Cabernet Atina DOC: Premio Ducale


Vigneti Atina

Vigneti Atina

di Antonio Di Spirito

Il 27 ottobre scorso si è svolto presso il Salone del Palazzo Cantelmi di Atina il “mini contest” Premio Qualità Vino Ducale in onore di Giovanni Palombo: tutti i vini prodotti nell’ambito della denominazione, anche se fuori dal consorzio, sono stati assaggiati da una commissione d’assaggio qualificata e sono stati premiati i primi classificati per ogni categoria: bianchi, rosati, rossi e riserva.

La Torre di Atina

La Torre di Atina

Si può dire, e si spera lo sia, che questo evento sia il primo passo pubblico della vita sociale ed organizzativa del comparto vino di questa denominazione.

In verità, questo evento è stato voluto fortemente ed organizzato con caparbietà e tenacia da Patrizia Patini, che, paradossalmente, non produce vino. E’ una grande appassionata di vino, sommelier da tempi non sospetti, e conduce un ristorante molto caratteristico, Le Cannardizie, ricavato proprio nei locali dello “Stabilimento Enologico Fratelli Visocchi”, le “Cantine” costruite nel 1868. E, naturalmente, nel suo locale ha tutti i vini prodotti nella DOC!

E’ opportuno ripercorrere la storia della cittadina della bassa Ciociaria, a ridosso della dorsale Appenninica e dell’Abruzzo.

La storia del Cabernet di Atina risale al seconda metà del 1800: solo le zone intorno a Carmignano (Prato) ed alcune tenute napoleoniche nelle Marche possono vantare un utilizzo anteriore di quel vitigno.

Il territorio di Atina era compreso nella Provincia dell’Alta Terra di Lavoro, nel Regno Borbonico; la vicinanza con alcune miniere di limonite ed altri minerali nelle zone della val di Comino e la ricchezza di corsi d’acqua, ne fecero una zona ad alta industrializzazione metallurgica.

I Visocchi erano una famiglia nobile e benestante di Atina, ma di origini venete; i cinque figli maschi, dopo studi classici-umanistici, si trasferirono a Napoli per seguire corsi di studi universitari e Pasquale, fra i più brillanti dei cinque, si dedicò a studi di agronomia. All’età di 24 anni, alla morte prematura del padre, tornò ad Atina per occuparsi degli affari di famiglia e dei suoi terreni. Aveva uno spirito pionieristico e da ricercatore; così, applicando le conoscenze acquisite all’università e sperimentando nuove tecniche, riportò a nuova vita tutti i terreni, ormai inariditi dalle colture disordinate.

Durante il periodo universitario e dai continui viaggi che fece successivamente a Napoli, dove c’erano sempre i fratelli, nel 1845 aveva potuto conoscere il francese Pierre Peuche che gli consigliò e lo incoraggiò a costruire una cartiera ad Atina, con la quale riuscì a produrre carta di ottima qualità. I suoi contatti con la Francia erano, quindi, frequenti; ma la folgorazione vera ci fu nel 1867, in occasione della Esposizione Universale di Parigi, dove lui andò per acquistare macchinari nuovi per la cartiera: gli piacquero così tanto i vini bordolesi che impiantò varietà di Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah, Pinot Noir e Blanc, Semeillon Gros, Semeillon Petit, Sauvignon e Russane.

Inoltre, studiò a fondo i trattati del Grandvionnet e del Guyot per l’allevamento moderno ed ottimale della vite, applicando, altresì, la tecnica del sovescio ed introducendo l’uso della solforazione.

Paesaggio Odierno

Paesaggio Odierno

C’è da ricordare che nella val Comino erano utilizzati vitigni quali Pampanaro, Capolongo, Frabotta e Maturano Bianco, per i vitigni a bacca bianca, e Lecinaro, Olivella, Tendòla, Maturano Rosso e Pallagrello Nero per i vitigni a bacca rossa; vitigni che, in quella zona e con metodi di coltivazione antica, producevano vini a bassa gradazione e, quindi, poco conservabili.

Le sue esperienze furono seguite dalla famosa scuola di enologia di Conegliano, che prese da Atina le marze dei vitigni più affermati e li diffuse, poi, nel Veneto.

Il successo enologico e la coltura intensiva delle viti impose la costruzione di una nuova ed ampia cantina, riadattata, oggi, come ristorante.

Le Cannardizie

Le Cannardizie

Nel 1940 l’Ingegner Guglielmo Visocchi ottenne il Decreto di riconoscimento del vino tipico.

Nel 1995 ha ripreso vigore la coltivazione della vite e, soprattutto, si èffermata l’esigenza di recuperare le vecchie zone particolarmente vocate alla viticoltura; fino ad allora solo pochi produttori si affacciavano timidamente sul mercato del vino con vini sfusi ed, a malapena, riuscivano a piazzare qualche botte nelle enoteche (“Vini e Oli”) di Roma.

Giovanni Palombo assunse il ruolo di capostipite e trascinatore di un piccolo drappello di viticoltori della valle del Comino, fino a raggiungere nel Maggio 1999 l’ambito risultato: il riconoscimento ministeriale dell’Atina DOC.

Patrizia Patini si è ispirata proprio a questi presupposti, concreti e nobili, per organizzare questo evento; e ne ha aggiunto un altro ancora più nobile: il costo del biglietto per la degustazione serale dei vini è stato devoluto totalmente all’associazione IRIS che si occupa di ricerca oncologica.

Naturalmente, nell’organizzazione dell’evento, c’è stata la collaborazione di tanti soggetti: il Comune di Atina, il Consorzio di tutela dell’Atina DOC, il Centro Studi S.S. Atina, l’Istituto Agrario di Alvito, la Pro Loco di Atina e la Pro Loco di Alvito.

L’occasione si è prestata a fotografare lo stato dell’arte della produzione del vino nell’ambito della denominazione e dare degli input di orientamento al giovane Consorzio.

Dopo la degustazione di tutti vini a concorso l’impressione riportata dalla commissione  si racchiude nei seguenti giudizi:

C’è un forte livellamento della qualità dei vini, con poche eccellenze, dettate soprattutto dall’esperienza personale, dalla lunga pratica o dal consiglio estemporaneo di buoni consulenti.

Probabilmente l’origine del livello qualitativo non elevato ha origine da problemi agronomici (paradossalmente proprio il lato forte delle cure di Pasquale Visocchi) e, forse, da pratiche di cantina non proprio omogenee. Comunque, qui e la, si ammette qualche virosi di troppo e mal dell’esca galoppante.

Siamo di fronte a produzioni minimali: sembra che l’intero “vigneto” della denominazione si aggiri intorno ai 150 ettari; questo significa costi di gestione elevati ed ammortamenti lunghi.

Giovanni Palombo scomparve prematuramente nel 2006, eppure in quei 7 anni riuscì a portare all’attenzione dei mercati il Cabernet di Atina; poi, tutto è stato un po’ dimenticato.

Oggi più che mai si sente la mancanza di tradizioni e di modelli qualitativi e stilistici.

A questa analisi non certo esaustiva, andranno sicuramente aggiunte altre concause che chi vive ogni giorno la realtà operativa avrà già individuato. La strada da percorrere è molto lunga e, vista la debolezza dei singoli produttori, vuoi per le dimensioni ridotte, vuoi perché molti sono appena all’inizio dell’avventura, diventa veramente impossibile colmare il gap con altre denominazioni e presentarsi sul mercato con efficaci possibilità di penetrazione.

A tutto ciò, o almeno in parte, potrebbe sopperire il Consorzio di Tutela dell’Atina DOC, costituitosi da poco tempo e presieduto dal giovanissimo Enrico Rossi, adottando decisioni appropriate, promuovendo studi e cicli di cure dei vigneti dell’intera denominazione e coordinando azioni corali.

Trovo costruttivo e pedagogicamente valido che i produttori assaggino collegialmente i loro vini alla cieca, così come ha fatto la commissione, ed inserire fra i loro vini qualche bottiglia molto rinomata, sempre bendata; con questo esercizio potrebbero individuare modelli, difetti e pratiche correttive da adottare.

Per la cronaca, abbiamo assaggiato circa 40 vini di 18 aziende, suddivisi secondo le 4 categorie della denominazione: Bianchi, Rosati, Rossi e Rossi Riserva.

La giuria era composta da nove commissari;

  • tre giornalisti: il sottoscritto con funzioni da presidente della commissione, Francesco D’Agostino (Direttore Responsabile di Cucina e Vini), ed Andrea Petrini (Percorsi di Vino Wine Blog);
  • tre stimati enologi NON impegnati in attività professionali nell’ambito della Atina DOC:
    Chiara Fabietti, Maurizio De Simone, Vincenzo Mercurio;
  • tre sommelier provenienti dalle tre maggiori associazioni AIS, FIS, FISAR, rispettivamente:
    Emanuela Di Palma, Antonio Abbate e Mauro Leone;.
 Premio Ducale - La Commissione

Premio Ducale – La Commissione

Ogni componente della giuria ha assegnato individualmente punteggi in centesimi ad ogni vino; la media matematica, senza intermediazioni, ha determinato il vincitore per ogni categoria:

nella categoria dei Bianco di Atina

Antiche Tenute Palombo – Bianco delle Chiaie 2017

nella categoria dei Rosato
Cominium – La Casetta 2017

nella categoria dei Rosso Atina DOC
Cominium – Satur 2017

nella categoria dei Rosso Atina DOC Riserva
Cominium – Atina Doc Riserva 2017

Cabernet Atina DOC - Premio Ducale - I Premi

Cabernet Atina DOC – Premio Ducale – I Premi

Come si vede, l’Azienda Cominium, guidata da Armando Pinto, che opera da circa 20 anni nella denominazione, ha fatto incetta di premi: in qualche modo l’anzianità e la posizione consolidata nel comparto produttivo da i giusti frutti. L’unico premio che gli è sfuggito è andato ad “Antiche Tenute Palombo”; questa azienda è nata proprio su ciò che Giovanni lasciò nel 2006: la cantina in embrione ed alcuni vigneti; ma chi la conduce, Natalia Baglione, e chi dirige le operazioni tecniche, l’enologo Roberto Mazer, rappresentano la continuità dell’azienda fondata nel 1995.

Molto buono il giudizio sulle altre aziende partecipanti, spesso guidate da ragazzi giovani, anche se alle loro spalle ci sono dei genitori molto presenti; con il loro entusiasmo e con la loro elasticità, riusciranno sicuramente ad indirizzare al meglio la vita sociale del consorzio. La materia prima c’è, una storia centenaria pure; basta qualche cura in più sia in vigna che in cantina.

Auguri a tutti e Buon Lavoro!

Un commento

  1. Complimenti per l’ inizistivs, come Slowine Lazio seguiamo la zona e Cominiim e’ una presenza costante in guida.

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