Marsiliano 2006 Campania igt


Magica Campania, vicino la Sibilla inebriati dalla Solfatara: le altre regioni devono studiare, approfondire, inventare, fantasticare, indovinare, arrancare alla ricerca di vitigni autoctoni mentre qui, come una batteria di fuochi di artificio, non fai in tempo a consumare la novità di un’uva che già un’altra è stata lanciata dal fuochista. Il Deus ex machina in questione è l’enologo Roberto Cipresso, suo anche il lavoro a Villa Dora di Vincenzo Ambrosio: la Campania lo attrae con la sua lava, il pericolo imminente, le catastrofi del passato e anche quelle del presente. Ma gli attori principali si chiamano Restituta e Luigi Di Meo, tradizione contadina alla quarta generazione, protagonisti e attori in un territorio dove tutto è stato pensato negli ultimi anni per distruggere il meraviglioso e opulento passato. Come la viticoltura, una vigna ormai vale cento forestali a difesa di questo terroir passato con il sifone da Efesto, non da Adrià, nel corso dei secoli. Spuntano così delle marze ripulendo un terrazzamento mentre si prepara il nuovo vigneto, l’idea è sempre in bilico tra Falanghina o Piedirosso, che qui si chiama Per”e Palummo come a Ischia. Loro, come pochi altri, difendono questa agricoltura e dopo tanti sforzi arrivano i risultati, il costo del lavoro svolto si apprezza in bottiglia e il mercato tira, chiede qualità, soprattutto diversità e passione. C’era l’uva marsigliese, vai a capire perché la chiamavano così i nonni che festeggiavano con il boccione colmo di questo vino. Ora siamo a quota tremila piante coltivate su terreno franco sabbioso pieno di ceneri e lapilli, e con la vendemmia 2006 si finisce finalmente in bottiglia: la fermentazione avviene sur lies in barrique per circa otto mesi, poi ancora un elevamento in vetro. Ed eccoci allora a qualcosa di nuovo, Roberto parla di Madiran o di certe emozioni del Midì, noi pensiamo a qualcosa simile ad un Piedirosso finalmente capace di trovare la maturità come in parte è già nel Sannio, cito il Kerres dei Pentri e il Gaurum di Torre Gaia: profondo, dal frutto evoluto, una paccheriata ciliegiosa alle narici resa fragrante da notarelle balsamiche rilasciate dai legni che non chiudono il racconto olfattivo, ma lo esaltano. In bocca c’è una morbidezza inconsueta, c’è succosità abbondante e si ritrovano tutte le promesse del naso in modo evidente. Lo beviamo sul ragù di polipetti affogati, oppure sulle preparazioni a tendenza dolce come il polpettone con i piselli. Dimenticavo il difetto: costa troppo poco, sotto i quindici euro, ché se penso a quante porcherie i ristoranti hanno comprato negli anni ’90, un centone non bastava per una boccia di chiacchiere inventate, mi viene da piangere. Viva Bacoli, la Marsigliese è il tuo nuovo inno.