Asprinio di Aversa: il punto sulla ricerca scientifica


Un grappolo di Asprinio (Foto di Alessandro Manna)

Lo scorso 9 aprile, nel corso dell’edizione 2011 del Vinitaly, la Tenuta Adolfo Spada ha presentato in un incontro moderato da Luciano Pignataro i risultati scientifici di un lavoro di ricerca sviluppatosi nel corso di due campagne di vendemmia, la 2009 e la 2010, effettuate su vigneti dell’aversano coltivati ad alberata . Scopo della ricerca,realizzata in collaborazione con l’Università Federico II di Napoli, è stato quello di studiare il vitigno e le caratteristiche del vino frutto di micro vinificazioni effettuate dal team al lavoro in cantina a Galluccio (Caserta) per poter trarre delle conclusioni sulle prospettive di recupero e valorizzazione di questo interessante vigneto che è l’ultimo testimone di una tecnica di coltivazione della vite antica e sempre più marginale. Frutto ultimo del lavoro sono l’Asprinio Terre del Volturno Igt 2010,  bianco fermo, e l’Asprinio Spumante Brut 201,etichette  proposte in degustazione  che costituiscono un test market non in commercio.
Di seguito una sintesi dell’intervento della dottoressa Antonella Monaco che insieme all’ingegner Spada titolare con  il fratello Vincenzo della azienda; ha illustrato con  Attilio Scienza, Eugenio Pomarici e Monica Piscitelli il lavoro svolto.

Caratterizzazione aromatica ed enologica di uve e vini della varietà Asprinio: un confronto analitico e storico per una identità lunga sei secoli.
di A. Monaco, A. Nasi, L. Paparelli, E. Spada

Il vitigno

Tra i vini campani, l’Asprinio è sicuramente quello più immediatamente riconoscibile non solo per il carattere “aspro” da cui discende il nome ma soprattutto perché, a differenza di altri vitigni, ha alle spalle una storia di secoli attestata sia da fonti documentali che da citazioni letterarie.

Infatti, del vitigno   e del vino Asprinio e della  sua area tipica di coltivazione e produzione – la pianura a nord di Napoli –  si hanno diverse notizie documentali,  alcune risalenti alla fine del 1400, come un  atto notarile del 1495 per il contratto di affitto di un podere di sei moggia nel circondario di Caivano che prevedeva anche la fornitura  al proprietario di due vasi di vino, uno di asprinio ed uno di verdesca, oltre al reinnesto delle uve nere con uve verdesche e asprinie. O un altro documento del 1584, che riporta la rendita di 332 ducati per la produzione di 103 botti di vino (Libertini, 2003). Circa l’origine del vitigno, sono state formulate diverse ipotesi. Alcuni sostengono infatti che l’Asprinio derivi dalla popolazione dei Pinots e che sia stato introdotto nel napoletano durante la dominazione francese dell’800.  A sostegno di questa ipotesi gli agricoltori adducono il fatto che nel passato l’uva dell’Asprinio veniva acquistata da commercianti francesi  che la usavano per la preparazione dei loro vini spumanti ma l’ipotesi di una parentela con i Pinots francesi  è decisamente negata sia dai documenti prima citati sia  dai risultati di un’ampia analisi genetica del patrimonio ampelografico campano che ha escluso qualunque identità del vitigno Asprinio con altre varietà straniere. Da questa stessa analisi, al contrario, è emersa un’identità tra due varietà campane, fino a quel momento considerate diverse: Asprinio e Greco di Tufo, come già aveva intuito Nicola Columella Onorati nel 1804.

Secondo altri autori, il vitigno Asprinio avrebbe un’origine molto più antica, risalente addirittura agli Etruschi, dal momento che ancora oggi viene allevato tradizionalmente su monumentali alberate, un tipo di coltivazione direttamente mutuato da questa misteriosa popolazione.

Tale sistema porta le viti ad arrampicarsi, maritate al pioppo o all’olmo, fino a circa 15 metri di altezza, fornendo delle imponenti barriere verdi, cariche di grappoli, che devono essere raccolti su altissime scale. E di vero  matrimonio si tratta e deve essere celebrato in un’epoca ben precisa. Infatti, così, scrive Columella: “Prima che l’albero abbia preso tutta la sua forza, bisognerà piantare anche la vite. Se si maritasse un olmo ancora tenero, non potrebbe sostenere il peso, se poi si affiderà la vite ad un olmo vecchio, questo ucciderà la sua sposa” (L.G.M. Columella ). Ancora oggi, il paesaggio della zona è dominato dalle alberate, spesso disposte ai margini degli appezzamenti, dove le viti sono piantate, franche di piede, in poste di 3-4 ceppi.  “Sono i campi delle viti eccelse di Plinio, materialmente abbracciate agli alti pioppi, i campi delle uve più feconde di mosto e del vino arbustivo, come se da quella stretta tenace a quei tronchi gravi e sostenuti, un poco di ligneo umore potesse calare nel succo del vino” scrive Amedeo Maiuri

Asprinio ad alberata. La spettacolare raccolta con le scale (Foto Alessandro Manna)

Il vino

Molto numerose sono anche le citazioni  che si possono reperire sul vino Asprinio, a partire da quella più nota di  Sante Lancerio, bottigliere del Papa Paolo III, grande intenditore di vini, che  scrive “Il vino asprino vien da un luogo vicino Napoli. Li migliori sono quelli di Aversa, città unica  e buona” (I vini d’Italia giudicati da papa Paolo III Farnese e dal suo bottigliere Sante Lancerio,  Giuseppe Ferraro, 1879, Casale Monferrato). Paolo Monelli  lo consiglia come aperitivo “ L’Asprinio, era ancora piena estate, me lo andavo a bere come aperitivo sulla fine del pomeriggio in certi antri ombrosi lungo la Riviera di Chiaia: fresco di grotta, acidulo, pallidissimo, fra il color paglia ed il verdolino”. Mario Soldati, facendone forse la più fedele e appassionata descrizione, lo esalta tout court : “Veronelli, parlandomene, lo paragona ai vinhon verdes portoghesi. Io lo assaggio adesso (nella cantina di Don Antonio e Don Vicienzo Triunfo, vinai di Napoli, nei pressi della Riviera di Chiaia) per la prima volta, e ne rimango strabiliato. Non c’è bianco al mondo così assolutamente secco come l’Asprinio: nessuno” La grande instabilità del vino ne rendeva obbligatoria la conservazione in profondi cellai o grotte spesso scavati nel tufo e profondi non meno di 10-15 metri, metodo utilizzato ancora oggi da molti produttori della pianura aversana.

Così, fresco di grotta, lo bevve Veronelli : “Quando l’ho bevuto, mi sono emozionato. Ero in compagnia di un contadino, dalle parti di Aversa, e quell’Asprinio era  eccezionalmente buono. Ben lavorato, fragile elegante…. Quello che mi fa rabbia è la consapevolezza di non poterlo ritrovare. L’Asprinio sarebbe un vino splendido se venisse valorizzato

La complessa vendemmia dell'alberata (foto Alessandro Manna)

La ricerca

Da tutto quanto premesso, lo studio condotto  nel 2009-2011 sul vitigno e sul vino “Asprinio” in alcuni comuni della provincia di Caserta, realizzato grazie alla collaborazione dell’azienda ” Tenuta Adolfo Spada “ di Galluccio (Caserta),  la Facoltà di Agraria di Portici (Napoli), l’Istituto sperimentale per la Patologia vegetale (Roma), la Fondazione E.Mach di S. Michele all’Adige (Trento) e l’Istituto per la virologia vegetale del CNR di Grugliasco (Torino), ha inteso approfondire alcuni aspetti legati alle caratteristiche intrinseche delle piante ed al particolarissimo modo di coltivare la varietà nella piana aversana e la loro influenza sul vino così ottenuto.

I presupposti di base della ricerca hanno riguardato diversi aspetti:

lo stato sanitario delle piante rispetto alla presenza ed alla quantità di virus

la presenza di biotipi morfologici diversi di Asprinio

l’influenza del sito, della forma di allevamento e dell’altezza della fascia produttiva sulle caratteristiche aromatiche delle uve  e dei vini

il confronto del profilo aromatico del vino Asprinio ottenuto nella vendemmia 2010 con altri vini presenti sul mercato.

Lo studio sanitario  ha messo in evidenza un’estesa e diffusa presenza di complessi virali nelle piante selezionate . Alla luce di questi risultati,  l’azienda “Tenuta Adolfo  Spada”  ha avviato un progetto di risanamento del materiale vegetale , in collaborazione con l’Istituto di Virologia vegetale del CNR di Grugliasco (Torino).

Da un punto di vista genetico, i  risultati della ricerca condotta hanno  messo in evidenza una notevole omogeneità  della popolazione del vitigno Asprinio nell’areale tipico di coltivazione e l’assenza di biotipi morfologici differenti. In tutti i siti esaminati, è stata invece rilevata una notevole similitudine morfologica ed agronomica con il vitigno Greco di Tufo (Costantini et al., 2005).

asprinio

La caratterizzazione del profilo aromatico delle uve, dei mosti e dei vini, per la prima volta realizzata in un’ampia area di coltivazione della varietà e con  moderne tecniche analitiche ( Mateo and Di Stefano, 1997; Nasi et al., 2008; Nasi et al., 2010) ha permesso di valutare in maniera approfondita le potenzialità aromatiche varietali e le tecniche di vinificazione più adeguate. In effetti, il profilo aromatico delle uve e soprattutto dei vini, in generale  è risultato caratterizzato da note aromatiche varietali agrumate, mandorlate e speziate, dovute alla presenza di terpeni e di norispoprenodi  nei diversi siti considerati,  sebbene alcuni di essi  mostrino un maggior contenuto di molecole potenzialmente odorose. La composizione delle molecole aromatiche nelle uve provenienti dalle alberate presenta alcune differenze relative al punto di raccolta lungo l’alberata (“alto” e “basso”), dal momento che   le condizioni microclimatiche che si determinano a diverse altezze dell’alberata, con ristagno di umidità e minore penetrazione della luce nella fascia più bassa, hanno influenzato il profilo aromatico delle uve  e dei vini.

Un’ulteriore analisi delle componenti aromatiche  è stata realizzata su un campione di vino Asprinio ottenuto dalla vinificazione delle uve del sito in confronto con vini Greco di Tufo, Fiano, Falanghina beneventana e Falanghina dei Campi Flegrei  presenti sul mercato.

L’analisi ha permesso di rilevare inoltre  che i vini Asprinio e Greco di Tufo presentano una composizione in molecole odorose molto più simile tra loro rispetto agli altri vini, soprattutto per quanto riguarda le molecole di origine varietale: terpeni e norisoprenoidi. I terpeni, presenti in maggiore quantità sia per l’Asprinio che per il Greco,  risultano limonene e linalolo dal tipico odore di agrumi, così come è molto simile il contenuto di acidi organici volatili per questi due vini. Ciò conferma l’ipotesi, più volte avanzata ma sempre respinta, di una identità genetica tra le due varietà Asprinio e Greco di Tufo.

Asprinio, un momento della conferenza (foto Mimmo Gagliardi)

Il presente materiale è frutto di una ricerca realizzata dalla Tenuta Adolfo Spada. Ne è vietata la riproduzione senza autorizzazione. Per informazioni: [email protected].

2 Commenti

  1. Complimenti ad Antonella Monaco, grande esperta e conoscitrice della realtà ampelografica campana.

  2. niente di nuovo…. anche l’analisi del peggior frascati avrebbe messo in evidenza, malgrado le modernissime tecniche analitiche vantate, terpeni e quant’altro si voglia far passare per varietale ma che varietale in senso stretto non sono!!! bisogna smetterla di friggere l’aria con parole come “tipicità”, “unicità”, “territorio” quando non se ne conosce il significato….fate un po’ di ordine! non si possono far passare per tipicità una serie di orrori/errori vitienologici!..
    buon lavoro a tutti!

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