Perchè Nord: Il Chianti Classico di San Casciano incontra il Barolo di Verduno


San Casciano Classico

San Casciano Classico

di Raffaele Mosca

Continua con il viaggio alla scoperta di una delle più importanti novità del mondo vino nell’ultimo anno: le Unità Geografiche Aggiuntive del Chianti Classico. Dopo il giro in quel di Castelnuovo Berardenga a Novembre e la Collection a Marzo, si torna nelle terre del Gallo Nero per “Perchè Nord”, rassegna alla presenza del map man Alessandro Masnaghetti.

Un evento con due protagonisti: i Chianti Classico dell’associazione San Casciano Classico e il Barolo dei tre produttori più importanti di Verduno. Un gemellaggio che getta le radici in una condizione geografica: San Casciano e Verduno sono i territori più a nord delle rispettive denominazioni. San Casciano Val di Pesa è l’ ultimo avamposto del Chianti Classico a trenta minuti dal centro di Firenze: un enclave con un passaggio dolce, verdeggiante, puntellato qua e là da poderi e ville rinascimentali che appartengono ancora alla nobiltà fiorentina. Verduno, invece, è la prima – o l’ultima – enclave barolista subito aldilà del Tanaro: un paese grazioso, con chiese e palazzi barocchi, e una balconata che si affaccia su di un anfiteatro naturale completamente ricoperto dalle vigne.

Pensi al Nord di qualunque posto nel mondo e immagini un clima più freddo. Ebbene, in questo caso è vero l’esatto contrario: entrambe le zone smarcano lo stereotipo del “territorio a Nord”, figurando tra le più calde e soleggiate delle due aree vitivinicole. “ Bisogna evitare i luoghi comuni – spiega Masnaghetti – non è detto che la collocazione a Nord renda un luogo per forza più freddo. Sono tanti i fattori che influenzano il clima”. Nel caso di San Casciano, a fare differenza è il profilo molto dolce del paesaggio e l’altitudine moderata. “ Le colline qui intorno non superano di media i 300 metri . E non ci sono particolari variazioni da un crinale all’altro”. Questa prerogativa, così come l’assenza di pendii troppo ripidi e la presenza di corsi d’acqua come il fiume Pesa – che delimita il Chianti Classico a Nord – e il torrente Terzona, rende tutta la zona molto mite e molto assolata. “ C’è anche meno bosco rispetto a Gaiole o Radda: qui, oltre alla vite, a dominare il paesaggio è l’ulivo”.

Verduno, invece, è relativamente calda per due ragioni: a) è situata nelle immediate vicinanze del fiume Tanaro, che fa da termoregolatore per tutta la zona b) ha un’ altimetria media più bassa rispetto agli altri comuni del Barolo, con molti dei crinali vitati che guardano a Sud-Ovest. Non è terra di vini mastodontici, muscolari. Tutto il contrario: la presenza di percentuali significative di sabbia nei suoli, unita alle caratteristiche sopraccitate, dà finezza e immediatezza ai vini, che, proprio grazie a questa succosità solare, abbinata a grande soavità aromatica, hanno avuto un exploit straordinario di fama negli ultimi tempi. “ Tutti si chiedono se il successo di Verduno negli ultimi tempi sia legato al cambiamento climatico. Io dico di no: è il miglioramento della capacità dei produttori di interpretare il territorio che ha fatto la differenza e ha portato a questo successo”.

Un incontro come questo è anche il momento ideale per fare il punto sulle undici Unità Geografiche Aggiuntive del Chianti Classico, che legislativamente sono molto simili alle Me.Ga (Menzioni Geografiche Aggiuntive) di Barolo e Barbaresco, ma hanno una concezione molto diversa. Non si tratta, infatti, di denominazioni che coincidono con singole vigne, ma di sottozone che corrispondono  in larga parte ai comuni della DOCG, fatta eccezione per Panzano, Lamole, Montefioralle e Vagliagli, frazioni che hanno ottenuto U.G.A. e sé stanti, e per San Donato in Poggio, che mette insieme i comuni di Barberino Tavarnelle e Poggibonsi. Più che alla Borgogna o la Langa, la classificazione guarda ai village della Champagne o di Bordeaux e tiene conto delle vaste dimensioni di molte tenute storiche della zona: “ La zona di Barolo in realtà è più piccola di Greve: pertanto, usare lo stesso criterio delle M.GA. delle Langhe significherebbe avere più di 2000 sottozone. Sarebbe ingestibile, incomunicabile ed anti-storico. Che senso avrebbe, per esempio, dividere la sola tenuta di Brolio in cinque sottozone diverse?!”. Un margine di crescita sul numero delle U.G.A. c’è a suo avviso, ma è molto limitato: “ potranno diventare 20 o 25 nel futuro, ma non di più, perché altrimenti andremmo in una direzione contraria rispetto alla tradizione del Chianti Classico”.

Nel corso della masterclass è stata presentata anche la bottiglia ufficiale di San Casciano Classico, che potrà utilizzata liberamente dai 28 produttori che fanno parte dell’associazione. L’ha realizzata Vetreria Etrusca, ed è una bordolese che riporta riferimenti all’associazione in due posizioni specifiche: sulla baga in bassorilievo si trova l’incisione della scritta “San Casciano Classico”, inizialmente coperta dalla capsula, e sulla parte bassa, sotto l’etichetta aziendale. “ E’ da oltre un anno e mezzo che stiamo lavorando a questa idea –  racconta il Presidente dell’ Associazione Antonio Nunzi Conti – non è stato semplice realizzarla sia perché ci è voluto tempo nel trovare l’idea creativa giusta sia per il periodo storico che stiamo attraversando, che ha visto i materiali come il vetro scarseggiare e aumentare di prezzo”. Per i fanatici della sostenibilità c’è un’altra buona notizia: la bottiglia non pesa più di 500 grammi.

Tre assaggi nella masterclass, più una dozzina al banco d’assaggio, dimostrano che la parola giusta per definire il Chianti Classico di San Casciano è omogeneità. C’è una matrice comune derivante dal fatto che tutte le colline della zona hanno un profilo più o meno simile. Non si tratta, nella maggioranza dei casi, di vini particolarmente fini: non troverete, salvo rare eccezioni, la delicatezza del frutto quasi in stile Pinot Noir che contraddistingue alcuni vini di Radda, Gaiole o Lamole. Qui a Casciano il Sangiovese tira fuori una polpa più scura e matura, che dà pienezza, carnosità, volume. Sono dei Chianti Classico alle volte un pelino rustici, ma immediati, gastronomici, facili da mettere in tavola dal primo giorno dopo l’immissione in commercio. Con il Barolo di Verduno hanno in comune proprio la capacità di farsi apprezzare anche da chi non ama le acidità spinte e i tannini serrati delle interpretazioni più austere delle due denominazioni.

 

Il Chianti Classico di San Casciano:

 

Il Morino 2020

Mora, ciliegia, cenni balsamici e qualche nota terrosa. Ha una dinamica semplice e diretta, con frutto di rovo fragrante al centro, tannino disinvolto, acidità ben profilata che vivacizza un sorso spigliato e coerente. Lineare e perfetto per lasagna e penne strascicate.

Carus 2019

Cupo, boschivo, con cenni di mora di rovo e pellame, chinotto e caffè. Ha un sorso largo, avvolgente, con acidità discreta e matura che calibra la massa e finale di persistenza superiore alla media. E’  scuro, terroso, non ideale per chi cerca il frutto fresco e croccante a tutti costi, ma convince per equilibrio e complessità abbinata alla giusta scorrevolezza.

Solatione 2016

Quattro anni e le tracce evolutive cominciano ad emergere: tabacco, pot-pourri, cenni di sottobosco incorniciano il frutto, che è comunque ben presente, e va a rimpolpare il sorso in equilibrio tra tannino intenso, alcol appena accentuato e giuste morbidezze. E’ largo e caloroso, non slanciatissimo; lo consiglio a chi cerca un Sangiovese con più e un’acidità più controllata.

San Michele a Torri 2019

Mora e pastiglia alla viola, cenni di cacao in polvere e una parte terrosa in crescendo. Ha un bocca ampia e voluminosa, con tannino ben fuso nella polpa fruttata, cenni balsamici e silvestri che arricchiscono la progressione di sostanza e soddisfazione, con finale bilanciato dal giusto piglio acido. Godereccio.

Nunzi Conti 2019

Viola e terriccio, felce e resina di pino, ribes nero e giuggiola. La è dinamica molto centrata, con buona polpa, ma nessun eccesso strutturale. Anzi punta proprio sull’equilibrio e sulla freschezza del frutto, con un tannino appena più incisivo della media e ritorni ematici che danno spessore al finale equilibrato. Godereccio al quadrato.

Cigliano di Sopra 2019

Forse il classico “base” più centrato trovato in degustazione: ha un profilo accattivante in cui il frutto solare di San Casciano va a braccetto con arancia sanguinella e refoli floreali, legno arso ed erbe disidratate. Ha una bocca sì ricca, sì saporita, ma con acidità vibrante che la verticalizza e ritorni balsamici a volontà, tannino che spinge senza graffiare e di nuovo l’agrume a dominare il finale tonico, rinfrescante. Non teme il confronto con i migliori di Radda e dintorni.

 

Il Barolo di Verduno:

Fratelli Alessandria – San Lorenzo di Verduno 2017

Liquirizia e anice, ribes rosso e fragolina, cenni di cipria e di spezie orientali. A un naso ipnotico corrisponde un sorso un po’ penalizzato dall’annata, con tannino che asciuga leggermente e prevale sul frutto, cenni evolutivi di sottobosco e confettura di frutti rossi nel finale più caldo del consueto.

Castello di Verduno – Massara 2017

Forse il vino che si avvicina di più al Chianti Classico – si fa per dire! – con le sue arcigne sfumature boschive e terrose, che lasciano progressivamente spazio al frutto nero fresco e a qualche refolo balsamico. Ha una bocca più composta rispetto al San Lorenzo, calibrata da acidità vivace e da tannini ben estratti, con finale relativamente austero per Verduno, giocato su di un mix di frutto scuro, immaturo e rimandi minerali. Caratterizzante.

Burlotto – Barolo Monvigliero 2018

Il vino che ha portato l’attenzione su Verduno: da Cru oramai quotatissimo, ha come prerogativa la vinificazione delle uve a grappolo intero in pieno stile Borgogna. Il profumo è da perderci la testa: lampone e acqua di rose, anice stellato e sandalo, incenso, cannella e una parte animale, terrestre di fondo che emerge più chiara con il tempo.   Il sorso segue la stessa traccia, con tannini cesellati che danno forza ai ritorni succosi, “sexy” di fragola, melagrana, pepe rosa ed erbe balsamiche; poi il sale e l’agrume che scandiscono il finale lungo e sfaccettato, fruttato in prima battuta e via via più balsamico e floreale. Ha la tempra, il vigore del Nord e la carnosità, l’immediatezza rassicurante delle zone assolate. Chapeau!