Coronavirus e ristorazione. Decine di migliaia di persone rischiano la fame, ecco come la malattia colpirà soprattutto i più poveri


di Marco Contursi

Premetto, so già che questo scritto lo leggeranno solo gli amici per non scontentarmi, i pezzi impegnati vanno accuratamente evitati in questo periodo. Ma scriverlo mi fa bene, come pure pensare che anche 2 persone lo leggano fino alla fine, quindi lo scrivo.

Da Giornalista che scrive di cibo, non solo mangiato o cucinato, ma anche prodotto non posso esimermi dal fare alcune considerazioni sul disastro economico che si prospetta per questo settore, come pure per altri inerenti i beni di “lusso”, ossia non strettamente necessari per vivere. Mi si scuserà, se approfittando del mezzo proporrò alcune mie considerazioni, personali opinioni sulla questione coronavirus, astenendomi da quelle squisitamente mediche, e non perché non ne abbia in proposito, anche suffragate da illustri pareri, ma perché qui sarebbero fuori posto.

Innanzitutto una domanda? Cosa è strettamene necessario? La pizza non lo è. Neanche camminare vicino al mare. O fare l’amore con la persona amata. Certo, si sopravvive pure senza. “SOPRAVVIVE”, NON “VIVE”.

Qui scatta una domanda necessaria a corollario della frase “non sono cose necessarie alla vita”. La domanda è : PER QUANTO? Perché se non è necessario al sopravvivere, mangiare la pizza, camminare o fare l’amore per 2- 3 mesi, lo diventa se i tempi si allargano a dismisura. Perché per me vivere senza mare, pizza, amore NON è vivere e quindi preferirei andarmene adesso. Certo a molti può sembrare una esagerazione, ma pensate un attimo se per sempre la vostra vita fosse come in questi giorni: chiusi in casa, spesso soli o male accompagnati, con cibo in scatola e avendo come sole, quei 4 raggi che filtrano dalla finestra, sempre che non ci hanno costruito un palazzo davanti. Vi piacerebbe? E non venite a dirmi, che la vita è sempre bella, è una cazzata. Lo è nella misura in cui uno sta bene e può godere delle cose belle, altrimenti è un supplizio che precede quello eterno, che sicuramente toccherà a me, e a molti come me: tranne l’avarizia (semmai sono prodigale) dei 7 vizi capitali non me ne faccio mancare nessuno, e di alcuni posso essere anche un professore..

Ritorniamo a noi. Ci dicono che dobbiamo stare in casa per sopravvivere ma non dicono ai milioni di italiani che non hanno uno stipendio garantito e risorse in banca a sufficienza, come devono farlo? Si badi bene, qui non parlo solo delle partite Iva ma anche delle centinaia di migliaia di lavoratori in nero, che evadono quotidianamente, NON per arricchirsi, MA PER MANGIARE. Sì, mangiare avete capito bene, come gli scaricatori alla giornata dei mercati ortofrutticoli, i muratori che fanno piccoli lavoretti, quelli degli autolavaggi e tanti altri. Perché sono in nero? Perché nessuno li assumerebbe. Perché avere 3 persone, più il titolare per gestire un lavaggio ( numero minimo di addetti), sarebbe impossibile farlo, volendoli mettere a posto. La matematica non è una opinione e allora si preferisce averli in nero piuttosto che chiudere e togliere anche i 30 euro al giorno a chi non ha nulla ed è fuori da ogni circuito produttivo. Chi pensa a queste persone che possono costituire un pericolo per l’ordine civile della società perché potrebbero iniziare a delinquere o a costituire focolai di ribellione, anche violenta? Dovrebbe pensarci lo stato ma non lo fa o lo fa malissimo e soprattutto: lo Stato NON è in grado di trovare lavoro a nessuno, al massimo può elargire, per un certo tempo, un sussidio.

La ristorazione è al tracollo, dalla piccola pizzeria al grande locale, fatta salva la pace di pochissimi. Ci sono titolari di affermati locali, con 20-30 dipendenti, quindi famiglie, che non dormono la notte pensando a cosa li aspetta. Ci sono ragazzi che hanno aperto la sera stessa che Conte ha chiuso tutto e quindi neanche il brindisi inaugurale hanno potuto fare, ma gli anticipi di mobili, alimenti, strumenti, li hanno già cacciati e a breve arriveranno il resto delle fatture da saldare.

In Campania ma non altrove (tranne in Lombardia che però registra migliaia di casi) hanno vietato pure l’asporto che avrebbe dato respiro al settore.

Era necessario vietarlo? Si, ma solo alla politica urlata per farsi propaganda, per non ammettere che la situazione attuale è anche frutto, dei tagli e ruberie di decenni alla Sanità pubblica. Perché in Campania e in generale al Sud la situazione è ancora gestibile ma soprattutto perché una cosa deve essere chiare: NON SI PUO’ CHIUDERE TUTTO.

NON SI PUO CHIUDERE TUTTO perché la vita continua suo malgrado, perché c’è gente che ha disabili in casa e anche un pacco di pannoloni può diventare vitale, perché c’è gente con bambini piccoli e se si ottura l’unico bagno lo sturatutto diventa vitale, perché ci sono vecchi che non vedono una acca e allora anche un paio di occhiali diventa vitale, perché c’è gente come me che se finisce la Nutella, può compiere una strage e allora anche la Nutella diventa vitale. Scherzi a parte, tutto non si può chiudere, fatevene una ragione.

Mi fanno sorridere le foto della Pignasecca che sembra affollata di persone come in un giorno qualsiasi. Ma è davvero così? Riflettete, siamo in un’area di 30mila persone per km quadrato se l’uno per cento di queste esce per fare la spesa, e essendo tutte piccole botteghe vicine, è normale che si fanno assembramenti che possono sembrare una massa di comari intente a chiacchierare ma nel 90% dei casi non è così ( senza virus, alla Pignasecca non cammina neanche dalla folla ..). E comunque queste persone hanno diritto a fare la spesa, visto che spesso abitano in case senza neanche lo spazio per mettere 2 pacchi di pasta sotto il letto.

Già questo aspetto non l’avevate considerato, vero? Ci sono famiglie intere che abitano in bassi costituiti da 1 stanza e 1 bagno piccolo. Per loro è fisiologicamente impossibile stare chiusi tutto il giorno. E che devono fare? Allora o si vietava a migliaia di napoletani ( ma anche cinesi, nigerian, pakistani ecc..) di vivere nei bassi o si consente loro di uscire fuori ma ecco che si parla di pericolosissimi assembramenti, quando queste persone cercano solo il loro metro cubo di aria per sopravvivere.

Certo ci sono pure gli imbecilli, che hanno comportamenti volutamente irresponsabili, ma anche questi sono inevitabili perché la stupidità fa parte dell’essere umano come pure il buonismo che impera in Italia e vieta di sparare alla nuca a chi, infetto, sputa in faccia a un medico o a un carabiniere perché invitato a comportarsi in maniera civile.

Preoccupati? Lo siamo tutti, ma in misura diversa. Sicuramente lo sono di più quelli che prestano fede a ogni notizia o titolo che tirano fuori i giornali in questi giorni, spesso con toni deontologicamente scorretti. Perché titolare “strage in Campania con 14 morti in un giorno” è una cazzata, perché normalmente ne muoiono molti di più ogni giorno per tumore ed infarto e nessuno li conta, perchè alcuni di quei 14 avevano patologie pregresse e non si sa neanche se è stato il virus ad ucciderli, e perché un titolo così genera solo paura e serve solo ad invogliare ad aprire il testo online. Come pure scorretti sono quegli articoli che intervistano non meglio precisati dipendenti di un ospedale che parlano di “situazione incontrollabile”, senza dire chi sono questi dipendenti e a che titolo parlano.

Qui non si tratta di imbavagliare la stampa ma creare panico nella popolazione è da irresponsabili.  Ricordo l’intervista a Vito Faenza, un famoso giornalista, impegnato come corrispondente in Irpinia durante il terremoto del ’80. Racconta che trovandosi con alcuni colleghi in un paese in cui non si riuscivano a identificare le vittime di un crollo, vide il sindaco comporre i resti, alla meglio, nelle bare, e mettere sopra un nome a caso, tra i vari dispersi. Qualcuno gli chiese perché e lui rispose “Perché abbiano almeno il conforto di un corpo da piangere”. E NESSUNO scrisse questa verità che avrebbe causato solo dolore. Ci vuole buonsenso anche nell’evitare di contare i morti ogni dieci minuti o nel titolare “tutto chiuso”, senza specificare che tabaccai e market restano aperti, evitando così che la gente si precipiti in strada.

E allora? E allora niente. Dobbiamo restare a casa il più possibile, prendere tutte le precauzioni in nostro potere, non leggere report apocalittici, sperare che il Governo vari leggi realmente a sostegno di tutte le categorie, pregare Dio, Allah o Budda, quelli che credono, e finanche mettere in conto la dipartita nostra o di un nostro caro. Che, magari e purtroppo, ci sarebbe stata comunque. Che magari col virus non c’entra nulla.

Ricordate: uno dei modi per essere felici, è non tormentarsi quotidianamente per quegli eventi, ineluttabili, che non dipendono da noi.

p.s. se toccasse a me farmi la cartella, non fiori ma panini con porchetta ai frequentatori della mensa Caritas. Magari ho uno sconticino dei miei peccati lassù (o laggiù).

 

7 Commenti

  1. Salve Marco, alcuni aspetti sono condivisibili: la qualita’ del personale giornalistico e’ perfettamente in linea con il percepito della societa, per esempio. E’ l aver reso una variabile dipendente del mercato il cibo, ovviamente sempre le parti piu’ esposte, i lavoratori( seppur facente parte dell industria primaria, contadini, fornai, casari, conservier, trasformatori, pescatori, trasportatori, tecnologi, magazzinieri, scaffalisti, e pure cassieri) possono essere ” sacrificati, che non e’ piu’ sostenibile. Oggi tocca al settore della ristorazione, segmento associabile, come l industria della cultura, a genere voluttuoso e quindi sacrificabile in periodo di crisi. Ora o il mercato e’ capace di autoriformarsi, molto improbabile, affrontando in modo non keynesiano questa crisi, e dunque in grado di mettere in sicurezza questo suo segmento, la ristorazione, oppure questo settore vincendo un 30nnio di arretratezza ” gestionale”, si organizza si dota di istituti bilaterali, dismette atteggiamenti neocorporativi, si costituisce in organizzazione e riesce a sedersi al tavolo di qualsiasi trattativa; ma ora con queste emergenze e’ impossibile. Ci sara’ quindi, e per forza, un intervento statale che proroghera’, sosterra’, ritardera’, impegni e pagamenti di chi si trova in questa necessita’. Ho spesso sentito, durante tutta la mia vita, che il lavoro subordinato, pubblico o privato, a 1200€ al mese, fosse una iattura insostenibile, uno sfruttamento inimmaginabile. Quei lavoratori negli anni oltre pagarsi contributi sanitari, pensionistici e contributivi, si son pagati anche ammortizzatori sociali, cig fis etc, che gli permettono di stare in sicurezza a casa percependo comunque uno stipendio decurtato. E’ un tema diventato oramai irrimandabile, tanto che bastano un po di proteine e aminoacidi obbligati, a far saltare il banco.

  2. Carmine io spero che questo intervento statale si concretizzi nel dare liquidità senza troppe restrizioni per averla e non solo nel rimandare pagamenti, sennò ci sarà l’assalto ai forni e poi la ghigliottina. Il popolo finchè ha pane e divertimento sta buono (panem et circenses di latina memoria), ma come scarseggia il pane, c’è la rivoluzione ( maria antonietta ne sa qualcosa..).

I commenti sono chiusi.