Se il vino costa troppo la colpa è dei ristoratori?
Vendemmia, l’Italia produce di più ma beve di meno
Una vendemmia di oltre 47 milioni di ettolitri che mantiene il primato mondiale della produzione di uva con un incremento dell’otto per cento rispetto alla disastrosa 2024 e comunque la più alta di questo decennio. Questi sono i numeri ufficiali resi noti da Ismea e Assoenologi presieduta da Riccardo Cotarella dentro i quali possiamo toglierci qualche curiosità: dopo il Veneto con 11 milioni di ettolitri ci sono la Puglia con nove milioni, l’Emilia Romagna con sette e, distanziate, nell’ordine la Sicilia con più di tre milioni e, a seguire, Piemonte, Abruzzo e Toscana. In questo quadro la Campania con meno di 700mila quintali resta una goccia nel mare del vino italiano pur registrando un più 13%, superiore alla media italiana.
Questi dati sono accompagnati da una valutazione positiva quasi ovunque sulla qualità, alcuni parlano di vendemmia paragonabili ad alcune memorabili degli anni ‘90, prima che arrivassero i problemi dovuti al global warming che mentre favorisce le zone tradizionalmente più fredde perché consente una maturazione più facile, al tempo stesso pone seri problemi di carenza idrica in altre.
Ma questi temi sono ghiotti per gli statistici, non spiegano la realtà molto difficile attraversata al momento del mondo del vino come ha rilevato Piero Mastroberardino, presidente del Tavolo di Filiera Italiano, proprio in una intervista che ci ha rilasciato sul nostro giornale. Il problema infatti è che molte regioni, soprattutto quelle legate alla produzione di rosso, sono alle prese con le eccedenze, un fronte commerciale aperto proprio dallo scarso consumo esterno più che dall’export che continua a segnare numeri positivi.
In sintesi, il paese che produce più vino ne sta bevendo sempre di meno. Le cause sono molteplici, alcune strutturali, come il cambio radicale delle abitudini alimentari, altre più ristretti a gruppi di consumatori attenti all’aspetto salutistico. Ma il tema vero, a nostro giudizio, riguarda due aspetti: il primo è che il vino non è più «figo» per le giovani generazioni che preferiscono i cocktail. Il secondo è che la comunicazione del mondo del vino è ferma a quella del mondo pre internet. In una parola, il prodotto agroalimentare che più di tutti ha aperto la strada ad una narrazione commerciale sul mercato, è rimasto attestato a vecchie pratiche che all’epoca dei social media appaiono lente, noiose, elitarie, non facilmente approcciabili.
Ma c’è anche un terzo aspetto che è ancora sottotraccia ma che probabilmente è destinato a diventare il più importante: la crescita spropositata dei prezzi al consumo nei ristoranti. Ormai anche bottiglie che partono da 5 euro le trovi con prezzi triplicati se non quadruplicati e questo frena i consumi in maniera decisiva in un momento in cui la capacità di spesa degli italiani è in diminuzione. Fatte le dovute eccezioni, gran parte dei ristoratori non padroneggia il mondo del vino e spara dei ricarichi a prescindere per non alzare il costo del piatto e compensare così le maggiori spese con il bicchiere. Se alcuni vini giustificano il prezzo alto, sicuramente almeno l’80 per cento dell’offerta italiana potrebbe essere proposta a meno di 20 euro al ristorante. A voi la soluzione.

Troppi produttori, troppe bottiglie, troppe leggi che rompono se bevi, troppo caro il vino, troppi che non bevono….
Troppe autorizzazioni a nuovi impianti anche in aree non vocate e troppe estensioni anche in vaste zone dove storicamente la viticoltura non esisteva . Troppi ” troppo” 🤣purtroppo👌dobbiamo ridurli facendo ognuno la sua parte 🤩
Se triplicare il costo di una bottiglia può avere un motivo in un ristorante che ha una carta dei vini con dietro stoccaggio in cantina e sommelier in sala, sembra assurdo che lo faccia chi non sa nemmeno aprire e servire correttamente una bottiglia di vino. Molti ristoratori del vino capiscono solo che devono triplicarne il prezzo.
Hai perfettamente ragione. ti racconto questa: agosto , vado in in pub dalle mie parti che ha dell’ottima carne. Chiedo se avessero, oltre alla vasta scelta di birre, del vino e mi rispondono : certo abbiamo un donnafugata . Rispondo che va bene, pensando tra me e me ” e chekz capisco che è agosto ma può mai essere che non hai un vino rosso di queste parti? e stai a 1 km dalle cantine montesomma vesuvio.., vabbè ” il vino arriva, niente di che davvero, forse anche conservato male, alla fine chiedo il conto e scopro che quel donnafugata, proprio lui… costava 65 euro, pago e non batto ciglio. però poichè in quel locale mangio bene e ci sto bene, mi sono ripromesso di fargli un discorso : 1 se prendo un vino da 65 euro lo devo sapere prima . 2 non è possibile che non hai una battuta inferiore di prezzo ma comunque soddisfacente di qualità ed autoctona . 3 non è il caso di offrire in campania un vino siciliano caricando oltre il 300% sul prezzo, non può essere un semplice esercizio matematico, una cena di 125 euro con il vino che impatta per oltre il 50%… poi si lamentano se la gente non va nei ristoranti. 4 ho sbagliato io che dovevo chiedere il prezzo e pensando ad un qualcosa di medio non l’ho fatto. 5 la carta dei vini, fatela e mostratela ai clienti .
A parte i ristoratori che anche in passato hanno triplicato il prezzo del vino, anche i produttori all’origine hanno raddoppiato i prezzi se nn triplicati, ma di cosa vogliamo parlare…la gente ormai e’ stufa di spendere capitali per bere, semplicemente nn beve piu’ vino o si accontenta di ciofeche della casa(ristor/trattorie) o ciofeche (3/5 euro) della grande distribuzione, e kest’e’…
Il rincaro dei vini per non aumentare i piatti rischia di essere un cane che si morde la coda: così si allontana il cliente dalla scelta consapevole e di qualità, spingendolo verso la regola del “secondo prezzo più basso” in carta. Forse servirebbe più coraggio nel non voler guadagnare a tutti i costi sulla bottiglia, per favorire invece un sorso piacevole e ragionato.
Inoltre, bisognerebbe normalizzare l’idea che la bottiglia aperta è del cliente: portarla via a fine cena senza imbarazzo significherebbe invogliare all’acquisto, prolungare l’esperienza anche a casa – magari con una pietanza fatta in casa che richiama la cena del giorno prima – e spingere a tornare nuovamente.
Oggi nei ristoranti e nelle pizzerie difficilmente si trovano bottiglie al di sotto dei 20 euro, nella maggior parte dei locali si parte dai 25 in su anche per bottiglie che si trovano a 5/6 euro.
Ciò comporta il fatto che molte persone non prendono più la bottiglia e spesso rinunciano al bere del vino ma si buttano sulla birra (ma anche qui vale lo stesso discorso) o in alternativa a vini “della casa” o peggio ancora “alla spina” di dubbia provenienza.
Sappiamo che i costi aumentano per tutti ma allora perché non proporre vini di piccoli produttori a prezzi alla portata di tutti? Perché non proporre buoni vini delle cantine sociali a prezzi corretti?
per chi vorrà la bottiglia di grido gliela si proporrà.
Invece oramai è tutto al rialzo: importante è il prezzo alto poi magari il vino viene servito ad una temperatura non corretta, stappato alla bene e meglio, non viene fatto assaggiare, non viene annusato il tappo di sughero e magari fa pure schifo…..
Carpe Diem
Mi aggiungo anche io in coda fresco fresco di esperienza. Giusta premessa: non sono sommelier, non sono grande esperto, non sono un bevitore quotidiano. Ieri domenica 05/10 presa una bottiglia I FAVATI Corridore 2022, un 100% aglianico irpino in un ristorante della prov. Avellino a 18 euro (credo prezzo onesto e figura altrettanto degna a tavola). Vedo lo stesso vino stessa annata, in carta dei vini 2025 di un ristorante (ex stellato) della prov. di Salerno che in linea d’aria dista 10 Km dal primo ristorante a….35 euro