Giuseppe Molaro: in Giappone ero chef stellato, per la disgustosa burocrazia italiana a casa mia sono senza diritti di ristoro pur avendo 13 dipendenti. Non immaginavo di ritrovare l’Itala così arretrata


Giuseppe Molaro

Giuseppe Molaro

di Giuseppe Molaro

Ho 34 e sono  chef  patron del ristorante “Contaminazioni” a Somma Vesuviana (NA) e quello che qui vorrei esternare è sì uno sfogo profondo ma soprattutto una richiesta di aiuto ed attenzione da parte delle autorità competenti.

Dico così perché, mio malgrado, durante tutto questo folle periodo che ha colpito il mondo intero, sono stato oggetto, così come tantissimi miei colleghi ristoratori, di una ulteriore beffa non avendo potuto avere accesso al Decreto Ristori.

Ma partiamo dall’inizio: ho costruito la mia carriera essenzialmente all’estero, da Newry nell’Irlanda del nord, mi sono spostato a Barcellona, al Sant Celoni del tristellato Santi Santamaria un’esperienza, propedeutica che mi ha permesso di entrare nella famiglia del pluristellato Heinz Beck al ristorante La Pergola di Roma.

Da lì è partita la mia esperienza sotto la sua egida che mi ha portato in giro per il mondo: prima a Villamoura in Portogallo poi a Dubai fino ad approdare a Tokyo dove divengo executive chef della struttura riuscendo ad ottenere una stella Michelin nel 2017 (riconfermata poi negli anni a seguire) arrivando così alla consacrazione professionale in giovane età.

Questo ha portato nella mia mente la voglia di tornare a casa, di provare a creare qualcosa di mio, nel territorio che mi ha visto bambino, coinvolgendo mio padre, storico ristoratore della zona , unendo la mia esperienza di  cucina a “contaminare” (da qui il nome del ristorante) la cucina campana tradizionale ed offrendo una rivisitazione del Pub e del ristorante tradizionale con le realtà attigue e collegate Ziomì Pub e Ziomì Bistrot capitanate da mio padre Domenico e dall’ottimo Gennaro Autorino.

Una proposta di cucina a 360 gradi ed una realtà imprenditoriale che ha dato lavoro e prospettive a ben 13 persone e nella quale c’è tutto me stesso e tutto della mia famiglia.

Poi è arrivato il Covid, il primo lockdown, lo scarso aiuto dello Stato che si è tradotto in… praticamente nulla.

Ma è arrivata l’estate, i casi sono calati, ci siamo rimboccati le maniche e stavamo provando a rimetterci in piedi quando puntuale ed infausta è arrivata la seconda ondata che, a conti fatti, ha praticamente riguardato solo noi e pochi altri comparti.

E qui la beffa, la mazzata ed il relativo disgusto.

Per una mera questione burocratica, di date, non abbiamo potuto avere accesso al Decreto Ristori, che questa volta era stato strutturato molto meglio ma che ha avuto la fallacia di non prevedere delle situazioni  che però sono la normalità per chi segue le regole. Difatti, come da prassi, ho aperto la mia partita iva nel 2018 per cominciare la mia nuova attività ma, partendo da zero, come ovvio che fosse, l’anno in questione è stato solo preparativo in quanto ho registrato esclusivamente spese per locazione, lavori, acquisti vari, utenze…

Insomma tutto ciò che occorre per aprire una attività da zero.

Abbiamo inaugurato il locale nel novembre 2019 poi, come tristemente è noto, a marzo 2020 è crollato il mondo.

Ora, il problema sostanziale è questo: l’ente erogatore prende per buona l’apertura della partita iva nel 2018 e considerando che il decreto prevede che il ristoro venga calcolato sul fatturato precedente, noi non avendo fatturato non abbiamo diritto a nulla. Il paradosso è proprio questo: noi che siamo i più colpiti (in quanto la nostra situazione economica è imparagonabile a quella di una attività già operativa da anni dato che noi siamo ancora nella fase dell’investimento, la più difficile) non abbiamo diritto a quella che è una scialuppa di salvataggio della quale abbiamo probabilmente più bisogno degli altri.

Vi ringrazio per la vostra attenzione e tengo a precisare che questo mio sfogo non vuole essere un attacco egoistico a chi ha stabilito queste regole, ma l’assurdità che è accaduta a me è certamente accaduta a qualcun altro e questo non è tollerabile.

Fare impresa è difficile, tornare dall’estero per fare impresa è difficilissimo, essere presi in giro così da qualche burocrate che non ha riflettuto prima di scrivere un decreto non è accettabile.

 

3 Commenti

  1. Questi bravi chef che scelgono di tornare a napulebella…. mi sa che non hanno capito niente

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