La Posta di Luciano 1/ Perché a Napoli non ci sono grandi ristoranti storici?


Buonasera Luciano, la leggo spesso da appassionato di buona gastronomia. Volevo porle una domanda a cui forse lei sa darmi una risposta: sparsi un po’ per tutta Europa esistono grandi ristoranti di tradizione, con ambientazione molto formale e antichi a volte anche di qualche centinaio di anni. Mi incuriosisce sapere come mai a Napoli non ce ne siano e se in realtà, essendo stata Napoli un’importante capitale europea e località a vocazione turistica, ce ne siano mai stati e quali siano le ragioni sociali, storiche ed economiche che ne abbiano comportato la scomparsa. Mi scusi se l’ho disturbata, grazie sin da ora di una sua eventuale risposta e del tempo che vorrà dedicarmi.
Giuseppe Di Natale

 

Gentile Giuseppe
La sua domanda è molto complessa e merita una risposta articolata. I ristoranti nascono nelle città in cui è il ceto borghese a dettare i tempi e le mode: l’esigenza di fare incontri d’affari o celebrare ricorrenze.
A Napoli la borghesia non è mai stato un ceto egemone, soprattutto dopo le tristi vicende della Repubblica Partenopea, la dialettica sociale principale vede lazzari e aristocratici vivere e convivere in una enorme città protocapitalista che pur avendo conosciuto industrie e imprenditori non ha mai veramente avuto la rivoluzione industriale.
I lazzari, il sottoproletariato urbano e gli artigiani mangiavano soprattutto fuori casa perché le dimensioni stesse della città non consentivano di rientrare a ora di pranzo. Ecco dunque il proliferare, starei per dire il confermare dal ‘600 in poi, del cibo da strada a poco prezzo.
Dal canto suo l’aristocrazia i cuochi li aveva in casa, i famosi monzù, e non aveva bisogno di andare fuori per mangiare. Ancora oggi si dice: il miglior ristorante? A casa mia! Questo spiega perché non c’è mai stata un rete di locali di grande tradizione e di lusso come li vediamo nelle altre capitali europee.
Queste radici storiche spiegano anche il paradosso per cui la provincia di Napoli è la più stellata d’Italia mentre il capoluogo ha solo tre stelle, niente in confronto a Milano e Roma. Nella prima è proprio la borghesia imprendtoriale ad imporre l’abitudine del pranzo domenicale fuori casa e l’uso del ristorante per diletto oltre che per affari. Nella Capitale funziona invece il peso delle ambasciate, dei ministeri.
Naturalmente oggi esistono ottimi ristoranti anche in città, ma il loro numero è comunque esiguo e queste radici antropologiche spiegano il dominio del cibo da strada, non faccio riferimento solo alla pizza, ovviamente.
Ovviamente dal Dopoguerra in poi si è formato un ceto borghese imprenditoriale e delle professioni e si è registrato anche un aumento del peso della piccola borghesia impiegatizia. Ma è la diversità che fa di Napoli sostanzialmente un mondo a se stante.
Come per Roma, sono i grandi alberghi che potrebbero imprimere la svolta, ma nonostante il flusso turistico, attualmente solo due, il Romeo e il Parker’s hanno davvero investito massicciamente e con convinzione nel food capendo che è una risorsa importante anche per le camere. Sul fronte mare, dove ci sono i più famosi che potrebbero ambire senza problemi a decine di stelle Michein, invece tutto  tace, purtroppo.

2 Commenti

  1. Mi piace quest’articolo e vorrei aggiungere qualcosa ..una considerazione personale su Roma e Napoli. Sono napoletano e vivo a Roma da 16 anni.. la prima cosa che mi colpì a Roma fu l’esistenza di un importante ceto borghese colto ( forse l’indefinita classe media) che condizionava la vita e la cultura della città…a Napoli questo ceto lo ho sempre vissuto come èlite , minoritario rispetto alle altre classi sociali. Quindi è vero che turismo, ministeri e ambasciate sono un motore importante per la ristorazione di qualità romana, ma c’è anche un importante ceto medio che fruisce ed alimenta questi servizi. Da un punto di vista gastronomico, con tutti i limiti delle generalizzazioni, Roma oggi è un pò più avanti di Milano, che pure ha recuperato tanto, e secondo me lo deve anche a questa intelligenza culturale del ceto medio importante.

  2. Credo che, a buon titolo, “La Bersagliera” ultracentenaria possa rientrare nella categoria di “grandi ristoranti di tradizione, con ambientazione molto formale”

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