Zia Lucia e la milza di San Matteo


La milza

La milza

di Carmen Autuori
Erano gli anni Cinquanta e la vita di zia Lucia, al secolo Lucia Ricciardi, salernitana Doc, rampolla della storica famiglia di sarte sopraffini, oscillava tra la cucina perennemente avvolta dall’ odore di cose buone, cappellini con vezzose velette, scarpe modello decollete rigorosamente di pizzo nero e l’aperitivo al bar Varese, appuntamento fisso della domenica dopo la messa in duomo.

Milza -Lucia Ricciardi

Milza -Lucia Ricciardi

Era di statura piccola e dal fisico rotondeggiante, occhi penetranti come spilli che guardavano oltre l’apparenza delle cose e delle persone, il nasino all’insù e capelli sempre freschi di parrucchiere. Il suo aspetto poteva trarre in inganno perché faceva pensare ad una signora della media borghesia tutta dedita alla missione di angelo del focolare come si conveniva alle donne dell’epoca. Ebbene, zia Lucia era il contrario di tutto ciò. L’aspetto delicato in realtà celava un carattere fortissimo che ne faceva l’elemento più temuto di tutta la famiglia, compreso sorelle, cognati e nipoti. Il marito, militare  dall’aspetto imponente e dal carattere autoritario, nelle sue mani diventava morbido come il burro. Zia Lucia sosteneva, infatti, che gli uomini si conquistano soprattutto a tavola, e lei in questo era maestra.
Fortemente legata alle tradizioni della sua città, dava il meglio di sé proprio in occasione della festa patronale onorando la ricorrenza anche a tavola dove non poteva mancare la milza, il suo piatto forte.
D’altra parte è risaputo che la milza sta a S. Matteo, come gli struffoli a Natale. Il 21 settembre è d’obbligo, come tradizione comanda, cucinarla non solo nelle case, ma anche per strada a cura di ambulanti che sono veri maestri nella preparazione di questa pietanza.
L’ usanza è siciliana e risale all’ epoca medievale quando a Palermo era presente una folta comunità ebraica, i cui membri eccellevano nella macellazione dei bovini . La loro fede religiosa, però, li obbligava a non percepire danaro per questa attività, così a titolo di ricompensa, trattenevano le interiora, tra cui la milza, che rivendevano cotte ai “gentili”.
Nel 1492 Ferdinando II d’ Aragona, detto il Cattolico, allontanò la comunità dai territori sottoposti al dominio spagnolo; il mestiere passò ai ” caciuttari”, venditori di pane ripieno di formaggi, che dopo aver fritto i pezzi di milza nello strutto, arricchivano così la farcitura dei loro panini.

Milza- via Mercanti

Milza- via Mercanti

Non sappiamo come il piatto sia giunto nel salernitano, molto probabilmente ad opera dei mercanti che approdavano al porto e così, complice anche il basso costo della materia prima, la milza si ritagliò un importante spazio nella gastronomia salernitana.

Milza- pani ca meusa

Milza- pani ca meusa

La nostra versione, pur non prevedendo l’accompagnamento con il pane, il famoso pani ca meusa, è però più ricca di quella siciliana perché la cucina è sempre un “divenire” che si adatta alla materia prima del territorio. La milza di zia Lucia prevedeva, infatti, una profumatissima imbottitura di erbe aromatiche, prezzemolo, menta, aglio, vin cotto, una quantità inverosimile di olio ed una cottura lenta e prolungata che cominciava nelle primissime ore del mattino.

La milza- venditori al mercato della Vucciria

La milza- venditori al mercato della Vucciria

Ma prima di ciò c’era stato tutto il rituale dell’approvvigionamento. Le “tasche” di milza andavano comprate, almeno il giorno prima, dal macellaio di fiducia che ogni anno veniva sottoposto ad un vero interrogatorio degno di un agente del Kgb negli anni della Guerra Fredda, sulla provenienza dell’animale. La mentuccia era quella coltivata nel vaso allocato, sempre al solito posto, sul balconcino che civettuolo faceva capolino su via Mercanti, così pure il prezzemolo. Il giorno prima della festa le interiora venivano messe a bagno in acqua fredda e sorvegliate diligentemente dalla parte femminile della famiglia a cui erano affidati i compiti più umili. La mattina della festa scendeva in campo la “sacerdotessa” Lucia in persona che, con gesti antichi e sguardo amorevole, terminava la preparazione della sua milza, giusto in tempo per la solenne messa in duomo e l’aperitivo al bar Varese, non senza aver indossato uno dei suoi meravigliosi cappellini.

Ingredienti per 8 persone

1 milza intera

1 grosso fascio di prezzemolo(circa 200 grammi)

25 foglioline di menta freschissima

2 grossi spicchi d’aglio

4/5 peperoncini piccanti freschi

3 bicchieri di olio evo

2 bicchieri di aceto di vino nero

3 cucchiai di vin cotto

Acqua qb

Un giorno prima della preparazione tagliare in due metà la milza, praticarvi un taglio profondo al fine di ottenere una sorta di tasca.

Lavare molto bene sotto l’acqua corrente, immergere i due pezzi di milza in una bacinella piena d’acqua e lasciare tutta la notte affinché  perdano tutto il sangue contenuto nei tessuti.

Sgocciolare ed asciugare molto bene la milza. Lavare ed asciugare le foglioline  di menta ed di prezzemolo. Tritare, a mano con un coltello affilato, le erbette, gli spicchi d’ aglio, i peperoncini, condire con sale ed un abbondante giro d’ olio. Dividere il composto in due parti uguali e farcire le “tasche” perfettamente asciugate. Chiudere con gli stuzzicadenti.

Versare l’olio in una capace casseruola dai bordi alti, quando è ben caldo, adagiarvi i due pezzi di milza, far rosolare a fiamma vivace da tutti i lati. A questo punto sfumare con l’aceto, aggiungervi il vino cotto, salare e far cuocere per circa 3 ore a fuoco dolcissimo. Qualora il sugo dovesse restringersi troppo, è opportuno aggiungere mezzo bicchiere d’ acqua tiepida all’ intingolo. La milza è pronta quando l’olio si è separato completamente dal fondo di cottura. Sollevarla dalla pentola e, una volta fredda, affettarla. Ricoprire il tutto con il sughetto. Servire a temperatura ambiente. Si conserva in frigo anche per 4 o 5 giorni. Un consiglio, per la buona riuscita del piatto non bisogna lesinare sul condimento.