Best Italian Wine Awards ! Il racconto della festa di premiazione all’Hotel Visconti Palace di Milano


Best Italian Wine Awards. Foto ricordo con i premiati

di Andrea Guolo

Milano. Alla fine, ammirando la sala piena dell’hotel Grand Visconti Palace di Milano dove lunedì sera si è tenuta la premiazione e considerando l’impatto mediatico suscitato dall’evento, hanno avuto ragione loro. Luca Gardini, il più istrionico e talentuoso dei nostri sommelier (campione mondiale 2010) si è unito ad Andrea Grignaffini (giornalista, docente universitario e critico gastronomico) e assieme hanno lanciato non una guida – anche se Grignaffini ha confessato a fine serata che qualcosa di simile si farà – bensì una formula/evento per il vino italiano nel mondo. Best Italian Wine Award, così lo hanno chiamato, è una graduatoria delle 50 migliori etichette provate da un gruppo di insigni esperti del settore. Praticamente, un gotha.

Il comitato esecutivo del premio

 

Il comitato esecutivo comprende Daniele “doctor wine” Cernilli, il direttorissimo Enzo Vizzari, Pierluigi Gorgoni, il francese Raoul Salama (docente alla facoltà di Enologia di Bordeaux) e l’inglese Tim Atkin che scrive, tra gli altri per The Economist. Ai “magnifici sette” se ne sono aggiunti altrettanti, formando così una regia allargata che ha visto il contributo di Andrea Battilani, Alberto Cauzzi, Elio Ghisalberti, Federico Graziani, Marco Pozzali, Marco Tonelli e del presentatore della serata, Antonio Paolini. Le cifre: 14 giurati, 170 vini provati in due intensissimi giorni di degustazioni, limitate all’ultima annata disponibile sul mercato.

Luca Gardini premia Valentini

Di questi, soltanto i primi 50 sono stati resi noti al pubblico, in ordine di classifica. Ebbene, il “best Italian wine 2012” è il Trebbiano d’Abruzzo 2007 di Valentini. “Ha conquistato il primo posto con con giudizio unanime per un’annata unica, che di qui in futuro ci darà tante soddisfazioni” ha commentato Gardini consegnando il premio. Il secondo posto va a un grande Barolo, il Riserva Monprivato Cà d’Morissio di Mascarello (annata 2004), che precede il migliore dei toscani, il Sassicaia 2009 di Tenuta San Guido.
“Ci siamo trovati a fare un gioco, lo abbiamo condotto con grande rigore e serietà” ha spiegato Vizzari. “A mano a mano che assaggiavamo, ci rendevamo conto di una imprevedibile consonanza di intenti e di giudizi”. Cernilli, facendo anche riferimento alle polemiche sollevate da giornali e blog alla lettura di alcuni nomi, ha precisato: “In classifica ci sono 50 indiscutibili eccellenze. Questa è una delle migliori commissioni di assaggio a cui ho partecipato in vita mia: sono orgoglioso di aver contribuito a gerarchizzare la comunicazione sul vino, in un momento nel quale la tendenza procede un po’ troppo verso il ‘todos caballeros’. E poi era da tempo che non si parlava così tanto di vini come in questi giorni…”.

La sala del Visconti piena

Al di là dell’evento e delle polemiche, che come sempre fanno audience, ciò che emerge da questa serata, che ha visto la partecipazione di alcuni dei più importanti produttori italiani, è la formula studiata dagli organizzatori. Siamo di fronte a un probabile modello di business rivolto all’internazionalizzazione del vino italiano, che in alcuni mercati (v. Cina) ne avrebbe un gran bisogno. E allora la formula ecumenica della guida onnicomprensiva, risultato dell’assaggio di più annate per la stessa etichetta e che inevitabilmente perde appeal agli occhi del consumatore internazionale, che talvolta (specie nei Paesi dei nuovi ricchi) vorrebbe soltanto capire qual è il meglio della produzione vitivinicola italiana per assicurarsela, cede il passo a uno show con graduatoria, quasi fossimo alla notte degli Oscar (and the winner is…) o, se vogliamo, al festival di Sanremo. La giuria però è di qualità, e dietro alle quinte non c’è fortunatamente una Maria De Filippi a lanciare i propri cavalli da scuderia. Presentare all’estero le nostre eccellenze, forti della volontà di fare sistema e di mostrare coesione, diventa determinante, ora più che mai, per esprimere al meglio l’enorme potenziale che l’Italia può vantare e al quale sempre più paesi stranieri guardano con interesse e ammirazione.

Proprio per questo è stato scelto un titolo dal timbro internazionale e di facile lettura, con l’idea di creare un format di successo, replicabile anche all’estero e periodicamente. Questo si legge nel comunicato preparato dalla squadra di Gardini e Grignaffini; questo inoltre si evince dalla strategia di inserire in giuria due grandi nomi stranieri, per concretizzare la volontà di uscire dalla logica italocentrica perfino nel giudizio.

Ora, ha affermato l’ex sommelier di Cracco, arriva il primo banco di prova, con i due eventi che verranno organizzati a Città del Messico e San Paolo del Brasile sull’onda della top50 milanese. Se la strategia sarà vincente, sempre più produttori lo seguiranno, senza preoccuparsi troppo del posto occupato in graduatoria.

Perché finita la festa, fuori dal bel giardino del Grand Visconti Palace dove ai due metodo classico selezionati erano abbinati i “finger” dello chef Matteo Torretta, il mondo è sempre quello di prima, con tutti i problemi che i nostri vignaioli stanno vivendo, soprattutto nel mercato domestico. “Cederei volentieri qualche bicchiere della prossima guida” sussurrava uno di loro “in cambio di un cliente che mi pagasse a sessanta giorni… E chi lo trova più?”.

4 Commenti

  1. Bel resoconto, davvero, che mi ha finalmente chiarito una cosa e cioè che i 50 vini premiati rappresentano, ovviamente per chi li ha assaggiati e chapeaux per loro, i migliori 50 vini italiani.
    Pensavo di aver capito che i migliori fossero i primi 49.
    Grazie ad Andrea Guolo e a Luciano Pignataro che mi hanno fugato ogni dubbio.
    Cin cin a tutti

  2. tutto sommato é valsa la pena scendere a Milano per assistere a questa premiazione. Innanzitutto per rivedere e riabbracciare molti amici produttori, per scoprire un Antonio Paolini in versione intrattenitore che invitava la stampa enoica al volemmose bbene evitando le polemiche suscitate ad arte ed inutilmente da quei rompiscatole fastidiosi dei blog (alcuni blog almeno). E per vedere chi andasse a braccetto con chi, chi si dedicava all’esercizio del “culo e camicia” e quali persona facessero comunella. Ho capito molte cose da questa premiazione, che si può, con straordinaria originalità e fantasia, dare un Premio Azienda nella Storia (anche di Brunellopoli…) ai Marchesi Frescobaldi, un Premio Vino e Terroir alla Barbera Pomorosso di Coppo e dare un premio qualità prezzo, pardon, Quality Price, ad una semisconosciuta azienda commerciale. Tout se tient, come dicono in Francia

  3. Insomma si vorrebbero ricalcare i fasti del 50’Best Restaurant con tutto quel che consegue in termini di esposizione mediatica. C’è però l’innegabile vantaggio che la giuria i vini li ha assaggiati davvero, non per interposta persona o lobby, né interposta TV, come accade in occasione del Pallone d’Oro per allenatori guatemaltechi che hanno visto Ronaldo solo negli spot pubblicitari. Non ci resta che sperare nella conferma della commissione e della formula “cieca”, nel sapere chi entra e chi esce in hit parade tra i vini, se per caso qualcuno è entrato “senza passare dai dischi.. ehm vini caldi”, quali siano i “vini caldi” e infine che il voto non venga esteso anche a irreprensibili critici brasiliani o azeri, anche se costoro sarebbero ammessi solo dopo aver dimostrato di aver bevuto Fiano di Avellino almeno una volta nella vita (magari al cospetto di Tornatore).

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