Le Clos des Senses e la cucina alpina di Frank Derouet: tre stelle Michelin
Le Clos des Senses ad Annecy di Frank Derouet
13 Rue Jean Mermoz
Tel. +33 4 50 23 07 90
closdessens.com
La carriera di Franck Derouet
Ha ragione Tonino Cannavacciuolo quando sostiene che l’alta cucina non è in crisi. E’ in crisi, come abbiamo scritto spesso, la sua caricatura. Qui ad Annecy il tristellato Frank Dorouet è sempre pieno a pranzo e a cena e siamo di fronte ad una caratteristica, sulla quale, confesso, non avevo mai riflettuto sinora. Il Top della Michelin è quasi sempre profondamente stanziale, dopo aver fatto esperienze all’estero.
Classe 1968, nel 1987, una volta ottenuto il diploma BTH, Derouet affila i coltelli all’hotel Intercontinental di Parigi. Nel 1995, il giovane attraversa la Manica e si stabilisce all’Intercontinental di Londra, prima di avventurarsi in Brasile, poi in Portogallo, dove entra a far parte della brigata del Four Seasons di Lisbona. Al suo ritorno va da Georges Blanc a Vonnas, che nel 2001 gli affida il posto di chef tournant. Qui impara come si dice il mestiere. Dopo tre anni diventa executive al Ritz-Carlton Tenerife, di cui cura l’apertura nel 2010.
Nel 2001 arriva nell’hotel-ristorante Le Clos des Sens, ad Annecy, di proprietà di Laurent e Martine Petit, con i quali condivide la stessa filosofia gastronomica. Nel 2015, Laurent Petit decide di puntare sui produttori del territorio, e più precisamente sui prodotti vegetali e i tre laghi: Annecy, Bourget e Lemano. Ed ecco la stanzialità che nel 2023 lo porta a rilevare la struttura diventandone proprietario. Nel 2024 arriva la terza Stella Michelin.
La cucina del Tre Stelle Clos des Senses
Questa lunga premessa per riflettere anche sul tipo di percorso che porta alle tre stelle: grande esperienza internazionale, forte caratterizzazione personale della cucina.
E’ interessante notare come l’alta cucina alpina, in qualunque paese decidiamo di approcciarla, somiglia ad una farfalla che si libera del baco, ossia del 90% del peso. Quella tradizionale è basata sulla gastronomia dei grassi animali e sulla loro carne. La cucina d’autore invece si caratterizza per la ricerca dei prodotti e della enorme varietà olfattiva e gustativa delle erbe e dei fiori della montagna.
Alla base di tutto c’è un rigoroso concetto di sostenibilità ambientale a partire dalla bioarchitettura della struttura. La punta dell’iceberg che caratterizza questi territori sin dal comportamento delle persone nonostante anche qui inizia a pesare l’overturism. Ci eravamo stati 30 anni fa ed è praticamente tutto molto diverso. Quasi tutto quello che viene portato a tavola è del territorio, persino l’olio d’oliva viene prodotto sul lago di Ginevra (diciamo che non è memorabile però), il pane, buono, è quasi senza sale.
Non ci sono piatti fissi perchè il percorso lo detta la stagionalità degli ingredienti. Al cliente viene consegnata una busta con gli alimenti (e i produttori) che troverà nel menu; si può scegliere fra sette e nove portate ad un costo che non supera attualmente i 280 euro, ossia il 30 per cento in meno di quanto si spende nei tristellati parigini.
Un aspetto positivo è che siamo in presenza di una cucina rigorosa ma non ideologica: ossia la carne non è esclusa, ma non ha un ruolo primario rispetto al vegetale e ai pesci di lago, viene usata soprattutto per alcuni fondi in un paio di piatti. Quindi se la cosa può dare fastidio meglio dirlo subito.
I piatti sono molto buoni ma non piacioni, si punta decisi alla freschezza, spesso, ma non sempre, sui toni amari, il percorso è coerente dall’inizio alla fine, quando ti rendi conto di aver mangiato la montagna nella sua essenza più pura.
Per gli appassionati di gastronomia è sicuramente una esperienza didattica, c’è anche la pasta come vedrete dalle foto ma non gioca il ruolo che ha in Italia, ossia il momento del godimento assoluto di comfort. Ci si alza alla fine del percorso sazi ma non pesanti e soprattutto decisamente soddisfatti per quello che si è mangiato. Non è il classico posto però dove basta esserci stato una sola volta, almeno un’altra stagionalità va verificata.
Unici momenti concessi alla spettacolarità: il carrello dei formaggi e la cucina a vista impostata come un maxischermo che alla fine del servizio viene oscurata da una tenda.
Servizio perfetto, buona carta dei vini. Lo chef alla fine saluta tutti i tavoli ma non si finisce a compagnoni, i montanari, si sa, sono sempre un po’ chiusi d’istinto.
Quando si esce da questi ristoranti bisogna chiedersi: ho provato cose nuove oppure no? Penso ai sapori o ai soldi che ho speso? Dalla risposta che date al vostro intimo dipende il giudizio. La nostra è positiva in entrambi i casi: la cucina di Franck Dorouet mi è piaciuta perchè coerente, di carattere, aggiornata.
Un commento
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Forse l’unica cosa che mi …ispirava le tre stelle: il carrello dei formaggi di Savoia (sono borbonico…ma apprezzo !)