Phasis 2009 Paestum igt, riflessioni sui giovani


Sergio Pappalardo a Tenute del Fasanella

TENUTE DEL FASANELLA

Uva: fiano
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio

Spesso penso a come sia stato più comodo essere stati giovani per la nostra generazione. Sembrano anni duri, il decennio ’70. Eppure è stato dolce, si sognava, si leggeva, si stava insieme in modo libero come mai è stato possibile in Italia, e c’era una rete protettiva che andava ben oltre la famiglia: i partiti, le parrocchie, le associazioni, i gruppi. Ognuno di noi era naturalmente in una rete (reale non virtuale) e il pronome più diffuso era noi, non io.

Anche chi è morto violento è stato ricordato e lo è tutt’ora da canzoni, lapidi, poesie. Non è morto per lui, è morto per noi.

Passando i decenni mi sono reso della difficoltà di capire l’io.
Può sembrare strano, ma ancora oggi non riesco a immaginare me stesso solo, a prescindere.
Invece è proprio questa la prospettiva reale e quotidiana nella quale vive la maggioranza dei ragazzi oggi. Ecco perché, di fronte allo sciogliersi di tutto, è restata, e meno male, ancora la famiglia.

Ma soprattutto: noi abbiamo il vantaggio, sempre, di pensare che qualcosa può essere rovesciata. La nostra ampolla generazionale vive così un allegro relativismo che chi ci ha preceduto e soprattutto chi ci segue non ha. La nostra superiorità e la nostra debolezza, l’insulto più grave era ” ti sei ben adeguato”, prima e dopo di noi complimento.

Ci penso in questo mio rapporto difficile con chi ha meno anni di me, io che sono sempre stato con i più “grandi” sin da piccolo. Anzittuto perché questo passaggio dal noi all’io l’ho colto tardi, quando già si era consumato nel reale. Poi perché il noi ti fa sempre vedere il bicchiere mezzo pieno mentre l’io te lo prospetta sempre mezzo vuoto.
Noi ce la faremo! Io ce la farò?

Mi pongo il problema del passaggio del testimone, avrei voglia di viaggiare nelle atmosfere di Battiato e vivere momenti mai vissuti. Ma invece il tempo è sempre più piccolo, conosco il mio destino.

Bisogna puntare su chi ha studiato e vive con rigore. Su chi ascolta invece di parlare. Solo chi sa riesce a misurarsi la palla, è la cultura il vero differenziale. Quanti libri hai letto? Sai ascoltare chi ha visto più lune di te, viso pallido?

Il passaggio di testimone implica gioia e amarezza. E la riconoscenza non è la moneta vera, bensì se quello che pensi ora viene pronunciato dalle labbra di chi viene dopo di te.

Non so se sarò così bravo. No, non lo so.

Bevo il Phasis 2009 di una grande giovane: Sergio Pappalardo.

Non è buono per il terreno, o per l’escursione termica, o perchè è un grande vitigno. E’ buono perché è pensato da un giovane di cultura.

Compratelo e bevetelo. Niente altro.

Sede a Sant’Angelo a Fasanella (Cilento). Corso Apollo XI 44
www.tenutedelfasanella.it
Enologo: Sergio Pappalardo
Bottiglie prodotte: 12.000
Ettari: 9
Vitigni: primitivo, aglianicone, fiano

10 Commenti

  1. Bel post. Penso che sei abbastanza bravo a capire quanto di buono c’è nei giovani che ti circondano. Forse gli anni Settanta sono stati più infami di quanto non pensino i grandi. Ma solo avendoli vissuti si può capirlo. Vale per tutti. Ancora non siamo riusciti davvero a calarci nei panni degli altri. Ma il provarci ci fa comunque onore.E siccome ci inviti, ti ascolto e non dico altro.

  2. p.s.
    è nel 2000 che io sentii per la prima volta sergio parlare di vino, durante una nuotata al villaggio del sole (nuotate che intervallava a continui viaggi in treno): lì mi accorsi che aveva due, o forse tre, marce in più in fatto di cultura enologica..
    sergio quindi fu fondamentalmente la chiave di volta che Ci permise di mettere (anno 2003) su l’esperienza “terra di vino”: venne, disse tre-parole-tre, mi invitò a una bevuta insieme ad alcuni suoi amici, stappò un bianco che lui faceva in liguria (forse uno sciacchetrà, ma mi sbaglio), mi chiese di trovarne i difetti. io non ci capii un cazzo, anzi mi piacque proprio. e Ci presentò antonio di gruttola.
    adesso non vedo l’ora di assaggiare questo suo vino.

    p.p.s.
    la generazione che ci ha preceduto ha avuto la forza (anche “militarmente” parlando) di pretendere il dovuto e l’ha avuto. noi invece siamo stati educati a pane e non-violenza, non siamo organizzati e non sappiamo nemmeno da dove iniziare a fare collettivo. tra poco peraltro cederemo la staffetta ai nuovi ggiovani (alcuni provenienti dall’altro capo del mondo in cerca di migliori condizioni sociali), cresciuti a pane e impresa: appartengo a una generazione che quindi non comanderà mai nulla perché culturalmente impreparata. meglio però questo che la guerra, che combatterono i nonni.

  3. Leggo nel tuo bel post una dolce melanconia, tipica di chi come noi ha vissuto quegli anni ben descritti da te.
    In questi giorni dopo una bella riflessione, fatta nei luoghi da te tanto amati (cilento), pensavo alla bella esperienza che sto vivendo con le tante associazioni che sono riuscito ad aggregare intorno al progetto malazè e di come fossi condannato, in senso positivo, al punto di non ritorno.
    Vedere tanti giovani coinvolti in questo progetto e sentirsi quasi come un totem per loro, non ti nascondo che a volte mi ha fatto sentire in imbarazzo, per la tanta considerazione.
    Forse per chi come noi vive una bulimica passionalità nelle cose che fa non si rende conto, imizialmente, della portata di esse, ma vi è un momento della consapevolezza che deve per forza di cose venire.
    Io questa consapevolezza l’ho raggiunta quest’anno quando mi sono reso conto che quel seme piantato nel deserto, soprattutto culturale, del nostro territorio, stava incominciando a far sbocciare una bella pianta ricca di speranza, li ho capito che questa sarà la strada che vorrò percorrere per tanti tanti anni ancora.
    Non conosco e non ho mai bevuto i vini di Tenute del Fasanella, che spero di poter assaggiare il 27, ma per il semplice fatto che ci abbia stimolato a questa bella chicchierata me li fanno amare a prescindere.
    Ciao lu e ad majora semper

  4. Sono del ’57, ed avendo fatto “la primina” mi sono trovato nel pieno del post-sessantotto a frequentare il liceo P.S. Mancini di Avellino, fucina dei “migliori” brigatisti del tempo.E’ stata una bella palestra : tra professori di sinistra, ma mica quelli da ridere di oggi, gente preparatissima e seria, e” figli di papà” annoiati che predicavano il verbo dell’egualitarismo mentre i loro genitori erano gli esattori più forti di Avellino (alla Nino Salvo, per intenderci). Tra collettivi, assemblee ed occupazioni generalmente se ne andava via un terzo dell’anno scolastico, ma tutto questo non bastava ad impedirci di assimilare una visione della vita (definita dal prof. di filosofia Weltanschau)improntata al rispetto degli altri e delle loro ragioni, e quindi ad affrontare la vita socialmente e non individualmente. Certo, come scrivi tu, oggi è un’altra storia. Questi ragazzi sono molto più soli di noi, la famiglia prima, e la scuola poi, non hanno più tempo per loro. Nessuno si ferma ad aspettare la pecorella rimasta indietro, non si hanno nè le capacità, nè la volontà. E pensare che essi costituiranno la società di domani!!!!

    1. Ottimo, Lello : hai colto una scheggia del ragionamento di Luciano -«Questi ragazzi sono molto più soli di noi»- che a mio parere è molto importante. Nessun social forum o messenger potrà mai valere quelle comunità intermedie che hanno formato e, sopratutto, dato una prospettiva ed un sogno alle generazioni precedenti.

      Attenzione, non che ci siano associazioni, movimenti, fervori e attività -come dimostra l’esperienza di Rosario Mattera- ma sono una parte purtroppo piccola mentre il dato generale, davvero triste, è quello che indica Carmelo Corona: una generazione che non legge, non riflette, non approfondisce, parla senza dire ma sopratutto non ascolta… «Solo chi sa riesce a misurarsi la palla»: icastico e senza pudori, Luciano ha colto nel segno!!

  5. Luciano, sento di doverti ringraziare, almeno a nome della mia generazione. Il tuo monito è pura bellezza, e va sia al cuore che alla testa. Mentre ancora assaporavo sulla lingua la dolcezza di ciò che hai espresso, riflettevo, allo stesso tempo, sul tuo post in bacheca FB. E’ vero che i giovani di oggi sono, per la maggior parte, “cerchiobottisti”, ma non è vero che non sognano. Semmai il problema vero è “cosa sognano”. Sono i loro sogni che sono sbagliati, perché pilotati da un’epoca schifosamente materialista in cui il tuo valore, come persona, è pari al valore del tuo patrimonio materiale personale (o della tua famiglia). Nella società in cui stiamo vivendo, tu vali solo se compri molto e se consumi molto. Mentre ciò che hai dentro è ritenuto inutile ed insignificante. E il prezzo del cosiddetto “progresso”. In una società che non legge, anche se tu hai letto 20.000 libri, non vali nulla. Il valore della stima di cui la società è capace nei tuoi confronti dipende dal valore dell’auto da cui sei appena sceso. Io non voglio assumere la difesa delle nuove generazioni, ma bisogna ammettere che n un siffatto contesto, non è difficile cadere in uno stato di frustrazione, quando la società in cui vivi (e in cui, come dici bene, vale l’IO e non il NOI) ti misura secondo parametri puramente materialistici. E’ anche per questo che, per esempio, i giovani ricercatori italiani che valgono fuggono all’estero (dove vengono apprezzati), mentre qui fanno carriera (salvo eccezioni) coloro che sono figli o parenti dei “baroni della cultura”. Anche in questo caso, il “meccanismo” è lo stesso: la meritocrazia viene mandata a puttane e vale la raccomandazione del “santo in terra” (anche questa, un “parametro” di tipo materiale. Ti ringrazio ancora per il grandioso spunto di riflessione che hai innescato.

  6. Vanità delle vanità, dice Qoélet, vanità delle vanità, tutto è vanità Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male. Infatti, quale profitto viene dall’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi. Neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questa è vanità. Mia nonna mi diceva che la vita è un’affacciata di finestra. Tutto passa in fretta e non ce ne accorgiamo. Di noi resta quasi sempre una piccolissima traccia impercettibile, che dopo poco tempo svanisce e si dimentica. Lasciamo, invece, un buon ricordo di noi alle nuove generazioni: Siamo sempre umili e rispettosi degli altri, anche quando questi ci offendono e ci mortificano. Buttiamo pane a chi ci butta pietra, diceva sempre mia nonna. Siamo generosi e disponibili, non ci arrabbiamo, siamo modesti, non ostentiamo, usiamo sempre un linguaggio non scurrile e prevaricante., perché tutto è relativo ed effimero. “Io” sono come il “noi” e gli “altri” : uguali, fragili, deboli, imperfetti. Nessuno è il “migliore”. Vanità delle vanità, tutto è vanità… Absit iniuria verbis! Abbracci.

    1. Sottoscrivo in pieno quanto scrivi, Enrico. Avevano ragione sia tua nonna che l’Ecclesiaste. Perché è vero: tutto è “vanitas”. Alessandro Manzoni asseriva: “Gola e vanità: due passioni che crescono con gli anni”. E nel film L’Avvocato del Diavolo, Al Pacino, nelle vesti di Satana, nel monologo finale ammette senza battere ciglio: “La vanità è decisamente il mio peccato preferito. La vanità è l’oppiaceo più naturale… L’umiltà è sicuramente la base fondamentale del progresso culturale (l’unico “progresso” che veramente dovrebbe starci a cuore) di ciascun essere umano di questo pianeta, ma anche la “vanitas”, volente o nolente, è uno dei motori del progresso. Stiamo attenti, prima di condannare, inesorabilmente, la “vanitas”…

  7. ogni generazione fa il proprio bagno nella propria cultura:
    i mie nonni hanno fatto la guerra e se la sono vista brutta, hanno severamente educato i propri figli, hanno gettato basi solide;
    i miei genitori sono la generazione più fortunata da parecchi secoli a questa parte, senza dolori né guerre, educati alle ideologie forti, hanno fatto, e subìto insieme, il ’68 e gli anni di piombo, ma anche il boom economico, hanno messo su un sistema “a compari e comparielli” molto medievale, non concedendo nulla a nessuno fuori dal giro, venendo meno a ideali di giustizia e onestà;
    io, noi ggiovani trenta/quarantenni di oggi, abbiamo ricevuto un’educazione molto liberal, figli perlopiù di ex sessantottini di cui sopra, siamo pacifisti e rirpettiamo tutto e tutti e troppo, incapaci di gridare, incapaci di fare un collettivo, incapaci di sognare, fermi, bloccati sul rispetto della legge (altro che), sfigatissimi viviamo la nostra guerra chiamata precariato senza esserci MAI resi conto che bastava forse una mezza molotov tirata bene per avere ciò che meritiamo (il precariato annienta la dignità);
    infine i miei alunni (che saranno poi i ggiovani di domani), bene, vedo in essi una generazione un tantinello più forte, educata a pane e impresa, molto selvaggia, poco istruita, abbastanza esigente, spesso anche disperata, a cui noi ggiovani di oggi ci vedremo a breve costretti a passare la palla.
    palla che la generazione che ci ha preceduto, forse non ci ha ancora passato…

  8. ti restituisco con piacere il complimento che mi hai fatto sul post di cartier bresson. questo e’ il pezzo piu’ interessante , commenti compresi, prodotto dalla rete ieri.

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