Pizza napoletana, ecco la storia dei disciplinari dalle origini ai giorni nostri


Pizza margherita

Pizza margherita

Disciplinare Pizza Napoletana.
Domenica sul Mattino abbiamo curto un inserto sulla pizza napoletane e le Olimpiadi dell’Avpn. Ecco il pezzo che abbiamo chiesto a Tommaso Esposito per illustrarci la genesi e i dettagli dei disciplinari adesso che, come annunciato poco fa, quello dell’Avpn sarà cambiato.

di Tommaso Esposito

Disciplinare Pizza Napoletana. Sono passati meno di quaranta anni, ma sembra un secolo da quando i diciassette saggi della pizza napoletana si riunirono per costituire l’AVPN Associazione Verace Pizza Napoletana, definire lo statuto e soprattutto redigere la prima versione di un disciplinare della pizza napoletana autentica, verace.

La pattuglia di pizzaiuoli era capitanata da Antonio Pace di “Ciro” a Santa Brigida, Antonio Aversano, del “Don Salvatore” a Mergellina e Lello Surace, di “Mattozzi” a piazza Carità. Pian Piano arrivarono le prime adesioni delle pizzerie come quelle di “Lombardi” a Santa Chiara, “Ciro” al Borgo Marinari, “Il Ragno d’Oro” al Vomero, “Alba” di piazza Immacolata, “Capasso” alla Porta S. Gennaro, “Cafasso” in via Giulio Cesare, “Trianon” in via Pietro Colletta, “Umberto” di via Alabardieri, “Cantanapoli” in via Chiatamone, “Gennaro” a Bagnoli, “La Notizia” a via Caravaggio, “La Caraffa”. Erano, insomma, gli anni in cui già si percepiva, anticipando il futuro, che la pizza non era soltanto un prodotto artigianale, ma un vero e proprio cibo identitario la cui tradizione non poteva più essere affidata all’esperienza e ai saperi di ogni singolo pizzaiuolo.

Del resto, la storia ci insegna che la pizza nasce da un semplice impasto: farina, lievito, sale, acqua. Così come si è sempre fatto il pane. Sin dall’antichità in Cina, in Egitto come ad Atene, a Roma, a Pompei. Il lievito fu scoperto per caso grazie alla contaminazione di lactobacilli provenienti da qualche pasta fermentata. Si dice che furono i panettieri di Firenze che per primi lo usarono diffusamente nella panificazione e cercarono di piazzarlo sul mercato. A Napoli il lievito fu detto crìsceto. Soltanto nel Vocabolario dell’Abate Galiani è anche detto llevàto.

È Raffele D’Ambra, poi, che nel suo dizionario del dialetto napoletano di metà ‘800 ci spiega come si fa il pane a Napoli: «La farina si abburatta separandola dalla crusca e dal tritello. Si impasta con lievito, si mantrugia, si rimena, si panifica, si dà forme. Si lascia lievitare. Poi si cuoce in forno. Se ne può ricavare così il pane de sciore, janco e cresciuto, co ll’uocchie, senza uocchie, spognuso. Oppure, quando non si è separata la crusca dal fior di farina, pane niro», scuro, quello che oggi chiamiamo integrale. Nessuno mette in dubbio che anche la pizza abbia avuto simili origini. Tutto sta già scritto nel nome. Pizza dal greco pièzo che vuol dire premere schiacciare. Ma anche dal latino pinso che significa la stessa cosa e fa dire pista, cioè schiacciata. E pinza, pitta, pizza nascono tutte così: dall’impasto di acqua, lievito, farina; schiacciato e cotto nel forno proprio quando si fa il pane. «Famme la pizza quanno faje lo pane» così canta un’antica villanella ripresa dallo Sgruttendio nel 1600.

Disciplinare Pizza Napoletana.Dunque, anche la pizza avrà avuto, a seconda dell’impasto, oltre al disco ammaccato, un cornicione con le stesse caratteristiche del pane descritto dal D’Ambra: cu ll’uocchie, senza uocchie, spugnuso. Un buon crisceto, e talvolta il cosiddetto “impasto muollo” che oggi si direbbe altamente idratato determinavano la sofficità della pizza. Ce lo testimonia Basilio Puoti nel 1841: «Il crisceto è quella pasta che si fa andare in acidità affinché messa in quella fatta pel pane ne produca celermente la fermentazione». Prima dell’avvento del lievito di birra i pizzaiuoli usavano crìsceto e pasta di riporto. Lasciavano nella madia la massa dell’impasto da cui di volta in volta staccavano i panetti. Ecco questa era il bagaglio delle conoscenze empiriche che i saggi dell’AVPN fecero confluire nella stesura del primo disciplinare dell’Associazione.

È costituito da sei articoli fondamentali con numerosi commi che nei minimi particolari definiscono la “pizza”, descrivono gli ingredienti e le tecniche di stesura, guarnizione e cottura. La “verace pizza napoletana” viene identificata soltanto nella Marinara (pomodoro, olio, origano e aglio) e nella Margherita (pomodoro, olio, mozzarella o fior di latte, formaggio grattugiato e basilico). Dopo la cottura la pizza si deve presentare tondeggiante, con diametro variabile che non deve superare 35 cm, con il bordo rialzato, il cornicione, e con la parte centrale coperta dai condimenti. Il cornicione dovrà essere di 1-2 cm, regolare, gonfio, privo di bolle e bruciature e di colore dorato. Al gusto la pizza verace deve essere morbida, elastica, facilmente piegabile a libretto, dal sapore caratteristico derivante dal cornicione che presenta il tipico sapore del pane ben cresciuto e ben cotto, mescolato al sapore acidulo del pomodoro che persa la sola acqua in eccesso resterà denso e consistente dall’aroma, rispettivamente, dell’origano, dell’aglio o del basilico e al sapore della mozzarella cotta. Il disciplinare descrive poi le materie prime: la farina deve essere di tipo 0 o 00; il lievito può essere quello di birra o il naturale, il crìscito.

La tecnica dell’impasto è quella diretta con una sequenza precisa di mescolamento degli ingredienti. La lievitazione deve avvenire entro le otto ore prima in massa e poi, dopo lo staglio, nelle casse dove vengono riposti i singoli panetti, che non devono superare i 250 g. Anche la stesura e la guarnizione devono seguire un ritualismo preciso e la cottura deve avvenire nel forno a legna. Questo disciplinare AVPN aprì la strada a quello della “Pizza Napoletana STG” pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 2010. Hanno molte cose in comune, e poche sono le differenze. Ma, mentre il disciplinare dell’Associazione Verace Pizza ha avuto l’adesione di tutte le pizzerie aderenti in ogni parte del mondo, quello STG è rimasto in pratica disatteso, soprattutto per la mancata creazione di un organismo associativo dei pizzaioli e per alcune difficoltà attuative. Antonio Pace, che ancora oggi sin dalla fondazione è il Presidente dell’AVPN ricorda ancora l’importanza di quella scelta che portò alla definizione del primo disciplinare.

Eppure, guarda con occhio particolare alle innovazioni che sono avvenute in ogni settore del mondo pizza dal 1984. La qualità delle farine è migliorata notevolmente. Secondo lui, oggi le farine di tipo 0 hanno caratteristiche diverse da allora, esistono tecniche di lievitazione più sofisticate; i prodotti per la guarnizione hanno ampliato le tipologie di pizza; le cotture utilizzano non solo la legna, perché sono nati forni a gas ed elettrici che riescono, grazie sempre alla manualità e artigianalità del fornaio, figura importante quanto quella del pizzaiuolo, a realizzare un prodotto eccellente che non trasgredisce in alcun modo i canoni e i precetti della tradizione più ortodossa. Insomma, per lui sono maturi i tempi di una revisione e di un aggiornamento del disciplinare.

Disciplinare Pizza Napoletana