Duca Sanfelice 1993 Cirò rosso riserva doc


Nicodemo Librandi

LIBRANDI

Uva: gaglioppo
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno

Negli ultimi mesi si è scatenato un ampio dibattito su questa storica denominazione calabrese, una visibilità forse mai avuta prima, nemmeno nel più affollato e fornitissimo dei supermercati di germanica ispirazione. Il Cirò sulla bocca di tutti, giornalisti e presunti tali, cronisti afecionados e di spietato cinismo, un vortice mediatico a cui non si può che guardare con attenzione e riflessione, per quello che ha voluto sollevare, sottolineare e, in più di una occasione, aborrire.

 Un turbinare nel quale non desidero certo entrare, lasciando il dovuto spazio a menti sicuramente più ispirate della mia, ma che non posso lasciarmi girare intorno passivamente, fosse solo per il lavoro che faccio.

Così inaspettamente, mi tocca raccontare ad un ospite olandese cosa stia accadendo lì in terra cirotana, e facendolo nel più suggestivo dei momenti immaginabili, tra una bottiglia di A’ Vita 2008 e questo delizioso, direi superbo, Duca SanFelice ’93, senza dubbio alcuno tra i più sottili ed al tempo stesso eleganti vini rossi mai bevuti prima di adesso. Tutto nasce per caso, sull’abbinamento ad un piatto di Oliver Glowig che amo molto, coda d’astice con lenticchie di leonforte e fave di cacao, dove vanno via d’amore e d’accordo due bicchieri del gradevole rosso di Francesco De Franco.
A questo punto, pur convinto dalla leggiadrìa e dalla buona capacità di reggere l’accostamento del primo mi si avanzano seri dubbi sulla longevità del gaglioppo, di questa tipologia di vini per altro proveniente da una terra del vino, a detta del commensale, di cui giammai ne avea sentito parlare prima: entra così in scena il secondo, che già dopo un breve tempo di ossigenazione mostra uno stampo gustolfattivo particolarmente suggestivo: il colore pare arrivare da un tempo lontanissimo, granato tenue con nette sfumature  aranciate; Il naso è subito salino, il legno solo un ricordo fugace, il frutto dissolto e lievemente caramellato, appena accennate le nuances speziate. In bocca ci arriva in punta di piedi, sottile, delicato, l’alcol si sarà perso da qualche parte, non la lineare bevibilità, avvolgente, per niente statica, persuasiva. Un vino con un’anima autentica, di una terra unica, quella stessa anima che stanno biecamente tentando di strappare via al Cirò per offrirla ad un buco nero che non porterà da nessuna da parte se non verso quella omologazione ormai smentita già da anni e che solo menti stolte non vogliono vedere.

Il Cirò con molta probabilità non sarà mai protagonista della mia carta dei vini, anzi su questo punto non esito a mettere le mani avanti, e non per snobismo professionale, tutt’altro. Ho avuto per molto tempo la pazienza di aspettare e cercare anche nel mare magnum ionico quelle due-tre referenze giuste per dare l’idea di come non debba essere per forza scontata l’offerta in una lista vini: mi sono fidato nel tempo della storia degli Ippolito, della voglia di fare di Francesco De Franco ma non posso negare che in principio era solo Librandi, il suo Gravello rimane un riferimento importante se non del tutto irresistibile, e solo la fortuna di ritrovarmi in cantina una verticale storica di Duca San Felice giocata tra una decina di vendemmie tra il ’90 e il ‘00 ha potuto aiutarmi a comprendere meglio tutto il potenziale di un vitigno, il Gaglioppo, capace di attraversare  il tempo con disarmante scioltezza e rappresentare con la storia di ognuno di questi produttori un arma in più per raccontare meglio un territorio tra i più vocati e storici del sud Italia. Ecco, di questo sento di aver bisogno assoluto, di bottiglie da proporre come un messaggio e non come esca, di vini plausibili e non di ennesimi, banalissimi succhi, o peggio ancora concentrati, di frutta.

Questa scheda è di Angelo Di Costanzo

Scheda del 9 febbraio 1997. Non pensavo di dover rimpiangere la decisione di aprire l’ultima bottiglia di 1993, una cassa che il mio caro collega dell’Ansa Martino Iannone mi regalò nel 1999. E invece questo Gaglioppo ha assunto la posizione fisiologica di quelle persone giunte all’età più avanzata che riescono a fermare il tempo e a restare sempre uguali a se stesse, anzi, ora scrivo una osservazione che può sembrare strana, la freschezza è ancora più marcata dell’assaggio di due anni fa.
Una bottiglia che davvero mi dispiace non aver condiviso con gli amici impegnati in questo sito: il naso è quello tabaccoso e cioccolatoso di sempre, con lievi sentori di frutta rossa sotto spirito, grande intensità, ancora più forte persistenza. Al palato il vino appare come scarnificato dal frutto, ha solo questa potente freschezza oserei dire intatta, lo scheletro dei grandi vini come la definisce Franco Biondi Santi: se solo, confermo quanto scritto, si fosse scelto un tappo più importante, sicuramente il vino avrebbe avuto un tono ancora superiore e pimpante. La beva è molto lunga, intensa, persistente, smentisce il colore mattone poco concentrato tipico delle lavorazioni tradizionali del Gaglioppo, il vitigno che, con l’Aglianico e il Nebbiolo, costituisce il mio tridente d’assalto al cielo.
Non c’è stanchezza in questo bicchiere, segno della superiorità del millesimo rispetto al 91 giunto in grande affanno al compimento del tredicesimo anno. La sua fine è stata comunque degna della sua avventura grazie al pecorino crotonese del mio amico Roberto Ceraudo che lo ha accompagnato in pompa magna nel suo ultimo viaggio. Ho festeggiato pensando ai colori della Calabria il riconoscimento dell’Associazione Città del Vino di ieri al Campidoglio, il mio sonoro pernacchio alla signora di Samarcanda dove potrò tornare. A piazza Reghistan, col mio Gaglioppo pensato da Severino.

Assaggio del 23 aprile 2005. Una beva difficile, questo 1993 di Librandi ancora firmato da Severino Garofano. Anzitutto il gaglioppo impone il rito dell’ossigenazione, come tutti i vini antichi. Bisogna dunque aprirlo, il tappo indica che l’azienda non considerava questo il suo vino di punta,  versarlo dolcemente nel decanter ed aspettare almeno una ventina di minuti.
Così la sensazione di ossidato, tipica di questo vitigno, lentamente svanisce. Il rosso presenta quelle caratteristiche considerate superate, il colore è un granato con evidenti lampi aranciati, non particolarmente concentrato, al naso c’è tanta frutta cotta, meglio matura, tabacco e cacao. In bocca il vino presenta una spalla acida ancora vivace ma non irrefrenabile, segno di un declino ormai iniziato, ci sono persistenza, intensità e persistenza.
Siamo davvero lontani anni luce dai vini marmellata della seconda metà degli anni ’90, qui il bicchiere è decisamente tipico,  senza vie di mezzo. Noi lo vediamo bene sulle carni alla brace, oppure da meditazione, negli occhi il mare e gli olivi di Cirò Marina e di Melissa.

Sede a Cirò Marina, Contrada San Gennaro. Tel. 0962.31518, fax 0962.370542. Sito: www.librandi.it. Enologo: Donato Lanati. Ettari: 230 di proprietà. Bottiglie prodotte: 2.100.000. Vitigni: mantonico, greco, chardonnay, sauvignon, gaglioppo, magliocco, cabernet sauvignon

2 Commenti

  1. “Il Cirò con molta probabilità non sarà mai protagonista della mia carta dei vini, anzi su questo punto non esito a mettere le mani avanti, e non per snobismo professionale, tutt’altro”, lo dicevano anche i sommelier di ristoranti stellati dell’antica Grecia, poi si sono dovuti ricredere, fin tanto che questo vino è diventato il premio per i vincitori delle olimpiadi: Cirò al posto di medaglie d’oro… fantastico.

    A parte il “battutismo” se il ministero non recepisce il ricorso di alcuni produttori illuminati il Cirò muore qui, sul finire dell’estate, dopo tanta visibilità, come le canzoncine tipo “Dammi tre parole, sole, cuore, amore”.
    Oppure rinasce grazie ai produttori “reazionari” che potranno dire: questo è il Cirò, il resto è una “medaglia imbevibile”.

  2. Caro Giovanni, del passato val bene ricercare e valorizzare le radici, non sperare di campare per sempre di rendita… :-)

    Remiamo tutti dalla stessa parte, la mia è una mera considerazione, realista e tangibile, come la volontà, ferma, di non lasciar stravolgere passivamente l’ennesimo disciplinare alla mercè del qualunquismo enoico.

    Attendiamo…

I commenti sono chiusi.