Barbera del Sannio, giovane o vecchia?


di Pasquale Carlo

Più che di un dilemma parliamo di osservazioni. Che nascono da due degustazioni di barbera, quella sannita.
La prima, poco più di un mese fa, in abbinamento con i piatti dell’agriturismo Mastrofrancesco di Morcone. In quella occasione degustammo (c’era anche Luciano con gli amici del Consorzio Sannio) la Barbetta dell’Antica Masseria, l’etichetta Grotta di Futa dell’azienda laurentina ‘A Canc’llera e l’etichetta Repha’el di Fattoria Ciabrelli. Tutte e tre annata 2007, bottiglie volutamente “dimenticate”. La cosa fu interessante, tanto che lo stesso Luciano parlava del primo vino come “sorpresa assoluta” tra le quattordici bottiglie degustate, di palato ancora “vivace e piacevole” per il secondo e di “grandissima freschezza e tono ruspante” per il terzo. Sintetizzando con un “risultato sorprendente” ad otto anni dalla vendemmia.

Barbera/barbetta Vàndari 2000

Barbera/barbetta Vàndari 2000

Siamo andati oltre. In occasione della domenica dedicata alla potatura nel Vigneto Didattico, Nicola Venditti ha tirato fuori l’annata 2000, quando anche la sua barbera/barbetta si chiamava Vàndari, il nome che oggi caratterizza la Falanghina del Sannio.

Barbera/barbetta Vàndari 2000

Barbera/barbetta Vàndari 2000

Se la 2007 lanciava “sentori di china ed erbe amare”, qui le note sembrano indirizzarsi lungo un percorso che fatichiamo a definirlo di odori (non aromi) terziari, considerato che l’evoluzione – se pure ci consegna un olfatto senza alcun difetto e particolarmente piacevole, da cui sono ancora lontane note di ossidazioni – sembra tuttavia discostarsi dagli odori varietali tipici di quest’uva. Il naso godibile, che viaggia in perfetta corrispondenza con l’integrità del colore, è segno di ottimo frutto di base, di uve finite in cantina in perfetto stato sanitario ed evidentemente anche della scelta di affidare il tutto solo ad acciaio e vetro.
Ne esce fuori un vino godibilissimo anche a quindici anni dalla vendemmia. Dal colore rosso ancora vivo, al naso diventa ovviamente più anonima, di leggera percezione, la trama del frutto rosso che segna le versioni più fresche, regalando però un palato ancora netto, equilibrato.

Oggi scrivo qualcosa che era impensabile. Ma è proprio qui che sorgono le osservazioni. O se vogliamo l’osservazione, perché alla fine tutto è riconducibile al semplice interrogativo. Questo vino è meglio oggi? A dirla tutta, le espressioni migliori le uve barbera sembrano darle comunque in età giovanile, come del resto ha mostrato sullo stesso tavolo quella che sarà la Barbetta/Assenza 2015: esplosione di lamponi, rosa e tante note vegetali. Insomma l’identikit per cui si ama questo vino. E’ allora che il suo profilo si mostra unico, cosa che rende queste bottiglie ancora più godibili a tavola. Tuttavia, mentre le osservazioni procedevano, la barbetta 2000 si è consumata tra un pezzo di scarpella e la bella sorpresa preparata da Enza, la supa barbet, il piatto tipico delle valli valdesi, unite alla terra castelvenerese, la cui storia è stata animata tra gli anni 1880-1940 dalla presenza di una forte cellula religiosa valdese.

La doppia scarpella

La doppia scarpella

La supa barbet

La supa barbet

Il finale: beviamo queste etichette essenzialmente giovani. Con l’invito ai produttori di dimenticare volutamente qualche bottiglia da tirare fuori nel corso degli anni. Da poter spendere sulla scarpella, nell’ideale abbinamento territoriale castelvenerese. E, per i più fortunati, anche sulla tipica zuppa valdese.

 

4 Commenti

  1. Si ma quella e’ Barbera di origine Piemontese piantata nel Cilento, quuella di Castelvere e’ un vitigno autoctono che a breve verra’ chiamata San Barbato perche’ Barbera non e’…

  2. Si ma quella e’ Barbera di origine Piemontese piantata nel Cilento, quuella di Castelvere e’ un vitigno autoctono che a breve verra’ chiamata San Barbato perche’ Barbera non e’… pardon Castelvenere…

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