Cucina italiana patrimonio dell umanità? C’è poco da festeggiare
di Marco Contursi
L’Unesco celebra la cucina italiana come patrimonio dell’Unesco. Molti i giornalisti e tanti foodblogger in piedi ad applaudire come pecoroni e a farci su mille post e ricami.. Grande….che Meraviglia…..Benissimo.
Io non sono così ottimista.
Ma ci rendiamo conto che sta scomparendo la cucina tradizionale italiana? Un lento ed inesorabile oblio. E tutti fanno finta di niente.
Una prova? Andate nelle trattorie (quelle ancora imaste) e cosa vedete? Persone più che adulte, in alcuni casi, anziane, dietro ai fornelli e gente altrettanto avanti con gli anni ai tavoli. Soprattutto nei piccoli centri, dove resiste una offerta non turistica, i titolari sono persone che stanno lì lì per lasciare per raggiunti limiti di età e nessuno che ne prenda le redini in mano.
Soffritto, turcinelli, Stigghiole, stoccafisso, faraona alla leccarda, quinto quarto, legumi, i giovani mica mangiano ste cose. Con poche, pochissime eccezioni.
Inoltre basta farsi un giro un giorno qualsiasi in una città qualsiasi per notare una cosa. Io ad esempio venerdi 12 dicembre ho fatto un giro per Pompei e Salerno. Allora, ristorante di Pompei vuoto a pranzo, idem uno di sera tra Pompei e Scafati, pizzeria al centro di Salerno, con le luci di artista, 8 clienti di sera. Mc Donald’s e sushi invece pieni. Per non parlare dell’odore di cipolla e spezie che ha soppiantato nei centri storici di diverse città, Salerno in primis, quello del ragù classico.
Poi devo sentire pure Carlo Petrini che dice che “ogni migrante che si integra nella società è portatore di un elemento di diversità che arricchisce, non indebolisce”.
Un momento, arricchisce se non prevarica, ma non vedo possibilità di arricchimento nei mille sushi alla you can eat che spuntano come funghi, nei kebab a 5 euro che scoppiano di roba, o nei mc donald’s sempre pieni, dove i genitori che si scocciano di cucinare portano i loro figli.
Che poi, le cronache ci raccontano spesso di condizioni igieniche discutibili in queste attività gestite da stranieri, con sequestri e denunce.
Andate a vedere le classifiche dei piatti più consegnati a casa dalle società di delivery e troverete pokè, ravioli cinesi, smash burgher, e solo dopo pizze, piadine e altre specialità italiane.
D’altronde quante donne tra i 20 e i 45 anni, sanno fare la pasta fresca, o in occasione delle festività preparano piatti della tradizione locale come pasticci, bolliti, dolci? Quante la mattina fanno fare ai loro figli colazione con crostate e torte fatte in casa? Ve lo dico io, le contiamo sulle dita di una mano. La scusa è sempre la mancanza di tempo, che in realtà nasconde il non saperlo fare, perché nessuno glielo ha insegnato. E quindi questa generazione di bambini, cresciuti a bastoncini cotti nel microonde e patatine nella friggitrice ad aria, dove andrà a mangiare una volta cresciuti? Nei fast food, nei kebabbari o dal giapponese a 14.99 e ti abboffi di sushi e sashimi.
L’unico piatto italiano che va alla grande è, ancora, la pizza. Ma con una diffusione di quella napoletana che però a modo suo, va comunque a soppiantare le specialità locali. Cioè, se vado a Rimini io voglio la piadina non la ruota di carro napoletana, se vado a Palermo lo sfincione, non la margherita a canotto e via dicendo..
Il piatto che unisce l’Italia è la pasta, non la pizza. Perché la pasta, ossia il primo piatto, mantiene in ogni regione le sue caratteristiche peculiari, ad iniziare dal formato di pasta, per poi passare ai diversi condimenti.
Tutte ste pizzerie napoletane che aprono in ogni dove, a modo loro, comunque portano una omologazione dell’offerta che soppianta le realtà locali, forte anche del fatto che una pizza si può consegnare a casa, diversamente da un primo piatto che arriverebbe in condizioni non ottimali. Pochissimi infatti ordinano a casa primi piatti, a differenza di pizze, sushi e panini. Che poi anche qui si potrebbe dire, perché la vera pizza napoletana, si mangia caldissima perché una volta raffreddata diventa gommosa e non si presta ad essere riscaldata, a differenza di quella gragnanese e sorrentina, più panosa.
Le osterie, vere depositarie della cultura gastronomica regionale italiana stanno scomparendo, perché non hanno i titolari persone che continuino la attività e perché la clientela giovane, che è quella che esce di più, è orientata verso altre cucine, giapponese in primis. Tra 10-15 anni cosa resterà dei piatti che hanno reso la cucina italiana patrimoniodell’Umanità?
Anche in quella stellata vedo sempre più spesso rimandi a quella francese o a quella orientale. E poi, tutto sto vegetale, come se maiale, pollo, coniglio fossero cose da evitare. Giusto per dire, la biodiversità dei salumi italiani non ha eguali al mondo, idem per i formaggi. Charles de Gaulle disse della Francia: “Come si può governare un paese che ha duecentoquarantasei varietà di formaggio?” Bene, l’Italia ne vanta circa 500 di cui oltre 300 con un marchio di tutela riconosciuto.
Quindi prima di fare applausi a scena aperta, andate a farvi un giro per osterie, domandate alle donne dai 20 ai 45 anni se sanno cosa è una farinata o una cotognata, vedete quanti ragazzi mangiano un panino con polpette e melanzane a funghetto e quanti un kebab o uno smash burger.
Magari qualche dubbio vi viene che c’è poco da festeggiare, se diamo uno sguardo ad un futuro, ormai prossimo..

Incommentabile: un’accozzaglia confusa di luoghi comuni e affermazioni buttate lì. Ma il vero capolavoro è il sessismo d’antan. In diversi passaggi si sostiene che le donne non sappiano più cucinare certi piatti. Curioso: degli uomini, neanche una parola. Evidentemente per loro la competenza culinaria è un dono divino, mentre per le donne un dovere smarrito.
Un pensiero stanco, che riemerge puntuale come le cattive abitudini, e che ignora volutamente un fatto semplice: la cucina, come la società, cambia, evolve, si contamina. Ma no, meglio rifugiarsi nella nostalgia e nel pregiudizio. Detto questo, anche dedicare altre righe a simili sciocchezze sarebbe tempo sprecato.
È difficile parlare con chi confonde l’uguaglianza dei diritti con l’uguaglianza dei compiti all’interno di una società, questo femminismo 2.0 mi fa sorridere, in modo amaro. La donna è sempre stata la colonna portante della famiglia, nonché la depositaria della cultura gastronomica locale, un ruolo che non sminuisce affatto né il suo diritto di lavorare né l’uguaglianza assoluta con l’uomo che nessuno mette in discussione, mentre metto in discussione questo voler esasperare le rivendicazioni di diritti che invece si confondono con il non più essere il perno della famiglia.
Vabbè è na stronzata questa figlia del patriarcato e te lo dico da uomo.come fare na pasta lo puoi chiedere anche ad un ragazzo
E chi dice che il patriarcato sia una cosa sbagliata, cioè un modello familiare che non vede necessariamente come volete intendere voi la prevaricazione dell’uomo sulla donna ma dove c’era una divisione dei ruoli che portava comunque serenità in famiglia perché i figli erano seguiti e soprattutto c’era quell’opera preziosa di trasmissione dei saperi gastronomici di madre in figlia che oggi invece viene meno. Mia madre ha sempre lavorato, insegnante di italiano, ma aveva il tempo per cucinare e le piaceva farlo sfruttando il ricettario che le aveva lasciato mia nonna nessuna prevaricazione nessun costringimento a stare in casa, ma il piacere di cucinare per i propri cari.
@Annamaria, “la cucina, come la società cambia, evolve, si contamina”.
Indubbiamente.
Ma vede, “il vero capolavoro” è scambiare un grido d’amore, d’affetto e nostalgia, per “sessismo d’antan”, se si afferma che le nostre tradizioni culinarie familiari non sono più state tramandate dalle madri alle figlie non è evoluzione, né tantomeno sessimo, non è pensare di confinare la donna in cucina, è realizzare tristemente che la donna non solo non intende più mettere le mani in pasta ma nemmeno più mettere un piede in cucina.
Oh, ma certo, brindiamo tutti all’UNESCO che incorona la cucina italiana patrimonio dell’umanità! Peccato che sia come premiare un defunto per la sua vitalità. Bravo Marco Contursi hai inchiodato la farsa: mentre i food blogger si spellano le mani in applausi da pecoroni, le osterie autentiche crepano come mosche, gestite da nonni stanchi senza un erede che si degni di raccogliere il testimone. I giovani? Ah, loro snobbano soffritti, quinto quarto e legumi – roba da dinosauri – per ingozzarsi di sushi all-you-can-eat e kebab strabordanti, come se il vero lusso fosse un’indigestione a basso costo. Pokè, smash burger e ravioli cinesi in pole position, mentre le specialità italiane raccolgono le briciole. E sui migranti, touché: l'”arricchimento” è una barzelletta se significa sequestri igienici a raffica e un’invasione di catene globali che schiacciano tutto – altro che diversità, è omologazione con contorno di rischi sanitari! Quanto alle famiglie, poveretti: quante mamme (e ok, pure papà, ma diciamolo, la catena di trasmissione è spesso rosa) tra i 20 e 45 anni sanno impastare pasta fresca o sfornare dolci tradizionali? Zero, o quasi. Ormai nessuno cucina più, perché mamma e papà sgobbano 8 ore che magicamente lievitano a 9 o 10, weekend inclusi, con stipendi da fame che a malapena coprono il mutuo, figuriamoci il tempo per un brodo decente. La solita scusa del “mancanza di tempo” maschera un abisso: zero nozioni, zero conoscenza, zero insegnamenti di ricette – chi diavolo dovrebbe passare il sapere ai pargoli se i genitori sono zombie esausti? Risultato: bimbi allevati a bastoncini da microonde e patatine da friggitrice ad aria, destinati a diventare adulti che idolatrano McDonald’s e giapponesi a 14,99 euro. La pizza napoletana? Un’icona, sì, ma un tiranno che colonizza tutto, spazzando via piadine romagnole o sfincioni siciliani – evviva l’uniformità, no? E non parliamo dei martiri in cucina e sala: bassi salari da elemosina, stress da manicomio, organici cronici da fame – turni da schiavi, ritmi da galera, compensi da barzelletta. Alzate quegli stipendi, maledizione, o chi resterà a difendere il fortino? Invece di questi applausi da idioti, sveglia: salviamo osterie, i 500 formaggi da record e salumi da urlo. Articolo da standing ovation, Marco – ci hai sbattuto in faccia la verità, e c’è zero da festeggiare se non cambiamo rotta, prima che l’Italia diventi un fast food globale.
Le vittorie comunque danno energia. Sinner ha fatto lievitare interesse ed iscrizione a corsi mai visti nel tennis.Lo stesso accadrà con la cucina italiana a cominciare dagli chef stellati e non. FRANCESCO
GRANDE MARCO SEMPRE IMPECCABILE E VERITIERO, CONDIVIDO TUTTO , GL’ ANGLOSASSONI E FALSI JAPAN A GOGO CI STANNO DISTRUGGENDO …..
Ah beh, lo diceva Vergani esattamente 72 anni fa. Vediamo se stavolta il de profundis è appropriato o, ancora una volta, la cucina continuerà ad evolvere nell’i stabcabile ibridazione, con buona pace dei corvi.
A mio avviso, se la stampa gastronomica, negli anni addietro, avesse spinto verso una valorizzazione della cucina tradizionale regionale (contrastando le mode globali che hanno invaso le città) e avesse creato hype sull’educazione alimentare, regionale, rendendola “fica” e un pò più alla moda, ad oggi non ci sarebbero cosi tante famiglie prive di educazione alimentare, scegliendo per sé stessi ed i propri figli junk food sia a casa che nelle uscite.
Per l’annichilimento delle offerte, in pizzeria è chiaro a molti che da quando l’unesco ha dichiarato l’arte del pizzaiolo napoletano patrimonio immateriale dell’umanità, è stata fatta una campagna eccessiva verso questo prodotto apportando non solo benefici ma l’appiattimento del reparto. Sarà cosi anche per la cucina italiana? Tutti a fare carbonara (ah ma è già cosi!) A discapito della vera cucina regionale, unica vera tradizione italiana.
concordo in pieno.
Per tutti quelli che non hanno compreso il mio articolo, dicendo che l Unesco aveva detto altro, ma altro cosa??? La motivazione Unesco è la seguente: “Un mix culturale e sociale di tradizioni culinarie, questo elemento è associato all’uso di materie prime e tecniche di preparazione artigianale. È un’attività comunitaria che enfatizza l’intimità con il cibo, il rispetto per gli ingredienti e i momenti condivisi a tavola. La pratica affonda le sue radici in ricette anti-spreco e nella trasmissione di sapori, competenze e ricordi attraverso le generazioni. È un mezzo per entrare in contatto con la famiglia e la comunità, sia a casa, a scuola o attraverso feste, cerimonie e incontri sociali.”. Bene, io nel mio articolo parlo che sono venute meno le preparazioni artigianali storiche, soprattutto ad opera della donna che ne era custode, da cui deriva implicitamente che1)scomparsa degli ingredienti perchè sushi e kebab hanno ingredienti diversi dai nostri tradizionali 2) le ricette tradizionali antispreco stanno scomparendo 3)scompare la trasmissione generazionale dei sapori che tradizionalmente era portata avanti dalle donne. 4)scompare il contatto con la famiglia e gli incontri sociali perche i pranzi erano proprio questo, riunione di persone e convivialità, mentre un panino consumato in auto dopo essere stati ad un mac Drive non è tutto questo. Quindi, il mio articolo è o non è pertinente???? Dicevano i latini “intelligenti pauca”, ma qui si deve sempre spiegare tutto e con discorsi enormi…
p.s. Si continua a confodere da parte di alcuni il cucinare per la famiglia come un atto di sottomissione….cucinare è un atto di amore, che lo facessero alcune donne che un tempo erano sottomesse, non cambia di una virgola la cosa.Mentre cambia se alcune donne non lo fanno piu credendo così di portare avanti una battaglia in favore dei loro diritti, diritti che nessuno mette in discussione, ma che non c’entrano nulla col cucinare per la famiglia.
È il momento che sul mio esempio gli uomini si accorcino le maniche e mani ……in pasta. FRANCESCO