Fivi Bologna: buona la prima, alcuni assaggi alternatvi


Ringadora

Ringadora

di Marco Bellentani

Con clamore e baccano, il Mercato dei Vignaioli, come si sa, si è spostato da quest’anno in quel di Bologna Fiere: gigantesco complesso della città felsinea. L’impressione è che la fiera ne abbia tratto giovamento, pur tra qualche ruggine da oliare nell’organizzazione (il ghiaccio ai vignaioli, la fila all’interno degli stand per i carrelli, il numero troppo elevato di stand). I grandi spazi di Bologna Fiere hanno parzialmente riportato l’utente a godere di assaggi in libertà, relax senza calche o spintoni, evitato lunghe code al di fuori del complesso e goduto, tutto sommato, di una buona fluidità e reperibilità degli standisti. Promosso dunque il Fivi a Bologna, contro un recente passato ormai di insostenibilità.

Fivi Bologna

Fivi Bologna

Detto questo, dopo tanti anni di assaggi, non è facile non ripetersi e parlare dei soliti nomi, ma quest’anno abbiamo scelto per lo più di serpeggiare tra case emergenti, nomi poco noti, possibili outsider. Detto che, ovviamente, sono state diverse le delusioni qualche nome da appuntarsi per il futuro o per una visita in cantina è saltato fuori.

Fivi Bologna

Fivi Bologna

E’ l’esempio di Gentile Cascina con il suo Timorasso ad elevata estrazione di profumi, passando dallo splendido pinot bianco dei ragazzi di Bergmannoff, oppure dagli umbri Terracruda che oltre al bianchetto del Metauro, offrono alcuni vitigni autoctoni da scoprire come il Garofanata o il risucito Incorcio Bruni. Spettacolare, poi, il Nebbiolo di Montagna di Terrazzi Alti, nella versione 2018 – un signora tra lo sprovveduto e il fubrone – che ti scuce un 40 euro di diritto: bottiglia davvero esemplare. Le reggiane Ferretti e i loro vini naturali, i modenesi di Podere Saliceto, per la verità questa una conferma, con versioni tutte eccelse sia nel bianco, Bi-Fri (trebbiano modenese e sauvignon) o nel Malbolle, sia nei lambrusco schietti e veraci come il Falistra. Da segnare anche il Pinot Nero di Tenuta Volpare, 10 mesi di barrique per un “blend di vigneti” irti sulle alture di Trenoto: freschezza, acidità, ciò che dovrebbe essere sempre il Pinot Nero. Si prosegue con Barroero, nelle Langhe, con il tentativo ben riuscito di ri – nobilitare il moscato d’Asti in versione secca operazione ben riuscita anche dai vicini Bongioanni: un tumulto enologico contro gli aromatici internazionali che sinceramente ci è piaciuto sia nella filosofia che nel bicchiere. Finiamo con tra nomi più conosciuti: l’ormai magistrale Moreno Ferlat, con i suoi splendidi vini di Cormons (GO) tra i migliori vignaioli italiani per chi vi scrive, il maestro Terenzuola, dai Colli di Luni e non solo e l’altro alfiere del vino biodinamico di classe, elegante e impeccabile, al secolo Daniele Lencioni di Tenuta Mareli: uno dei sangiovesi più lucenti di tutta la Toscana Nord Ovest e non solo.