la nostra parte “animica”) che con lo stomaco.

Ma l’impressionante innovazione tecnologico-scientifica di cui tutti noi siamo, quotidianamente, spettatori e fruitori allo stesso tempo, è il risultato di un processo che è in moto da circa 60 anni a questa parte. Più o meno lo stesso periodo storico caratterizzato da un progressivo, inesorabile calo dei consumi di vino e della lettura di libri e giornali. Nello stesso periodo siamo tutti diventati sempre più attenti alla “convessità” delle cose (ossia la parte esteriore, superficiale, “il vestito”, “l’etichetta”) piuttosto che alla “concavità” delle stesse (ossia la profondità, l’essenza, la verità). Un preoccupante processo socio-culturale, invero, iniziato molto tempo addietro se Giacomo Leopardi, già intorno a1 1820, scriveva nei suoi Pensieri: “E’ assioma trito,  ma non perfetto, che il mondo si contenta dell’apparenza. Aggiungasi, per farlo compiuto, che il mondo non si contenta mai, e spesso non si cura, e spesso è intollerantissimo della sostanza… il mondo ordina di parere uomo da bene, e non di essere”.

Raccogliersi davanti al vino (ed al cibo), per degustarlo ed apprezzarlo in tutta la sua “universalità”, in un’epoca contrassegnata dalle fuorvianti “suggestioni” della multimedialità e della tecnologia, può costituire un importante strumento per combattere la decadenza dei sensi (altro preoccupante processo socio-culturale già noto al grande Emile Peynaud), effetto della logorante “superficialità” di una società forse “progredita” dal punto di vista tecnologico e scientifico, ma non da quello civile e culturale.

14 Commenti

      1. Considerazioni quanto mai condivisibili Carmelo, la nostra necessità di esprimerci quando trova superfici convesse ci rattrista perchè i contenuti scivolano via con facilità e non lasciano nulla ne a noi ne a chi non trattiene neanche un momento quello che vorremmo passasse . Però coraggio, qualche superficie concava si trova ancora dove appoggiarci qualche considerazione che non sfugga via come una triste pioggerellina leopardiana che più che una grigia pozzanghera non creerà…
        Sempre meno, ma una ogni tanto si trova ancora.

  1. Echi di Sicilia in Giuseppe Pitrè a proposito di Uva e di Vino nelle Voci dei Venditori in Usi e Costumi:
    “Er è brunnu comu l’uoru lu zibibbu! Comu l’uoru è a durici rana!
    L’arrifrescu ru li malati. Lu veru tribboti l’annu! (l’uva tribboti che frutta tre volte l’anno)
    Uva duracina Duràca coma pruna di cori!.
    Vinu veni tyasta! Tasta ch’è di Carini veni tasta!
    U vinu di Siculiana E’ ghiuntu a Raffadali! etc.”
    Carmelo, il folklore raccoglie migliaia di storie e di testimonianze che ci fanno capire come sia vero quello che tu dici.

  2. Tu fai un bel lavoro, Carmelo, non fosse altro perché ti consente di parlare di vino, di conoscerlo e farlo conoscere. Metterlo al centro. Tuttavia credo che dare la giusta importanza al vino nel bicchiere passi necessariamnete dallo scambio di opinioni e considerazioni, se vuoi emozioni: in una parola dall’esperienza, nostra e degli altri. Esperienza vuol dire conoscere , muoversi per confronto, respirare anche a pelle, intuire: non interessa se questo processo virtuoso avviene scavando e scambiando, certo è che non si può più parlare di ricerca della profondità nel vino senza apparire solitari e svincolati dal mondo che è fuori. Non serve a nulla cercare la bellezza nel bicchiere presi dal sacro fuoco. Serve quello che tu fai il giovedì e che facciamo noi, Luciano e voi altri in primis, qui su queste pagine: credo che quelle sere siano quanto di più superficiale, trasversale, dinamicamente conoscitivo si possa fare. La stessa cosa che accade nella rete, nelle guide, nelle accese discussioni sui blog. Questa è la vera bellezza: non occorre essere profondamente esperti per se stessi, è necessario essere superficialmente e appassionatamente utili alla causa del vino. Questo è il senso.

  3. Caro Carmelo,
    ( mi permetto il tu in quanto anche io sommelier dall’ ormai lontano 1992 )
    sarà che il mio inguaribile ottimismo mi fa vedere ( e l’esempio credo stia
    benissimo in tema ) il bicchiere sempre mezzo pieno anzichè mezzo vuoto,
    ma io credo che i giovani che comunque si avvicinano al vino invece che ad
    altre improbabili bevande e/o miscugli siano un elemento ben positivo .
    Starà alla tua pazienza, alla tua passione, alla tua competenza di trasformare
    il loro bere ” automatico e meccanico ” in qualcosa di meditato e consapevole .
    Per il raggiungimento di questo scopo, io ti invio un augurio di buon lavoro
    ed un caro saluto .
    Riccardo Morelli

    1. Non posso che concordare e condividere il tuo ottimismo, caro Riccardo. Del resto, il mio pezzo era sostanzialmente uno “sfogo”, un input “euristico” di confronto e conforto (che, in fondo, è arrivato da tutti voi), consapevole che avrò (avremo) molto da lavorare, e questo significa opportunità, quindi il bicchiere è certamente visto come mezzo pieno (ovviamente, del caro e gioioso liquido…)…

  4. Caro Carmelo, come un novello Virgilio ci fai da cicerone in questa riscoperta dei nostri sensi ed alla fine del nostro io più intimo e vero.
    Grazie per la passione e l’impegno che profondi nel tuo lavoro.

  5. Caro Carmelo condivido il tuo pensiero vero e logico. Per mia esperienza recente, di lavoro e di convivio, ho avuto l’occasione di carpire il pensiero di giovani, che vedono il vino esclusivamente come gradazione alcolica, e non come il piacere che avvolge i sensi, non solo gustativi. Spesso avendo a disposizione un vero bicchiere di vino, li ho invitati a provare, e notare che il vino non è solo alcol che dona piacere inebriante per la mente, ma qualcosa di più profondo che riesce a penetrare addirittura la pelle. Bhe con il buon vino la musica cambiava. Vedevo sorpresa e rispetto per ” quel vino “. Dico che, non c’è una decadenza sensoriale, ma una distrazione sensoriale. In particolare i giovani, distratti da miriadi di tecnologie e news mdaiole impressionanti, come ben citi nell’articolo. La decadenza sensoriale non permette di apprezzare un buon vino, ma la distrazione si.

  6. Caro Gianni, probabilmente hai più ragione di quanto non creda, anzi, voglio sperare che sia davvero così. Invero, non posso negare che, più volte (anche se non molte) mi è capitato di convincere chi mi chiedeva sempre un certo vino (il più delle volte, uno di quelli “costruiti”, senza alcuna identità territoriale e culturale) a provarne uno “vero” (meno “enologico” e più autenticamente territoriale), e ricevere poi elogi e ringraziamenti vari per l’ardito suggerimento. Il “terreno” su cui lavorare c’è, eccome, di questo ne sono sempre consapevole, ma la vedo davvero dura, visti i tempi in cui viviamo.

    1. Caro Carmelo, hai perfettamente ragione. Infatti ho dimenticato di aggiungere che, se sono “molto distratti” è inutile provarci. Condivido che la percentuale dei giovani “meno distratti” è ancora poca, per ora. Voglio vedere il bicchiere mezzo pieno :)
      La mia esperienza lavorativa con i giovani è limitata, in quanto al mio Ristorante, tratto esclusivamente il pescato locale, il che implica costi non proprio popolari. Quindi se ho come ospite un giovane, è evidente che è già preparato e predisposto a certe esperienze gustative incluso il vino, da parte mia è chiaro che diventa più facile persuaderli.
      Buona domenica

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