Vallepicciola: il Chianti Classico tra Sangiovese, Pinot Nero e Supertuscan


Vallepicciola

Vallepicciola

di Raffaele Mosca

Il Sangiovese come punto di riferimento, il Pinot Nero come passione e un taglio bordolese per non farsi mancar nulla. È la terna vincente di Vallepicciola, azienda tra le più ambiziose del Chianti Classico: una tenuta di proprietà di una grande famiglia di imprenditori italiani, i Bolfo delle acciaierie Duferco, che negli ultimi anni ha investito ingenti capitali per metter su una struttura che ha pochi eguali nell’areale e in tutta la Toscana, con un resort a cinque stelle e una cantina avveniristica, progettata nel segno dell’eco-sostenibilità e dell’integrazione nel paesaggio dall’architetto Margherita Gozzi.

Vallepicciola

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La tenuta si estende su circa 265 ettari – di cui ben 105 vitati – in uno degli angoli più bel di Chianti Classico: a due passi da Siena, nel comprensorio luminosissimo, scandito da dolci colli ad anfiteatro, di Castelnuovo Berardenga. La produzione, da circa un anno a questa parte, è supervisionata da uno dei più grandi winemakers chiantigiani: Alessandro Cellai, che ha preso il testimone dal super-consulente – e presidente di Assoenologi – Riccardo Cotarella. Già direttore di Castellare di Castellina – e delle succursali Feudi del Pisciotto e Rocca di Frassinello – Alessandro è entrato in Vallepicciola con un obiettivo ben preciso nella testa: fare un grande Pinot Nero nel bel mezzo del Chianti Classico. Un‘impresa che portava avanti da anni nella sua tenuta di proprietà, Podere Monastero, in quel di Castellina in Chianti, e che ha voluto riproporre una quindicina di chilometri più a sud, sulla collina di Pievasciata. “ Quella di Pievasciata è una zona che esula dal resto del territorio di Castelnuovo Berardenga – ci spiega – ha un’ altitudine di circa 465 metri, un clima fresco e un terreno prevalentemente calcareo, molto diverso dalle argille su cui si pianta generalmente il Sangiovese”. Tutte condizioni che creano un habitat in cui il Pinot Noir – uva lunatica per antonomasia, difficilissima da gestire alle nostre latitudini – riesce ad acclimatarsi piuttosto bene, dando vita a vini non classici, non troppo affini al modello borgognone, ma capaci di leggere il territorio chiantigiano in maniera insolita. Quattro le versioni proposte: la prima è un Metodo Classico affinato per 40 mesi sui lieviti che convince per cremosità ed equilibrio, senza picchi di complessità, ma con una piacevolezza d’insieme non indifferente.  Il secondo è un rosato anti-modaiolo, che, nella prima versione dal passaggio di testimone, si presenta con una veste rosa scuro, da rosso mancato, frutto di una macerazione a freddo di quattro ore, ed offre aromi golosi, immediati, di fragola candonga e peonia, lampone e arancia sanguinella. Ha una bocca morbida, ma non cedevole, che lo rende un buon compagno per il caciucco alla livornese.

Poi c’è il Pievasciata 2021: da vigne giovani, fa solo 6 mesi in botte e gioca sul frutto scuro – visciola, giuggiola – oltre che su rintocchi speziati che danno ritmo e carattere a un sorso agile, disinvolto, centrato nella sua semplicità. Decisamente più impegnativo il Boscobruno 2020: fermentazione con una quota del 10% di grappoli interi, macerazione più lunga, affinamento in barriques usate per l’80%. Rimane un po’ serioso sulle prime, ma ha questa matrice boschiva, silvana che ci riconduce al Chianti Classico ancor prima che al Pinot Nero; poi tira fuori aromi più varietali d’incenso, fiori rossi, nespola e cumino, che riecheggiano sul fondo di un sorso dotato di equilibrio e souplesse, con tannino vivace ma ben fuso nel corpo, l’acidità che fa la sua parte e il frutto nitido, maturo ma non sovramaturo, che prende la scena nel finale di ottima durata.

Ovviamente Vallepicciola non è solo Pinot Nero, ma anche e soprattutto Sangiovese – che ricopre 1/3 della superficie – e vitigni bordolesi. Sul fronte del Gallo Nero, le etichette in degustazione sono due: un Classico base d’annata 2018 che evidenzia una chiave di lettura modernista, con l’ affinamento in barriques che irrobustisce il sorso, esaltando il bagaglio di mora, gelso, humus ed erbe aromatiche e completando il tutto con un cenno  di spezie dolci da rovere; e poi la Riserva 2018: anche questa giocata su sensazioni potenti di cedro e di melagrana, rosa appassita e cannella, rabarbaro e legni balsamici. È robusta, imponente anche nel bagaglio tannico, ma precisa e coerente dall’ingresso al finale.

Chiude il terzetto dei vini di punta di Vallepicciola la new entry aziendale: Migliorè 2018, taglio bordolese da vigne tra i 370 e i 420 mesi sul mare, tenuto in cantina per tre anni tra barrique e bottiglia prima del rilascio sul mercato.  Anche qui, la parte boschiva è in prima linea, seguita da aromi di legno di cedro e cioccolato fondente, composta di mirtilli ed eucalipto che fanno molto Pauillac di annata soleggiata. In bocca sfoggia un tannino scalpitante , “toscaneggiante” potremmo dire, che smorza il frutto e allenta la presa nel lungo finale mentolato. Un altro esempio di vino di stampo chiaramente internazionale che, però, non taglia i ponti con il territorio di provenienza.