Mostra mercato del Tartufo Nero di Bagnoli Irpino. Il prodotto non è in fuga


Un tartufaio al lavoro con il suo cane


di Monica Piscitelli

Dopo che hanno spopolato per tutti gli anni Novanta è il momento del declino delle sagre. Se ne dice, tra gli addetti ai lavori e i consumatori più avveduti, peste e corna. Chi ha il polso delle tendenze e sa dove si dirige l’enogastronomia ai tempi d’oggi, riconosce alle feste che celebrano prodotti e tradizioni artigiane secondo il modello che in passato si sviluppava sul sagrato delle chiese dei paesi, al più, il merito di aver esaudito per prime un bisogno di campagna e prodotti genuini. Emerso prepotentemente una ventina d’anni fa, il fenomeno è imploso rapidamente divorato da un’imperdonabile carenza strutturale: il sistema produttivo atto a garantire la presenza del prodotto che si celebra era del tutto assente.
Non è questione di numeri quanto di credibilità. Cosi’, mentre continua la corsa al week end per mangiare la rana, il fungo porcino, la salsiccia paesana, la sagra è già in crisi.

E lo è tra coloro che associano la qualità a tavola ai piccoli numeri. La sagra è colpevole, infatti, di andare nella direzione opposta: cercherebbe ancora la massa. Se a queste feste va ancora riconosciuto comunque il pregio di offrire alternative di svago per famiglie e comitive di amici, è difficile non osservare come molte siano fatte per far cassa, offrano prodotti per nulla di territorio (se non di scarsa qualità) e, soprattutto, non consolidino sul territorio i risultati ottenuti in termini di presenze.
Non tutte cosi’, ovviamente. Ma la tendenza a far di tutta un’erba un fascio finisce per penalizzare anche interessanti esempi di feste, mostre, sagre che sono impostate seriamente e che possono dare un importante contributo a tener vive tradizioni antiche e, magari, a prospettare un futuro di lavoro per membri della comunità che le accoglie che viceversa le abbandonerebbero. A questi esempi occorre ispirarsi per pensare a una riqualificazione di queste occasioni, riqualificazione che non può non passare attraverso il porsi una domanda “quale è il prodotto che promuoviamo?” e: “chi lo produce o potrà produrlo?”.
E’ un paradosso, ma nella sagra di questo o quel prodotto, tra il gruppo folk, l’animazione del Dj e il liscio, è proprio il prodotto il grande assente.
Ricevo segnalazioni di innumerevoli sagre di questo genere e alla richiesta di capire di più, di quantificare e analizzare ciò che è intorno al prodotto, molti si spaventano. Il prodotto si dà alla fuga.
Cade nel nulla la mia email di richiesta chiarimenti.
Quando la pro loco di Bagnoli Laceno, nella persona di Stefano Belfiore, mi ha contattato un paio di settimane fa segnalandomi l’edizione 2010 della mostra mercato del tartufo nero e dei prodotti tipici e 33esima sagra della castagna in programma a Bagnoli Irpino dal 29 al 31 ottobre, ho chiesto le mie solite spiegazioni e anche, e soprattutto, di avere qualche dato. ma non mi riferivo a quelli che mettono tutti su incredibili e inaspettate presenze che di anno in anno si decuplicano. Mi interessava il prodotto e speravo non si desse alla fuga.

Il Tartufo Nero di Bagnoli Irpino e le sue caratteristiche venature

Il mio interesse era dovuto al fatto che il Tartufo nero di Bagnoli Irpino, scientificamente chiamato Tuber mesentericum Vittad per il suo aspetto globoso e simile a quello dell’intestino tenue, è un rappresentate rispettabilissimo di Tartufo ordinario, nero, rispettabilità che vale a Bagnoli Irpino l’iscrizione all’Associazione nazionale “Città del tartufo”che vede, tra le altre, anche Alba, San Miniato e Macchiagodena. Si tratta di un tartufo, un fungo ipogeo nella sostanza, di gran carattere gusto olfattivo: pungente al naso per il suo tipico odore di bitume o d’acido fenico e per il sapore leggermente amarognolo. Si produce tra Bagnoli Irpino, Apeta, Sazzano, Valle dell’Acero, Valle Boba, Cervarulo e Cerviato, ma ha legato il suo nome a quello di Bagnoli Irpino perché fu proprio intorno ai boschi (stabilisce rapporti simbiotici principalmente con il faggio e il pino nero) che lo circondano che e’ cominciata, più di cento anni fa, la sua raccolta.
Il tartufo che si celebra a Bagnoli irpino è, assolutamente, di questa zona dell’Irpinia i cui boschi ospitano in prevalenza faggete la cui spettacolarità è ben nota.
Cosa credete che sia accaduto, dopo la mia richiesta di informazioni? Incredibilmente, il prodotto non si è dato alla fuga e la pro loco mi ha dato informazioni dettagliate e puntuali che cercavo.
Leggo, dunque, con soddisfazione e interesse: i dati di affluenza, le dichiarazioni dei partner istituzionali, le novità della edizione 2010, le caratteristiche del prodotto e, udite udite, ciò che mi stava più a cuore: sapere che economia ha questo prodotto. Non per capriccio, ma perché senza questa informazione, senza la dimensione sociale di un prodotto, “alla festa manca il Santo da festeggiare”.
Leggo sempre, dunque: i cercatori sono più di 100 e quelli che commercializzano prodotti a base di tartufo 5. La produzione è di circa 15000 chili (dati 2009) e i mercati di sbocco sono l’Italia Meridionale, la Germania, l’Inghilterra e la Spagna. Ancora una cosa interessante, nell’ottica della rete tra territori, propone l’edizione 2010: la partnership gastronomica con Cetara e la sua colatura, prodotto che da novembre 2003 è presidio Slow Food.
Il liquido ambrato prodotto da un tradizionale procedimento di maturazione delle alici sotto sale, solido esempio di monumentale intensità gusto olfattiva, incontra un esempio di uguale spessore: il Tartufo nero di Bagnoli Irpino. L “Insalata bagnolese di tartufo” è la proposta che li vede duettare a tavola e – ulteriore aspetto che dà spessore alla “sagra” – che segna l’avvio di un progetto di collaborazione più ampia che vedrà a Bagnoli Irpino una rappresentanza dell’Associazione “Amici delle alici” e del borgo di Cetara alla manifestazione bagnolese.
Mi sembra cosa proprio ben fatta!

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