Sandro Sangiorgi e il bisogno del nemico


Sia sicuramente santificato Sandro Sangiorgi, uno dei padri della critica enologica italiana, grande affabulatore, bravissimo scrittore, denso e mai barocco.
Bene, ma allora cosa c’è che non mi va? Questa miniatura di Porthos rilanciata da Morichetti, devo dire sempre figo nell’intercettare temi e spunti non banali, sempre lontano e opposto alla grevità rustica.

Scrive Sangiorgi: Ormai non è più solo una moda, è un grosso equivoco, alimentato dall’ignoranza e dalla superficialità.
Mi riferisco al collegamento automatico che sempre più persone fanno tra l’assenza di solforosa aggiunta e l’essenza della naturalità.
Come se bastasse imbottigliare il vino senza SO2 per sdoganarsi dalla convenzione chimica e ipertecnologica e approdare nell’universo “bio” con proposte falsamente rivoluzionarie. Somiglia a quello che si pensava fino a poco tempo fa, quando per sentirsi naturali bastava vinificare uve bianche con le bucce. L’opportunismo con il quale alcuni enologi di grido hanno cambiato idea è degno dei più scaltri mercanti finanziari. A loro, in fondo, basta suggerire un protocollo produttivo e si sentono a posto. Ma tutto questo era già previsto: la convenzione industriale, applicata ampiamente ormai anche a poche migliaia di bottiglie e ad aziende “artigianali”, sta facendo il suo corso e presto i produttori di vino buono verranno facilmente confusi nel marasma di una legge assurda, quella europea sul “biologico”, incompleta e incapace di generare vera selezione.

Cosa c’è che non va in questo ragionamento? Questo:  il bisogno della esistenza del nemico anche quando non c’è, la riproposizione nel mondo del vino del dualismo amico-nemico attraverso il quale ridisegno la mia identità non a partire dal mio rapporto con il reale, ma con tutto quello che fa la persona che ho sulle palle, il nemico, appunto.
Il nemico è colui che vuole la tua roba, ti impedisce di fare quello che vuoi. Niente di tutto questo avviene nel mondo del vino, burocrazia a parte.

Trincea prima guerra mondiale

Si possono avere gusti e tendenze diverse, ma io credo che nemici del vino non sono gli enologi di grido (il successo in Italia è sempre un peccato e non un esempio), benì i truffattori, quelli che fanno leggi assurde contro l’alcol, magari i ristoratori che ricaricano il 400 per cento manco fossero diamanti.

Così: finché il discorso sulla SO2 era una discriminante che segnava il confine tra buoni e cattivi, avvelenatori e dispensatori di bontà benché alcoliche andava bene. Adesso che su questo tema la ricerca scientifica e gli investimenti stanno ottenendo risultati interessanti allora diventa una moda, una furbata, un salto della quaglia. Come il demenziale intervento di un rappresentante di Porthos alla prima presentazione Slow Wine che invece di cogliere la positività del distacco dal Gambero era preoccupato di mettere paletti su paletti ideologici che non servono a niente quando parliamo di vino.

E’ questo modo di ragionare sulle identità degli attori in campo e non sul risultato del lavoro che trovo davvero insopportabile, mi stanca e mi allontana e credo che la stragrande maggioranza degli appassionati sia di questa opinione.

Sarebbe infatti inanzitutto molto più interessante capire cosa si intende per vini naturali, ma soprattutto spiegare perché questa realtà debba avere la presunzione di rappresentare il bene, l’assoluto, nei confronti di altri stili e altre pratiche enologiche che sarebbero il male.

Riccardo Cotarella

E soprattutto, se enologi di grido, Riccardo Cotarella tanto per fare nomi, arrivano su quelle che sono le tue posizioni c’è solo da gioire per la capacità di aver esercitato egemonia culturale prima e commerciale poi. E non urlare al sospetto. Così se Ricci premia Picariello è perché “lo deve usare come foglia di fico” e se Cernilli trova buono un Piedirosso è perché “si deve accodare alla moda”.

Ecco, questo Pantheon dei cattivi costruito da chi vive in un clima ossidato e stanco, tannico e asfittico come lo sono tutti gli estremismi, non si può più reggere.

Carl Schmitt ha evidenziato la dialettica amico-nemico nei rapporti politici contemporanei

Ognuno ha i suoi gusti, le sue preferenze, ma riprodurre nel mondo vitivinicolo la mentalità che portava un groppuscolo dell’estrema sinistra  di dieci persone a fare cinque fazioni proprio non va. Questa mancata ambizione di esercitare egemonia e governo del tutto è il punto debole di un talento come quello di Sangiorgi. Un Fra Dolcino dell’enologia a cui auguriamo un esorcismo di Papa Francesco per liberarsi dall’ossessione del nemico, del male.

A proposito, volete il prossimo nome candidato nel Pantheon dei cattivi? Qualcosa mi dice di scommettere su Arianna Occhipinti. Ha successo, è andata in tv, per giunta è pure donna, giovane, terrona. La janara ideale da bruciare per salvare la purezza:-)

 

16 Commenti

  1. Si preferisce costruire distanza. E smarcarsi costantemente pare risultare mossa sempre azzeccata. Sangiorgi va ascoltato a vita, letto appassionatamente ma in questi ultirmi tre/quattro anni si continua a ricamare su quanto di buono lui ha scritto una visione distorta e compulsiva del fenomeno dei vini ‘naturali’.
    La gente a tavola si avvicina con curiosità, anche voglia di lasciarsi stupire, aprire un mondo; ma quando gli apri tre/quattro vini di tre/quattro posti diversi fatti con tre/quattro varietali diversi e sono tutti ‘uguali’ (anfora, macerazione sulle bucce, note ossidative) non colgono il perché di tutto questo accanimento sulla ‘distanza’ dall’omologazione.

    Condivido il pensiero sui solfiti ma preparatevi, nei prossimi anni ne berremo delle belle…

  2. La politica ci insegna (M5S) che in questo clima da caccia alle streghe si ha molta più visibilità a essere contro qualcosa che propositivi.
    Si può anche concepire questo atteggiamento da parte di qualche personaggio mediocre che riesce a far notare la sua esistenza solo attraverso “scandali” veri o presunti, ma da Sangiorgi, che ritengo uno dei migliori sulla piazza, mi aspetterei qualcosa di più! Comunque, sono d’accordo con Maurizio sul fatto che “ne berremo delle belle”, fino al punto in cui la piacevolezza avrà il sopravvento sull’ideologia (spero prima possibile, non se ne può più di questi ricchi enofighetti naturali!!!)

  3. Può darsi che le cose stiano così ma in quello che dice Sangiorgi sui “vini naturali” c’è del vero. Per quanto concerne la Triade Cotarella, Cernilli, Ricci, poi, come dargli torto?

  4. A onor del vero la trilogia di Sangiorgi sui vini cosiddetti naturali dovrebbe concludersi in autunno per cui con un po’ di pazienza si avrà il quadro completo del suo pensiero a tal proposito.Sulla solforosa ed altre tecniche di cantina ribadisco ancora una volta la mia convinzione è cioè che alla fine il danno maggiore lo fà sempre l’alcol.Sulla piacevolezza del vino faccio mia la rozza espressione di un simpaticissimo personaggio che frequenta assiduamente le degustazioni di vino a Roma e che ,quando gli piace un vino dice semplicemente :è bono e……..sarà un caso ma ci azzecca.FM.

  5. Il mourinhiano “rumore dei nemici” è ormai parte della dialettica in ogni ambito: tutto è stato trasformato in arena televisiva, dove non importa ciò che si dice ma come, cioè non dicendo assolutamente nulla, se possibile intercalando con “io non l’ho interrotta, mi lasci terminare”. D’altra parte Mourinho è uno che fa scuola nella comunicazione del nuovo millennio. Quindi sembra non se ne possa fare a meno, di smarcarsi, di fare dietrologia, che poi alla fine è un po’ il difetto italiano dell’apparire sempre più furbo degli altri. Come quando si fanno i decaloghi dei termini da usare o meno in questo mondo di enostrippati, dei posti, dei vini: sempre lì caschiamo, in un “fare tendenza” ormai vecchio e ammuffito. Tuttavia, fatta la tara sul passaggio degli enologi del quale mi frega molto poco, Sangiorgi dice cose giuste, che riassumerei nella condanna dell’etichetta posticcia: la solforosa, il banchetto alla rassegna vinicola, la camiciona a quadrettoni, il baffone, la puzzetta, il vino naturale, il vino biodinamico. Alzi la mano chi almeno una volta non c’è cascato.Tutto inutile, persino inesistente (il vino biodinamico non esiste, semmai esiste l’agricoltura biodinamica): proprio Arianna Occhipinti ha scritto se per caso il vino lo dovremo trovare in farmacia tra qualche tempo. Non ce ne può fregare di meno delle etichette appiccicate, non ce ne può fregar di meno della dialettica da Porta a Porta: il vino basta e avanza, basta farlo passare, vivere tra la gente, basta andare a vedere un vigneto o una cantina in culo al mondo e capire che tutto questo ambaradan non esiste, è lontano, annientato da chi il vino lo fa, da solo, smazzandosi, perso nelle sue idee, nelle sue passioni, nei suoi mugugni, ma che sul vino, sul proprio vino, mette la sua faccia e il suo cuore. Lo si dovrebbe solo raccontare. Niente altro. Il vino è solo un gesto, tutto il resto è teatrino.

  6. Io invece credo che oltre alle diversità tra gli attori (che ci interessano, eccome se ci interessano! Slow Food gli dedica anche un terzo di ciascuna scheda, annualmente) ci siano anche diversità di lavoro, vere e non presunte. E poi, di logica, non è sostituendo “enologo di grido” con “ristoratore ladro” che cambi la natura del ragionamento.

    Quando Sangiorgi avrebbe messo SOLO nella solforosa il discrimine tra modi diversi di intendere il vino? MAI.
    E siete proprio sicuri che Cotarella sia arrivato alle posizioni di Sangiorgi, che dovrebbe esultarne? Io no, per niente, ma nemmeno lontanamente anzi. Di certo, da enologo di livello mondiale, respira l’aria di questo tempo in cui certe tematiche (e la solforosa è una tra altre CENTO, spesso più importanti) sono attuali e prioritarie. Ricordo ad esempio una sua foto a cavallo in mezzo alle vigne…

    Visto chi esercita egemonia in giro, verrebbe per contrasto da dare ragione a Sangiorgi, comunque. Il quale, a differenza di qualsiasi altro autore al mondo, ha scritto un testo che, nell’indifferenza dei colleghi – tra chi non lo ha letto, chi non lo ha capito e chi, molto più semplicemente, si è reso conto di non aver neanche un centesimo dello spessore per scrivere anche solo le note a pié di pagina – ha messo su carta una roba che canta, eccome se canta: L’invenzione della gioia.

    E dissento anche dal definire “demenziale” l’intervento di Onepablo alla presentazione di Slow Wine. Io c’ero, e pur finalmente apprezzando la presa di coscienza Slow trovai abbastanza fastidioso, come lui, il presentarsi della squadra come nuove vergini dopo una storia comune in cui, a posteriori, di santi e beati non mi risultano notizie. E’ stata una fase centrale e fondamentale, ma forse in quei termini è ormai passata. Perché prima 3 bicchieri vuotavano bancali, mentre oggi servono eventi, promozione ecc ecc ecc ecc.
    Detto questo, se ogni tanto si organizzasse un bus per dare qualche bonaria pedata nel sedere a Sandro Sangiorgi, io ci sarei. Perché nessuno è perfetto, ma le differenze in campo – di testa, prospettiva e trasparenza – ci sono, eccome se ci sono.

    Quanto alla simpatica provocazione finale, ho sorriso molto: molto più facile che cerchi di invitare Arianna Occhipinti a cena per poi insultarla, è pazzerello ma mica scemo, e ha pur sempre un debole per le tette ;-).

  7. Le differenze ci sono, certo, e meno male. A me interessa professionalmente raccontarle tutte, poi a tavola bevo quello che mi piace e mi piace variare, non bere con il paraocchi.
    A me danno fastidio sia quelli che dicono che i produttori naturali fanno vini che puzzano che quelli che chiamano avvelenatori il convenzionale. Fanno entrambi male a chi si impegna nel mondo del vino.
    Questo il senso di questo post
    Quanto all’intervento del rappresentante di Porthos il punto è: ha fatto o no bene Slow Food a separarsi dal Gambero? Tutto qui. Poi a spaccare il capello e a fare dietrologia c’è sempre tempo.
    Infine l’egemonia: non sono così sicuro, visti i dati dell’export, che quelli delle marmellate degli anni ’90 siano una minoranza:-)

  8. Ammetto di non riuscire a capire bene la questione. Sarà che il rumore del trattore rimbecillisce. Io penso che “naturale”, bio-, logico, dinamico, ecc. sia un percorso che ognuno, famoso enologo o povero coltivatore diretto, fa nel contesto della propria esperienza di vita. Per me l’obiettivo della protezione dell’ambiente è prioritario riguardo alle motivazioni per cui si cerca di arrivarci. Per cui, calandomi nel consumatore, me ne fregherei di tanti discorsi ma cercherei di crescere nella ricerca della mia esperienza degustativa e consumativa, valutando ciò che con semplicità mi soddisfa organoletticamente e politicamente.

  9. “Ha successo, è andata in tv, per giunta è pure donna, giovane, terrona. La janara ideale da bruciare per salvare la purezza:-)”.

    Ma perché si esprime così, caro Pignataro? Mi fa passare la voglia di leggere.

    E se posso permettermi, la sua janara ideale da bruciare invece qual è?
    Giusto per capire la purezza del suo stile.

    1. Mi dispiace non si sia capita l’ironia. Sicuramente colpa mia, anche se Morichetti l’ha colta
      Sarò banale: non ho janare da bruciare

  10. Me la immaginavo “uomo, di antica esperienza, settentrionale, anzi nato nelle Svizzera italiana”..sempre con ironia,
    salute!

  11. …Sangiorgi e il bisogno del nemico?
    Mi permetta ma leggendo il suo articolo viene spontaneo parafrasare…
    O Pignataro e il bisogno di Sangiorgi?

  12. Io la farei più semplice.
    I vini “naturali” non nascono oggi.
    Ergo Cotarella che ci si butta dentro all’improvviso quantomeno fa pensare, quantomeno.

  13. Gentile Pignataro, vedo che facciamo progressi…
    tre anni fa sovrapponeva la firma di Sandro alla mia (https://www.lucianopignataro.it/a/effetto-guida-vini-slow-food-cernilli-e-sangiorgi-si-ritrovano/10512/), ora ricorda confusamente il fatto che siamo due persone diverse: lui alla ricerca del nuovo nemico, io il “rappresentante” che fa interventi “demenziali”. Di questo passo tra 5-6 anni potremmo addirittura cenare insieme! Per ora mi accontento del piacere intimo che il leggerla mi provoca.

    Mi presento, ancora: mi chiamo gianpaolo (juanpablo) di gangi, aka onepablo dal fronte (per ora dismesso) e, dopo 8 anni di “fare Porthos”, nell’ultimo anno mi sono dedicato con altri tre amici/colleghi al progetto “Servabo, laico di parte” che ha dato alle stampe, un mese fa, il suo primo lavoro «Il vino “naturale”. I numeri, gli intenti e altri racconti” (http://servabo.it/il_vino_naturale/il_vino_naturale.html). Glielo segnalo, perché, se dovesse avere occasione di sfogliarlo, troverà alcuni dati utili a rispondere al condivisibile interrogativo che pone quando scrive: “Sarebbe infatti inanzitutto molto più interessante capire cosa si intende per vini naturali, ma soprattutto spiegare perché questa realtà debba avere la presunzione di rappresentare il bene, l’assoluto, nei confronti di altri stili e altre pratiche enologiche che sarebbero il male”. E vedi mai che poi, per approfondire, potremmo finire a cenare insieme molto prima del previsto!

    La saluto cordialmente.

    PS: ammesso che possa interessare ancora a qualcuno, sarei felice anche di ritornare sulla questione relativa al mio intervento alla presentazione della guida di Slow Wine, ma avrei bisogno che argomentasse un po’ più nello specifico i suoi rilievi. Il mio pensiero è qui (il link riportato nel suo articolo del 2010 non è più funzionante): http://www.porthos.it/index.php/la-rivista/porthos-35/578-editoriale-confusi-o-ipocriti

    1. sicuramente la citazione di luigi pintor è una valida pre-condizione per andare a cena insieme e conoscerci :-)

I commenti sono chiusi.