Coronavirus, istruzioni per cuochi e ristoratori con il primo articolo: nulla sarà più come prima, rivincita della ristorazione di servizio e fine del frou frou


Coronavirus e cibo

L’asporto di Irina Stecchinella

Coronavirus, dopo 75 anni siamo di nuovo in guerra. Solo chi ha più di 80 anni oggi in Italia sa veramente cosa significa emergenza, vivere navigando a vista senza poter programmare nulla, sopportare privazioni e restrizioni. Certo, ci sono stati terremoti, alluvioni, le domeniche a piedi della crisi petrolifera, la guerra del Kippur che ritardò l’apertura delle scuole di 15 giorni (nessuno lo ha ricordato), la crisi dei missili a Cuba e quella di Lampedusa con Gheddafi, ma niente è paragonabile a quello che sta succedendo in questi giorni. Era dai tempi della seconda guerra mondiale che Nord e Sud non erano separati da collegamenti difficili.
L’invito a stare a casa cambia le nostre abitudini, mentre l’export italiano, la cosa di cui viviamo, altro che sovranismo, è in crisi perché la stupidità della paura non è prerogativa di un popolo, ma dell’uomo e dell’ignoranza. E dunque ai nostri vini è richiesto il certificato antivurs!!! Per dire.

Non è la sede di un piccolo sito enogastronomico come questo quella giusta per analizzare i risvolti antropologici di quello che sta accadendo. Chiedo solo dove sono finiti le bestie No Vax, gli animali sovranisti che volevano chiudere i confini e che adesso si lamentano perché siamo noi che non possiamo valicarli, noi gli untori del Pianeta senza dare l’impressione, almeno sino a ieri, di voler affrontare la cosa in modo serio, liberi dagli interessi di questa o quella lobby che da anni bloccano ogni vera riforma in Italia. Il paese del ricorso al Tar del Lazio, dove si chiudono i luoghi di cultura come prima misura lasciando aperti per un mese i focolai infettivi della movida nelle città dove deciene e decine di ragazzi stanno accalcati regalando al virus la sensazione di entrare in un casino gratis.

Se ai produttori di vino non resta altro che aspettare che la situazione si normalizzi (hanno già superato la crisi delle Torri Gemelle e quella del 2008-2009 tenendo duro  continuando ad investire) per il mondo del food cambierà tutto e ho l’impressione che nulla tornerà come prima.

1-Anzitutto torna al primo posto il vero motivo per cui esiste la ristorazione pubblica: essere un servizio. Allora questa fascia di osterie, trattorie, pizzerie, paninoteche devono solo attrezzarsi di fronte alla novità. E addirittura la crisi può diventare una opportunità se ci si riesce ad organizzare bene con l’asporto e la consegna a domicilio (in milanese si dice delivery). A Napoli questa è già prassi comune e consolidata da sempre: una telefonata e ti arriva tutto già bello e cucinato dalla trattoria e dalla pizzeria vicino l’ufficio o casa. E nelle case dove non si cucina più ma si continua a mangiare, pasta, pizza, pane continueranno come sempre, ad essere cibi primari. Si proprio quelli disprezzati e vituperati negli ultimi anni dai gastrofighetti nipotini di Marinetti. La crisi insomma può essere una opportunità per chi investe in comunicazione (sul web, oppure i classici volantini sotto le porte e sui banconi del bar) e servizio. Per gli anziani, per chi sta in quarantena.
Vale per il cucinato, ma anche per chi si organizza per consegnare a casa la spesa. Sul web ha fatto notizia la decisione di Irina Stecchinella di orientare la propria trattoria sui mitici Colli Bolognesi verso l’asporto.

2-Questa crisi, che sarà lunga, pone fine ai sogni di gloria della ristorazione d’avanguardia che non è attrezzata per questi servizi. Quegli chef che pensano di essere artisti, quelli che “si devono esprimere”, quelli che “io faccio Angus e Wagyu e non la pasta perché sono troppo bravo per abbassarmi al cliente” possono appendere la giacca al chiodo e magari passare in sala. E’ finita perché già stava finendo: la stagnazione in cui era sprofondato il nostro paese e la modifica dello stile di vita (donna a casa  e uomo al lavoro come negli anni ’60) aveva già segnato il ritorno indiscutibile ai piatti della tradizione restringendo in maniera impietosa tutto ciò che era frou frou, superfetazione, circo mediatico autoalimentato. Solamente i veri maestri, quelli che non hanno perso di vista il sentimento della gente ne usciranno più grandi. E’ finita perché il vecchio modo di fare le guide, che ha accompagnato la trionfale cavalcata degli anni ’90 era già finito di fatto. Lo aveva capito Bonilli nel lontano 2004 quando fondò Papero Giallo, lo ha capito bene solo la Michelin. Ci ha marciato la 50BestRestaurant.

3-Alla luce di queste considerazioni è perfettamente inutile insistere sul reset al 20 febbraio2020. Gli chef devono tornare cuochi, i gourmet devono tornare ad essere ristoranti di servizio. Dire di aver distanziato i tavoli e di osservare tutte le norme non serve a nulla in questo momento, non solo per la fobia del virus, ma anche perché la crisi crea la paura di spendere. Dieci milioni di partite Iva si guarderanno bene da spendere 200 o 300 euro per un pasto sino a quando la situazione non si sarà risolta e saranno tornati a fatturare.

Quello che stiamo attraversando è un ciclo: dopo Lorenzo il Magnifico è sempre il turno di Savonarola.
Vincerà, in questa regata, solo il timoniere che ha saputo anticipare la nuova direzione del vento.

8 Commenti

  1. Come al solito gli articoli di Luciano sono sempre precisi e aprono la mente anche a chi non vede al di la’ del proprio naso, osservazioni a 360 gradi che vanno oltre il mondo enogastronomico.
    Complimenti

  2. Ed i ristoratori “vecchio stampo”, seri, professionali, che magari fanno ristorazione da trent’anni, che hanno sempre garantito un servizio di buon livello e magari prodotti perlopiù locali….ecco, quelli non frou frou secondo lei cosa dovrebbero fare? Quelli che non appaiono, che non pubblicano immagini filtrate su Instagram, che sono a lavoro dalla mattina alle sette, che sono rimasti coerenti ed all’improvviso la loro offerta si è trasformata in “comfort food” senza nemmeno sapere cosa vuol dire…..ecco intendo quelli che “sotto vuoto” fanno le conserve….quelli lì che hanno il passaverdure….proprio quelli….dovrebbero comprare un paio di scooter e mandare tutto a domicilio? Ed i giovanissimi? Quelli che si sono avvicinati al mondo della ristorazione dopo aver girato cucine di mezzo mondo,dopo aver coltivato sogni? Magari aprendosi un localetto con il Tfr dei.genitori? Cosa consigliamo a questi ragazzi?

  3. Nessuno in questo momento ha una ricetta, del resto la sua domanda è un po’ ampia. Io mi limito a raccontare cià che vedo: la crisi resetterà moltissime situazioni e, come tutte le crisi profonde, non ci consentirà di tornare alla situazione precedente. Questa, con il blocco delle economie mondiali, è qualcosa di davvero eccezionale e per la prima volta planetaria. La prima a riprendersi sarà la ristorazione di servizio, quella senza orpelli che lei cita all’inizio mentre la prima a sparire sarà quella che già stava sparendo e che ormai coinvolgeva un giro ristretto di persone, quella autoreferente che non aveva ragione di essere se non per chi la faceva e che spesso si reggeva sulle marchette con le grandi aziende che brandizzavano e portavano in giro per congressi il soggetto. Il motivo è molto semplice: la pubblicità riparte solo dopo che la crisi è stata superata. C’è da auspicarsi che il nostro mondo oggiè molto più veloce e come tutto sta crollando in poche settimane, la notizia di una soluzione possa in qualche modo consentire un recupero più immediato di come avveniva nel passato. I

  4. Leggo spesso gli articoli che Lei scrive, con abilità ed onestà intellettuale, per cui credo che anche questa volta non ci siano dubbi sulla buona volontà di farci riflettere. Considerando che molti ristoratori come me sono in crisi, e non da ora, devono affrontare un nuovo momento, sicuramente lungo, ma con le armi di sempre, quelle che mi sento di ricordare: essere se stessi e ritrovarsi nella passione che ci contraddistingue; essere primitivi e recupere l’entusiasmo che ci ha spinti a fare questo mestiere.
    Non provare a riprendere il lavoro è cmq un salto nel buio, mentre recuperare un tessuto sociale così importante risulta “doveroso” per le future generazioni. Non parlo per ottimismo, ma perché superare un cancro ti dà la forza e la speranza necessaria a vivere una vita.. una sola, ricordatelo! Lo Stato questa volta non può deludere, non ci lascerà allo sbando! Forza! Ritroveremo quello stimolo che ci ha fatto aprire in posti imprevedibili, proponendo piatti estrosi e tipici, sfidando le statistiche di mercato. Solo così, con paziente lavoro sartoriale, ricostruiremo i nostri luoghi di ristorazione e non tralasceremo la grande filiera dei prodotti enogastronomici, anche quella è indispensabile per il nostro Grande Territorio. Vi abbraccio virtualmente e non mollate!

  5. Se solo voi giornalisti nn “aizzaste “ queste menti facendoli sentire star tutto questo nn succederebbe…in questi anni avete voi con il vs modo di fare di far dimenticare a chef e pizzaioli il loro lavoro…ora sono tutti star…ci sono ristoratori/pizzaioli che con umiltà lavorano e lo fanno bene altra tipologia pensa solo a lamentarsi a fare storie si Instagram e a pensare a consulenze/tv ma pensate a lavorare avete veramente stancato nn ne possiamo più…ma la colpa è di voi giornalisti/pseudo blogger see loro sono diventati così…non sono star ma sono cuochi e pizzaioli,le star sono altri quelli che salvano la vita….voi che scrivete pensate a nn farò montare la testa!!

    1. Bah, la colpa è dei giornalisti? Questa frase mi ricorda molto quella delle mamme che dicono che la colpa non è dei figli ma degli amici dei figli. La tv dove la mettiamo, tanto per dire una cosa?

  6. Aprire vuol dire lavorare in perdita e solo Dio sa per quanto tempo:per tutti sarà come avere un mutuo da pagare mensilmente sperando quanto prima in un pareggio di bilancio.Sopravvive chi non aveva debiti pregressi e chi,non avendo risorse proprie,riesce a trovare investitori che credono nel suo progetto FM

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