Le famiglie del vino: Fontana Galardi


Il primo incontro con Roberto Maria Selvaggi, la nascita di un’amicizia breve ma eterna

Montevetrano e Terra di Lavoro, storie parallele. Cioé come una tenuta di famiglia diventa un piccolo gioiello nel variegato panorama vinicolo campano. Il motore aziendale, anche in questa caso, è donna. Maria Luisa Murena e Dora Catello sono cugine e, insieme ai rispettivi mariti, il giornalista Roberto Maria Selvaggi e Arturo Celentano, hanno avviato una piccola produzione di qualità, appena due ettari a bassa resa curati dall’agronomo Nicola Trabucco. L’azienda si chiama Fontana Galardi e nasce dall’unione con la Fattoria Villamarina dove il vino riposa nelle barriques. Oltre 600 ettari di castagni e olivi sotto la bocca spenta del vulcano di Roccamonfina, giù c’è Gaeta, di fronte Montecassino, ma siamo ancora in Campania. «Abbiamo sempre avuto la passione per la gastronomia di qualità – racconta Maria Luisa – poi abbiamo deciso di fare il vino.

Lo so, sembra quasi una trovata pubblicitaria, ma all’inizio pensavamo davvero di fare una produzione per il nostro autoconsumo, qualche bottiglia da offrire agli ospiti della nostra tenuta perché i nostri prodotti principali erano, e sono ancora, le castagne, l’olio extravergine di qualità Fontana Galardi, le ciliege e il legno da taglio». Fu Arturo Celentano, sommelier, a spingere per il gran salto, poi il rapporto con Riccardo Cotarella e l’inizio dell’avventura. La prima vinificazione viene fatta nel 1993, le prime bottiglie presentate al vaglio degli esperti e dei critici sono quelle delle annate 1994 e 1995. Il successo è immediato, quasi come quello raggiunto in Borsa delle azioni Tiscali: quel vino diventa praticamente introvabile perché la domanda del mercato, sempre alla ricerca di novità di spessore, ha immediatamente esaurito le scorte. «I programmi futuri – spiega Francesco, il fratello di Dora anche lui impegnato in azienda – sono già stati messi a punto. Entro il 2003 arriveremo a produrre 40-45mila bottiglie e allora potremo finalmente cominciare a respirare». «La verità – dice Roberto – è che il successo ci ha colti impreparati. La nostra adesione al Movimento del Turismo del Vino è ideale, perché al momento abbiamo solo l’olio da offrire ai nostri visitatori».

L’alta qualità dell’uva prodotta è una delle caratteristiche del lavoro: l’azienda è in conversione biologica dal 1997, la resa per ettaro è di appena 60 quintali. Basta passeggiare nelle vigne per rendersi conto della rivoluzione in atto sotto il vulcano spento: i contadini di Sessa strabuzzano ancora gli occhi quando vedono che le pigne vengono tolte prima di essere mature per abbassare la resa e migliorare il prodotto: «Pazzi, siete pazzi». È la metafora di quanto è avvenuto ovunque in Campania il cui vino torna ai vertici solo quando i produttori decidono di infrangere le abitudini secolari sedimentate nella mentalità rurale delle campagne dell’interno. Così una nuova zona vitivinicola si affaccia sulla scena. «Il mio orgoglio? Essere – sentenzia Roberto tra il serio e il faceto – tra gli autori di un vino degno dei Borbone».

Il Mattino, dicembre 1999