Comunicare il cibo e il vino nella nuova era degli influencer


Chiara Ferragni

Chiara Ferragni

Alla Dom Perignon sono rimasti davvero sorpresi: è la prima volta che non c’è alcun interesse per l’assaggio da parte della comitiva internazionale. E in effetti vicino al millesimato 2008 e al Plenitude 2000 ci eravamo fermati solo in tre su dodici. Gli altri nove su e giù a sgambettare per l’Abbazia, tra le vigne e nei locali per catturare foto, proprio così: catturare foto. Immagini, particolari che colpiscano chi le vede e lo spingano a mettere il like. Su Facebook? No, su Instragram.
Così, dopo la crisi del cartaceo, la contrazione dei blog, il boom di Facebook, uno dei marchi più desiderati al mondo punta direttamente sugli influencer di Instagram, proprio come ha fatto la moda.
Non importa conoscere o meno la materia, la comunicazione visiva prende il sopravvento e per un Robert Parker che mette cento/cento ci sono adesso decine, forse centinaia, di influencer in grado con un post di spostare il mercato allo stesso modo.
E questo vale non solo per i prodotti di basso costo, ma anche per quelli di lusso.
In un mondo sempre più veloce, le discussioni sulle guide appaiono argomenti da archeologi e infatti sinora fanno calma piatta, o quasi, nelle letture dal almeno tre anni (ad eccezione della Michelin e di Osterie). E lo stesso vale per i rituali delle anteprime, vere e proprie maratone diventate salotti per bevitori di buona reputazione. I giornalisti italiani finalmente verranno raggiunti nella serie B in cui sono stati confinati da qualche tempo dai colleghi stranieri più ambiti dai produttori. In serie A giocheranno le Chiara Ferragni del vino, a prescindere dalla nazionalità perché cio’ che conta sono i followers.
Nel libro di Camilla Baresani, Gli Sbafatori, questo passaggio tra vecchio e nuovo viene messo ben in evidenza anche se passa in secondo piano rispetto al mangiare, bere e viaggiare gratis grazie agli investimenti delle diverse aziende del wine and food.
Ma qui siamo oltre, perché la nuova frontiera è proprio quella di non avere alcuna competenza sulla materia, ovvero, la nuova competenza è capire come fare le foto che colpiscano e facciano like. E vi assicuro che non è una cosa facile, perché prima bisogna costruirsi il personaggio, poi viaggiare come una trottola e stare perennemente collegati per capire come si muovo gli altri.
Capisco che questa cosa faccia arricciare il naso critici professionali e giornalisti, ma alla fine c’è uno strumento preciso di riscontro: quanti follower ha ciascuno e quante letture fanno i diversi post? Che è molto diverso da quello che sta succedendo in Italia dove il primo che fa foto viene accolto con il tappeto rosso da ristoratori e pizzaioli i quali non si chiedono neanche chi hanno di fronte.
In realtà bisogna spaventarsi solo se non si capisce il senso profondo di questo cambiamento: si tratta di un nuovo modo di comunicare che non c’entra nulla con l’informare. E’ la evoluzione della pubblicità a cui solo la Tv, tra i media tradizionali, sembra resistere. Nel primo caso si fa qualcosa al servizio delle aziende, nel secondo per il lettore. Naturalmente il punto è che questa linea di confine in Italia sembra non esistere più, ed ecco che sui social leggiamo commenti di fastidio verso queste nuove forme di promozione. Ma come, molti pensano e scrivono, io che con un articolo o un punteggio cambiavo le sorti di una azienda ora vengo scavalcato da chi non sa neanche cosa sia la fermentazione alcolica?
In questo cambiamento c’è spazio per la critica e il giornalismo? Vedremo, se quando nacquero i blog la risposta era assolutamente si, adesso non so essere così definitivo. Per lo meno in questo settore dove tutto è diventato molto commerciale. Qui probabilmente la nuova frontiera sono i produttori più che le attività di ristorazione.
Secondo me c’è spazio comunque se invece di rincorrere questi fenomeni si cerca di raccontarli, perché alla fine questo è il nostro mestiere, e si va in direzione opposta alla superficialità costruendo la propria reputazione (in rete oltre che deontologica) e quindi diventando riferimento più che per i produttori, i ristoratori e i pizzaioli, per chi legge e chi consuma. Si tratta di capire le nuove forme che questo lavoro avrà.
Tanti mestieri sono spariti, il giornalismo e la critica eviteranno questa sorte solo se manterranno la barra sui principi di autonomia e di indipendenza adottando però le nuove forme. E tutto sommato credo che questa sia una sfida affascinante.
Noi siamo quasi pronti :-)