Cenito 2002 Paestum igt


MAFFINI

Uva: aglianico e piedirosso (25%)
Fascia di prezzo: da 15 a 20 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno

Degustazione, regola prima: il vino deve essere buono

Una bella giornata, mercoledì, per due appuntamenti con persone che apprezzo molto: a Caserta per presentare la favola della mozzarella pensata per i bimbi da Rosanna Marziale, la bravissima chef de Le Colonne, e alla Città del Gusto per il Cenito di Luigi Maffini su invito di Paolo De Cristofaro, il responsabile campano del Gambero Rosso.

Luigi è un personaggio vero, con idee moderniste poste in modo diretto e non costruito, prima fra tutte il ribadire, cosa non da poco in certi ambienti, che il vino deve essere anzitutto buono. Prima ancora di sapere chi lo fa, come si fa e da dove viene, il bicchiere, diceva Luigi, io sottoscrivo: deve essere buono, deve piacere. Come il cibo: chi mangerebbe qualcosa di cattivo al gusto? Nessuno. Per cui, il piacere olfattivo e quello in bocca deve essere il primo parametro nella valutazione del vino. Per piacere, ancora Luigi dixit, un vino deve essere moderno, cioé capace di uscire dal gusto del luogo in cui è stato prodotto e incontrare quello di persone abituate ad altri sapori in altri luoghi. In questo la barrique è uno strumento, non il fine, spesso indispensabile perché facilita notevolmente il lavoro in cantina anche se pone problemi di interpretazione della frutta d’annata con rischi seri. Questa teorizzazione non va certo confusa con quelli impegnati a piallare con legni invasivi tutti i vini trasformandoli in qualcosa di eguale. Insomma, troppo caffè rende tutto il latte indistinguibile, la giusta dose lo esalta.
Un vino, come le persone, non deve essere sempre uguale a se stesso per piacere: capita, nella vita, di fare più incontri e così è anche con le bottiglie, altrimenti ciascuno berrebbe sempre la stessa cosa. Ma è indispensabile per il produttore leggere la soddisfazione in chi acquista per avere la conferma del lavoro svolto bene, altrimenti è onanismo, esattamente quello che pensano quei contadini convinti di fare il vino più buono del mondo. È il consumatore che fa il vino, non il produttore.
Ciò non vuol dire che il produttore è un soggetto passivo del gusto già affermato all’esterno, ché la sua funzione è quella di demiurgo, di interprete sapiente di quello che può ottenere lavorando l’uva e le tendenze in atto nel mercato, per esempio in relazione al fatto che oggi si viaggia molto di più e che il modo di mangiare è profondamente cambiato. Chi teorizza un ideltipo territoriale astratto presistente a cui doversi rifare ha poco da spartire con la enologia, intesa come arte di rendere commerciabile, dunque potabile, il vino. L’esercizio numero uno della critica neopauperistica è per esempio attaccare i due vini campani più conosciuti al mondo, il Montevetrano e il Terra di Lavoro: la motivazione è che non interpretano i territorio. Scusate, quale territorio? Quello delle nocciole a San Cipriano o quello delle olive a Roccamonfina? Già, perché si da il caso che prima di questi due vini non c’era viticoltura in quei posti, ma solo qualche vite. Ecco dunque come l’ideologia ottenebra la capacità di discernere la realtà, tanto più facile quando non si devono fare i conti a fine mese.
Il Cenito è un altro esempio illuminante: prima di Maffini e di De Conciliis, e poi di Rotolo e degli altri, il Cilento era, per dirla alla Metternich, una espressione geografica nella cartina dei territori vitivinicoli campani. Se non ci fosse stato un progetto di vino, di produzione e di comunicazione e l’aria attorno ad Agropoli fosse rimasta ferma, è facile prevedere il quadro: basta spostarsi di qualche chilometro e analizzare la situazione della doc Castel San Lorenzo. Non è un caso che Maffini e De Conciliis hanno dovuto inizialmente lavorare con la igt Paestum e solo dal 2003 la parola Cilento ha potuto affiancare Cenito.
E allora, qual è l’espressione compiuta di quel territorio? Chi ne ha interpretato le potenzialità agricole e varietali o chi è rimasto fermo a protocolli vetusti?
Ecco perché quando si parla di vino è meglio mettere da parte le teorizzazioni astratte e vedere nella pratica quel che è successo. Con il Cenito si era partiti con uve 50 a 50, secondo un tipico blend campano, ignorando sangiovese, merlot, barbera e altri vitigni pur presenti nella zona. Progressivamente si è passati con il Piedirosso a quota 35 (nel 2001), 25 (nel 2002), zero. E si è visto come il Cenito 2005, pur ancora pregno di legno, sia un aglianico in purezza più pronto e godurioso del tormentato e tagliente 2000. Questo grazie a pratiche enologiche, al miglioramento delle viti e all’esperienza accumulata. È questo, allora, l’interprete più autentico del terroir, perché lo traduce in termini comprensibili anche ad un giapponese che non ci è mai stato. L’uso o meno di vitigni internazionali in questo gioco non è una scelta etica fra il bene e il male, ma di opportunità commerciale e comunicativa e, diciamolo, per 5000 bottiglie, rischio di banalizzazione da evitare per conservare mobilità olfattiva e complessità riconducibile ad uno stile e ad un varietale.
Ieri il Cenito ha fatto questo gioco, guidato dalla sapienza di Paolo e dalla passione ruspante di Luigi, passando dalle prime annate sino al capolavoro 2003. Noi qui vi segnaliamo, nelle pieghe, il 2002, figlio delle piogge ad agosto e settembre, sino a ottobre tanto che alcune grandi aziende decisero di non produrre i loro top wine. Cito Mastroberardino per il Taurasi e Biondi Santi per il Brunello. Invece il Cenito c’è, un po’ smagrito ma molto elegante al naso, sapido e saporito come lo ha definito Paolo, ricco di mentolato su un tappeto di fruttato ben colto. Un vino da meditazione, oppure da spendere sulla didattica tagliata di manzo apparsa dopo la degustazione al ristorante di Città del Gusto.

Sede a Castellabate. Località Cenito, frazione San Marco. Tel. e fax 0974 966345. E mail: [email protected]. Enologo: Luigi Maffini. Ettari: 4 di proprietà e 2 in fitto. Bottiglie prodotte: 50.000. Vitigni: aglianico, fiano, piedirosso. Si acquistano uve anche da vignaioli di fiducia seguiti personalmente in tutte le fasi.